Robot, infortuni e morti sul lavoro: un’ analisi del caso europeo. di Marco De Simone, Dario Guarascio, Jelena Reljic

Marco De Simone, Dario Guarascio e Jelena Reljic analizzano la relazione tra robotizzazione e sicurezza sul lavoro in Europa e mostrano come, con l’introduzione di nuovi robot l’incidenza di infortuni e morti sul lavoro tenda, in media, a ridursi. Tuttavia, De Simone, Guarascio e Relijc sottolineano che questo effetto si manifesta soltanto in presenza di sindacati forti e in industrie nelle quali prevalgono strategie competitive basate sull’innovazione e la valorizzazione delle competenze.


Ogni 15 secondi un lavoratore perde la vita a causa di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) a livello mondiale ogni anno si registrano oltre 2,3 milioni di decessi e 317 milioni di incidenti. Questi numeri non solo rappresentano una inaccettabile tragedia umana, ma generano anche un costo economico rilevante, che le stime dell’ILO attestano attorno al 4% del PIL mondiale.

Per quanto riguarda l’Italia, i dati INAIL mostrano che nei primi sette mesi del 2024 le denunce di infortunio sono state 350.823, con un aumento dell’1,7% rispetto allo stesso periodo del 2023, del 12,2% rispetto a gennaio-luglio 2021 e del 21,4% rispetto a gennaio-luglio 2020. Facendo però riferimento al 2019, anno che precede la crisi pandemica, le medesime denunce risultano essere in diminuzione del 7,4%. È tuttavia importante non trascurare il fenomeno noto come ‘under-reporting’, ossia la tendenza dei lavoratori a non denunciare gli infortuni. Una tendenza diffusa, in particolare, nei contesti ove informalità e precarietà occupazionale inducono chi è vittima di infortunio a tacere, nella speranza di preservare il posto di lavoro. Nel caso italiano, l’under-reporting potrebbe influenzare in modo rilevante il dato relativo alle denunce, in virtù della concentrazione di lavoro informale/precario proprio nei settori a più alto rischio di infortuni, come l’agricoltura e le costruzioni.

Le dimensioni e la persistenza del fenomeno spiegano perché la sicurezza sul lavoro continui ad essere una priorità a livello politico e legislativo. In Europa, questa rappresenta uno dei principi fondamentali del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali.In Italia, il Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs. 81/08 e successivi aggiornamenti) ha introdotto un complesso insieme di disposizioni che, sulla carta, dovrebbero garantire prevenzione e scelte organizzative tese alla minimizzazione dei rischi disincentivando, allo stesso tempo, comportamenti pericolosi e omissivi. La reale efficacia di tali disposizioni si scontra, tuttavia, con l’ampiezza delle sacche di lavoro informale/precario e con la connessa prevalenza di piccole imprese, soggette a minori obblighi normativi ed esposte a un minore rischio di ispezioni. Queste imprese, spesso poco sindacalizzate, sono inclini a competere contenendo il costo del lavoro in luogo del ricorso ai più onerosi e incerti investimenti in innovazione, competenze e qualità dell’organizzazione.

In questo quadro, un aspetto relativamente poco analizzato è la relazione tra la robotizzazione dei processi produttivi che, nel recente passato, ha interessato un ampio numero industrie e la dinamica degli infortuni e delle morti sul lavoro. Mentre la ricerca si è ampiamente occupata dei rischi di disoccupazione tecnologica e dei mutamenti nella struttura occupazionale indotti dall’automazione, si sa ancora poco degli effetti che tecnologie quali i robot industriali possono avere sulla salute e sicurezza dei lavoratori. Questa lacuna è particolarmente rilevante nel contesto europeo.

La combinazione di guerre commerciali e rinnovati stimoli agli investimenti industriali contribuiranno, con buona probabilità, ad accelerare il già sostenuto ritmo dell’automazione (tra il 1993 e il 2018, il numero di robot industriali è aumentato del 350% a livello europeo e del 270% in Italia). Comprendere se e in che misura questo rappresenti un potenziale motore di miglioramento delle condizioni di lavoro o, al contrario, una minaccia per la salute e la sicurezza dei lavoratori europei è, dunque, imperativo.

In un recente studio, abbiamo analizzato, empiricamente, l’impatto dei robot industriali sugli infortuni e gli incidenti mortali che hanno avuto luogo nelle industrie manifatturiere europee tra il 2011 e il 2018, considerando 18 paesi europei (Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lituania, Olanda, Polonia, Slovacchia, Spagna e Svezia).

