La Casa della Salute affronta il Covid-19. di Cecilia Francini, Giulia Occhini, Chiara Milani

Alcuni assistiti si sono offerti per attività di volontariato nel quartiere, secondo i propri interessi, possibilità e inclinazioni. Così le Case della Salute diventano incubatori e connettori di buone pratiche comunitarie.

La Casa della Salute (CdS) delle Piaggein un quartiere periferico di Firenze, si sta anch’essa confrontando con la pandemia da Covid-19. Come gruppo di medici, appartenenti alla Campagna PHC Now or Never[1], abbiamo iniziato a lavorare nella struttura delle Piagge con la consapevolezza che il modello organizzativo della CdS declini nel contesto italiano i principi della Comprehensive Primary Health Care (C-PHC) [2]. Un modello che si basa sul lavoro multidisciplinare, dove operatori sanitari e sociali e comunitari concorrono ad affrontare – spesso in modo creativo e sempre in una logica di rete – molteplici problemi: clinici, assistenziali, organizzativi. Questo metodo si è rivelato molto utile nell’affrontare l’epidemia. Di seguito descriveremo alcune delle esperienze in essere, facendoci portavoce di un gruppo ampio di professionisti e attori.

A proposito della medicina di famiglia alle prese con la Covid-19, una delle prime iniziative intraprese è stata di raggiungere i pazienti con informazioni accurate sulla situazione che si stava determinando e sulla riorganizzazione delle attività ambulatoriali, attraverso l’invio di mail a cadenza settimanale, con indicazioni scritte nelle principali lingue parlate all’interno della comunità delle Piagge. I pazienti cinesi sono stati raggiunti grazie a un canale di comunicazione social, We Chat, sviluppato da una associazione del territorio. Per rispettare le normative regionali è stato creato un numero telefonico dedicato al triage degli assistiti con sintomi compatibili con coronavirus. Non avendo mezzi economici per sostenere una segreteria h12, i medici della medicina di gruppo hanno deciso di turnare sul telefono Covid e sulle richiamate attive dei pazienti con sintomi influenzali. Un data set iniziale, successivamente adattato grazie agli scambi con altri professionisti ha permesso di mantenere uno sguardo di insieme sulle consultazioni telefoniche effettuate e di programmare le richiamate attive. Un altro elemento importante è stata la partecipazione alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA), da parte di un medico della medicina di gruppo, che ha facilitato il lavoro in rete e l’acquisizione di competenze.

Più in generale, con il passare delle settimane la situazione di emergenza ha costretto a ripensare a tutte le attività cliniche, organizzandole per scopi: i momenti dedicati ai sospetti Covid, alle visite domiciliari, alle urgenze, ai pazienti cronici, alle prime visite indifferibili e settimanalmente la riunione di equipe per mantenere un dialogo costante nel gruppo e con gli altri attori della CdS. Il potenziamento del filtro del triage, imposto dalla limitazione delle prestazioni mediche ai casi indifferibili, ha mostrato essere uno strumento utilizzabile ad indirizzare in maniera mirata la presa in carico del bisogno e ha reso possibile tessere un ragionamento intorno a casi più complessi. Diverse condizioni sono state prese in carico, discusse tra professionisti e adesso risultano monitorate secondo obiettivi condivisi. Una peculiarità del front-office della CdS è la presenza, alcune ore al giorno, di una collaboratrice di studio con una formazione ed esperienza di educatrice in situazioni di marginalità, che si riflette nella capacità di accogliere le richieste telefoniche, decodificare il bisogno e facilitare i percorsi di presa in carico. Pur se faticoso, la suddivisione del lavoro ha reso possibile ottimizzare i tempi e ritagliare uno spazio per seguire in maniera proattiva i pazienti cronici e fragili. Infatti, impostata e avviata la gestione dei sintomatici, l’attenzione è stata rivolta alla riorganizzazione della proattività.

Con la limitazione delle visite ambulatoriali e domiciliari molte situazioni di cronicità rischiavano di essere trascurate fino allo scompenso e persone in condizioni di fragilità o vulnerabilità psico-sociale avrebbero avuto un ostacolo in più nella fruizione dei servizi di salute. La creazione di un data set di pazienti cronici, corredando le schede di informazioni cliniche, psico-sociali, situazioni di acuzie in corso, ha permesso di suddividere la popolazione in tre codici colore in base alle condizioni di rischio. Tutti gli assistiti individuati sono stati contattati telefonicamente grazie al contributo di studenti e medici volontari che hanno aderito al progetto. A questo proposito la condivisione con il servizio infermieristico e sociale ha mostrato l’importanza della presa in carico in rete nella gestione della complessità. Questi interventi hanno giovato della collaborazione presente da tempo tra professionisti della CdS, in particolare medici di famiglia, infermieri, assistenti sociali e psichiatri attraverso la condivisione delle situazioni più complesse all’interno di “tavoli della complessità” e l’organizzazione di interventi di concerto.

Ad alcuni bisogni individuati è stato possibile dare iniziale risposta tramite connessioni intrecciate con volontariato e associazioni del terzo settore del quartiere, che provvedono alla consegna di spesa e farmaci a casa o alla cosiddetta “spesa sociale”. In particolare, i servizi di consegna dei farmaci hanno consentito agli assistiti di scegliere la farmacia in cui acquistarli, senza condizionamenti e affiliazioni. Inoltre, un sorprendente risvolto delle chiamate attive e dei contatti sviluppati, è stato che alcuni assistiti si sono offerti per attività di volontariato nel quartiere, secondo i propri interessi, possibilità e inclinazioni: le CdS potrebbero diventare incubatori e connettori di buone pratiche comunitarie.

