Impariamo dagli errori fatti. di Rosy Bindi

Intervista a Rosy Bindi di Franco Cattaneo L’Eco di Bergamo

Presidente Bindi, che lezione possiamo cominciare a trarre? 

«Le lezioni sono molteplici, proviamo a condividere l’essenziale. Siamo cittadini del mondo e non di una sola nazione. I virus sono senza confini e anche le conseguenze che producono. Si può abitare lo stesso mondo nella misura in cui i vincoli di solidarietà sono molto forti e quindi nessuno alza barriere. Infine, il servizio sanitario nazionale è il paradigma dei beni comuni che dobbiamo imparare a preservare, alimentare e condividere. In questa fase ci è sembrato molto evidente l’importanza di una sanità pubblica e del suo corretto funzionamento, ma questo vale anche per il cibo, il lavoro, l’acqua, la Terra»

Dinanzi alle evidenti difficoltà del «modello lombardo», lei cosa suggerisce? 

«Quel che ho sempre suggerito, da ministro, ai lombardi è che i sistemi sanitari pubblici non hanno bisogno di competizione, bensì di integrazione con il privato. I sistemi universalistici non si limitano a curare la malattia, ma devono produrre salute e quindi prendersi carico della persona: i servizi territoriali sono essenziali, in particolare le Case di riposo per gli anziani. Un sistema tutto incentrato sugli ospedali e sulla competizione fra ospedali, rischia di deflagrare di fronte ad una sfida come quella che stiamo vivendo, anche se naturalmente questo non è il momento di gettare la croce addosso a nessuno. Sperando che tutti imparino dagli errori commessi».

C’è poi la vecchia e irrisolta questione del rapporto fra Regioni e Stato. 

«Il sistema sanitario è nazionale e non regionale e le realtà territoriali devono essere fra loro molto più armonizzate. I modelli regionali, che magari rispondono a regole diverse e che hanno potenzialità differenti, non fanno un unico sistema nazionale. Non vorrei tornassimo alla ricentralizzazione della sanità: è inevitabile e auspicabile che ci siano responsabilità regionali, purché ciascuna si senta parte di un unico sistema nazionale e che risponda alle medesime norme e agli stessi criteri. I territori possono articolarsi secondo le proprie caratteristiche, mai smentendo però i principi fondamentali del servizio nazionale».

Lo Stato ritorna in campo e c’è chi teme una «pandemia statalizzata». 

«Non dovrà esserci un nuovo statalismo, ma una nuova responsabilità pubblica di fronte ai beni comuni, questo sì. Non è il momento di ricentralizzare, piuttosto occorre armonizzare i sistemi, rendendoli complementari. Se una cosa è buona ed è sperimentata in una parte d’Italia, deve diventare patrimonio comune. Se un’altra è sbagliata, va corretta o cancellata in qualunque luogo si verifichi. C’è bisogno quanto meno, con il coordinamento del governo, di una maggiore condivisione da parte di tutte le Regioni per formare un solo sistema sanitario nazionale».

Però abbiamo visto in campo anche la società civile, i corpi intermedi, l’associazionismo e il volontariato. 

«Abbiamo visto che tutte le energie sono state mobilitate, tutti si sono messi a disposizione e ognuno è stato ritenuto utile alla causa. Nessuno è stato scartato. E anche questa è una bella lezione. Non solo: in questo modo s’è tradotta nella pratica del vivere quotidiano l’idea di Repubblica che è nella Costituzione. Il valore, cioè, del pluralismo, della sussidiarietà, della solidarietà».

Fase 2: si riprende nel segno dell’equità? 

«Mi pare evidente sia andato in crisi un modello di sviluppo che ha creato disuguaglianze, che ha distrutto la natura e che non ha messo al primo posto i beni comuni. Quindi è assolutamente necessario ripensarlo. Abbiamo visto che un piccolissimo essere come il virus ha messo in ginocchio l’intero pianeta, e a questo punto è giunto il tempo di un nuovo paradigma. Vale quel che ha detto Papa Francesco: pensavamo di essere sani in un mondo malato, ma se il mondo è malato nessuno è sano. Ne deriva che dobbiamo curare noi stessi e la Terra».

Che giudizio dà del governo? 

«Chiunque avrebbe sbagliato e, chiaramente, nulla è stato perfetto. La sfida era, ed è, talmente inedita che credo si debba ringraziare il Sistema Paese per come gli italiani si sono comportamenti, rispettando le regole. Al governo è stata riconosciuta una certa autorevolezza, che forse ad altri non sarebbe stata data. Ripeto: ci sono state imperfezioni, ma chi non le ha avute in giro per il mondo e chi non le avrebbe avute? Diciamo, per semplificare, che ad un ipotetico esame di Stato promuoverei l’esecutivo, magari mettendo in evidenza alcuni aspetti che tuttora possono essere corretti».

Anche l’Europa, questa volta, ha battuto un colpo. 

«Sono stati fatti passi importanti, che vanno riconosciuti, utilizzati bene e che devono costituire un’occasione per compierne altri. Sottovalutare simili risultati significa dare ragione a chi vuole distruggere l’Europa, che invece sta dimostrando come nessuno possa essere lasciato solo e che se ne esce tutti insieme».

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