Abbiamo studiato sia l’effetto medio della robotizzazione che le differenze tra industrie e paesi, in relazione alle eterogeneità tecnologico-organizzative (distinguendo le industrie in termini di innovatività e rilevanza delle competenze) e istituzionali (caratteristiche delle relazioni industriali a livello di singolo paese, con particolare riferimento alla forza dei sindacati e all’entità delle norme a tutela dei lavoratori). Questo ci ha consentito di mettere nuovamente in luce l’importanza del conflitto capitale-lavoro e delle istituzioni nell’indirizzare gli effetti della tecnologia facendo riferimento, in questo specifico caso, al suo potenziale impatto sulla salute e alla sicurezza dei lavoratori

La Figura 1 evidenzia il ‘fatto stilizzato’ da cui ha preso le mosse la nostra analisi. Nel periodo 2011-2018, a fronte di una tendenziale riduzione dell’incidenza di infortuni e morti sul lavoro si è osservata, nelle economie europee parte del nostro campione, una costante crescita delle nuove installazioni di robot. Ciò non implica, ovviamente, che esista una relazione tra i due fenomeni. Inoltre, il dato medio nasconde una forte eterogeneità tra paesi, visibile anche in termini descrittivi (Figura 2). Per quanto riguarda gli infortuni, l’incidenza maggiore si registra in Finlandia, Polonia e Ungheria seguite da Austria, Belgio, Francia e dai paesi baltici, ad eccezione della Lettonia. Guardando agli incidenti mortali, invece, i numeri più elevati si registrano nelle economie dell’Est più strettamente legate all’industria manifatturiera tedesca (Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), in Lituania e Spagna. Questa eterogeneità chiama in causa una pluralità di fattori, tra i quali la composizione settoriale delle economie (il peso relativo dei settori che, per loro natura, presentano un elevato livello di rischio come le costruzioni e la manifattura), la pervasività delle norme a tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, il grado di precarietà del lavoro e la connessa propensione a non denunciare gli infortuni.

A fronte di tale complessità, abbiamo stimato un modello econometrico teso a verificare se esiste una relazione tra l’introduzione di nuovi robot e la dinamica di infortuni e morti sul lavoro. Il modello tiene in considerazione diversi fattori in grado di influenzare tale relazione: la composizione occupazionale, le caratteristiche dei lavoratori (genere, istruzione, età, tipo di contratto), le caratteristiche economiche del settore (numero di imprese, fatturato, investimenti) e il grado di apertura al commercio internazionale.

Figura 1: evoluzione degli incidenti mortali, infortuni e robot per 1000 lavoratori

Fonte: elaborazione degli autori

Figura 2: distribuzione geografica degli incidenti mortali e degli infortuni

Fonte: elaborazione degli autori

Il primo risultato emerge in modo netto e robusto, a fronte di un ampio numero di validazioni empiriche: la robotizzazione tende a ridurre l’incidenza sia degli infortuni sia degli incidenti mortali. I potenziali meccanismi che si celano dietro questo risultato sono molteplici: la riduzione del numero di mansioni rischiose, il miglioramento della qualità delle macchine utilizzate all’interno del processo produttivo, la maggiore ergonomia dei dispositivi, le innovazioni organizzative e le attività di formazione che solitamente accompagnano l’introduzione di nuove tecnologie, robot compresi. A tali meccanismi vanno aggiunti due elementi ulteriori, altrettanto importanti, su cui abbiamo concentrato la seconda parte della nostra analisi: l’intensità tecnologica delle industrie e la natura delle relazioni industriali.

Nel primo caso, l’ipotesi che abbiamo avanzato è la seguente: nelle industrie ad alta tecnologia, dove la competizione è in buona misura guidata dall’innovazione e dalla qualità dei prodotti, è più probabile che la robotizzazione dia luogo a miglioramenti organizzativi e, dunque, a un minore rischio di infortuni e incidenti mortali. Analoghi miglioramenti sono meno probabili, al contrario, nelle industrie dove la competizione si basa prevalentemente sul contenimento dei costi e la massimizzazione dell’efficienza. In tali contesti, l’adozione di robot potrebbe comportare un’intensificazione dei ritmi di lavoro, riducendo la propensione delle imprese a investire, parallelamente alla robotizzazione, in formazione e innovazione organizzativa.

Le relazioni industriali rappresentano un altro elemento chiave nel determinare il nesso robotizzazione-sicurezza: nei paesi caratterizzati da sindacati forti e robuste tutele a favore dei lavoratori, ci aspettiamo di osservare una relazione positiva tra robotizzazione e sicurezza. Il contrario, va da sé, ce lo si aspetta laddove i sindacati sono deboli e le tutele scarse.

I risultati dell’analisi danno supporto a entrambe le ipotesi (la Tabella 1 fornisce una sintesi dei principali risultati, per un’illustrazione esaustiva si rimanda alla pubblicazione).