Per le situazioni di solitudine e difficoltà il ragionamento in essere è più ampio e collettivo, insieme con servizi e associazioni. Nel breve periodo, immagina lo sviluppo di contenuti informativi, in parte educativi, nei confronti di tematiche ricorrenti, quali salute mentale e cura di sé, benessere, bambini e genitorialità, attività fisica, da veicolare tramite le email. Sul lungo periodo, l’idea è di individuare attività di aggregazione sociale nel rispetto delle norme di distanziamento fisico, per raccogliere più sistematicamente le risorse di cui le persone già dispongono, anche e soprattutto informali, così da poterle potenziare, estendere, condividere. Il coinvolgimento di altri attori della CdS, di abitanti della comunità, del volontariato e terzo settore è inevitabile e sperato. In primo luogo, la collaborazione con la salute mentale, già in corso nella CdS, vorrebbe individuare modalità di proattività, non solo verso il singolo, ma anche verso i gruppi sociali, per riempire vuoti e solitudini e stimolare risorse e autonomia. Salta all’occhio anche come con il prolungarsi delle misure di distanziamento sociale, siano aumentate le richieste dei pazienti con disturbi d’ansia e panico[3].

Infine, il contatto con la comunità di base del quartiere, ha messo a conoscenza di un insediamento di persone rom in condizioni di precarietà abitativa – uno “spazio interstiziale” urbano, costituito di baracche, dimore improvvisate. È un’ex fabbrica abbandonata che, in seguito agli sgomberi di altri insediamenti precari, ha raccolto nuclei familiari e individui per lo più privi dell’iscrizione al SSR, pertanto a rischio che la situazione di emergenza esasperi ancora di più le disuguaglianze di salute già in essere. Ci si è attivati per attenzionare la situazione e organizzare  percorsi protetti di presa in carico.

In generale, abitare la CdS ha permesso di non preoccuparsi di molti aspetti grazie al supporto fornito dalla struttura, sentendosi “non soli”, a partire dalla funzione di filtro degli ingressi con la misurazione della temperatura svolto dagli infermieri, il confronto sull’utilizzo di DPI o sulla gestione di casi. In modo particolare, un confronto proficuo si sta mostrando con il servizio infermieristico e i servizi sociali e con medici che conoscono il territorio da tempo. Con loro sono state condivise le difficoltà di presa in carico dei pazienti complessi per trovare nuove modalità di risposta, secondo le restrizioni imposte dalla pandemia.

Inserendo le esperienze descritte all’interno di una cornice internazionale, il modello di C-PHC rappresenta i principi ispiratori e la direzione del nostro andare. Essi si possono brevemente riassumere in: riorientamento dei servizi dall’intervento per prestazioni ad una presa in carico dei bisogni efficace, globale e accettabile; attenzione alla promozione della salute e al miglioramento della qualità di vita; bisogni, desideri e sistemi valoriali delle persone come punto di forza e non elemento da eliminare dall’algoritmo biomedico[2]. In uno scenario di emergenza pandemica, si associano un ruolo specifico nei confronti della gestione e del contenimento, in termini di risposta iniziale e sorveglianza, triage, prevenzione e trattamento, identificazione della progressione di malattia e continuità dell’assistenza tra diversi livelli di cura, ma anche di coinvolgimento della comunità e comunicazione del rischio[4]. Le cure primarie rivestono un ruolo centrale[5,6], ora e ancor più dopo. Non possiamo aspettare: occorre realizzare un servizio centrato sul lavoro di equipe, proattivo e condiviso, con il tempo di chiedersi dove si sta andando e come si sta, così da prevenire il burn out dei professionisti sanitari.

La CdS rappresenta un contenitore strutturale e virtuale e un collettore funzionale di professionisti, attori e servizi e un attivatore di idee e di risorse in un territorio. L’esperienza che il presente post ha provato a raccontare mostra l’importante ruolo di catalizzatore di un processo in costruzione, agito dagli operatori che la abitano.

C’è ancora molta strada da fare, ma sentiamo di essere sulla strada giusta e speriamo di poterci confrontare sempre più con chiunque sia interessato a ripensare la salute dei territori e delle comunità.

Le autrici:

Cecilia Francini e Giulia Occhini,  Mediche di medicina generale.

Chiara Milani, Specializzanda in Igiene e Medicina preventiva, Università di Firenze

Bibliografia

  1. Trasformare l’Assistenza in Cure Primarie: ora o mai più! La Campagna “2018 Primary Health Care Now or Never
  2. World health report: primary health care now more than ever. Geneva: WHO, 2008
  3. Brooks S K et al. The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. Lancet 2020; 395: 912–2
  4. Primary health care and health emergencies, 2020. WHO – technical series on primary health care
  5. Dunlop C. et al. The coronavirus outbreak: the central role of primary care in emergency preparedness and response. BJGP Open 2020; DOI: 10.3399/bjgpopen20X101041
  6. What should primary care be doing to prepare for the wider spread of covid-19 and future pandemics? BMJBlogs, 13.03.2020

fonte:

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