Tabella 1: Impatto dei robot industriali su infortuni e morti sul posto di lavoro

Note: La tabella 1 riporta l’effetto dei robot industriali su infortuni e morti sul posto di lavoro. La colonna ‘Modello base’ fa riferimento alle stime del modello aggregato; nella colonna ‘Settori ad alto contenuto tecnologico’ rientrano i settori che fanno parte delle categorie ‘Science Based’ e ‘Specialized Suppliers’; la colonna ‘Alta protezione’ riporta l’effetto nei paesi con protezione alta (Finlandia, Danimarca, Belgio); nella colonna ‘Media protezione’ viene riportato l’effetto per paesi con media protezione (Germania, Francia, Irlanda, Italia, Svezia). Per le stime viene utilizzato l’approccio a variabili strumentali (IV). Tutti i risultati tengono in considerazione le variabili di controllo descritte in precedenza, e gli effetti fissi per paese, settore e anno. In parentesi vengono riportati gli errori standard. Gli asterischi indicano la significatività delle stime, *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1

Fonte: Sintesi dei risultati principali dello studio presentato. Per maggiori dettagli consultare De Simone et al. (2025)

Per testare la prima, abbiamo utilizzato la tassonomia di Pavitt rivisitata da Bogliacino e Pianta, che raggruppa le industrie in base alla loro intensità tecnologica. La riduzione degli infortuni e delle morti sul lavoro connessa all’introduzione di nuovi robot si osserva esclusivamente nelle industrie appartenenti alle categorie ‘Science Based’ e ‘Specialized Suppliers’, ove, in linea con le aspettative già enunciate, innovazione e competenze costituiscono variabili competitive chiave. Per verificare la seconda ipotesi, abbiamo distinto i paesi in tre gruppi, in base al livello di protezione dei lavoratori: ‘alta’ (Finlandia, Danimarca, Belgio), ‘media’ (Germania, Francia, Irlanda, Italia, Svezia) e ‘bassa protezione’ (Repubblica Ceca, Grecia, Lituania, Slovacchia, Estonia, Ungheria, Polonia, Olanda). Questa classificazione è stata ottenuta attraverso un’analisi ‘a componenti principali’ (PCA), considerando: il livello principale della contrattazione salariale (nazionale/territoriale, settoriale o a livello di impresa), il grado di sindacalizzazione, la diffusione di contratti non standard, la protezione sociale (sussidi di disoccupazione) e la presenza del salario minimo legale. L’effetto positivo della robotizzazione emerge solo nei paesi ad alta e, in modo meno intenso, a media protezione. Nessuna relazione significativa viene invece individuata nelle economie a bassa protezione.

Gli infortuni e le morti sul lavoro sono un tributo sull’altare del profitto che, nonostante il moltiplicarsi di norme volte a rendere prevenzione, controlli e sanzioni più stringenti, sembra impossibile smettere di pagare. Abbiamo mostrato come la robotizzazione possa essere un vettore in grado di ridurre la loro incidenza, aumentando la sicurezza dei processi produttivi manifatturieri. Tuttavia, ciò sembra essere vero solo nelle industrie ove prevalgono strategie competitive basate sull’innovazione e la valorizzazione delle competenze, e quando i lavoratori godono della protezione di sindacati forti e tutele efficaci. Richiamando vecchi adagi, si potrebbe però obiettare che i robot sono in grado di ridurre l’incidenza di infortuni e morti semplicemente perché ‘rubano il lavoro’ agli esseri umani. Ma la letteratura scientifica sembra dire il contrario: in una recente meta-analisi, abbiamo mostrato come l’impatto occupazionale della robotizzazione tenda a essere minimo, se non, addirittura, del tutto assente. L’attenzione va dunque posta altrove: ciò che continua a deteriorare le condizioni di lavoro, acuendo anche i rischi per la salute e la sicurezza, è la precarizzazione, il progressivo indebolimento dei sindacati e la prevalenza di strategie competitive basate sul contenimento dei costi e lo sfruttamento del lavoro. Da questo punto di vista, se impiegati non per intensificare i ritmi di lavoro e comprimere i costi ma con l’intento di migliorare la qualità dei processi e dei prodotti, i robot possono trasformarsi: da spauracchio buono per il vacuo allarmismo dei giornali in strumento utile a migliorare il grado di salubrità e sicurezza dei luoghi di lavoro.

fonte: https://eticaeconomia.it/robot-infortuni-e-morti-sul-lavoro-unanalisi-del-caso-europeo/

fonte foto copertina: https://www.inail.it/portale/it/inail-comunica/news/notizia.2021.03.la-robotica-al-servizio-della-salute-e-sicurezza-nei-luoghi-di-lavoro-dalla-collaborazione-tra-inail-e-iit-arriva-il-progetto-ergocub-.html

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