Potenziare i servizi territoriali per preparare l’isolamento selettivo. di Paolo D’Argenio

Il bisogno di storie coinvolgenti concentra l’attenzione dei media sugli ospedali, dove i malati affetti da Covid-19 affrontano la loro battaglia per la vita, aiutati da medici e infermieri valorosi. A questo si aggiunge l’uso sistematico, nella comunicazione, di figure che rappresentano i dati in valori assoluti e per giunta cumulativi e ingigantiscono l’effetto emotivo a scapito della comprensione della situazione. Può così apparire che il contenimento dei suoi effetti fatali coincida con il controllo dell’epidemia.

A seguire, la politica si sforza affannosamente di potenziare dappertutto il settore avanzato degli ospedali, e giù gli opinionisti a dibattere tra presunti errori del passato, dalla chiusura dei piccoli ospedali ai venti, diversi, servizi sanitari regionali, e proposte di ri-centralizzazione burocratica.
In tal modo si perde di vista il luogo dove l’epidemia si propaga e dove si gioca il suo controllo, oggi e, sempre di più, domani: la comunità, o forse è meglio dire: le comunità.

Isolamento fisico generalizzato, isolamento selettivo 

In queste ultime settimane abbiamo sperimentato, per la prima volta in questi termini, l’isolamento fisico esteso a tutta la popolazione. È stata una scelta difficile e coraggiosa che sembra aver inciso sulla diffusione del virus, così che il mitico “erre con zero”, il numero di riproduzione di base è verosimilmente sceso sotto la soglia critica di uno.
Ma è una strategia che non può essere sostenuta a lungo perché i costi sono altissimi e bisogna pensare a un sistema che una volta riaperte le nostre porte di casa riesca a imbrigliare i contagi.

Tornando ai fondamentali del controllo delle malattie infettive, il metodo per contenere la diffusione di un virus a trasmissione aerea è l’isolamento selettivo dei casi individuati grazie alla sorveglianza e dei loro contatti che, pur essi, vanno individuati e monitorati. Questo è un lavoro che, in Italia, è stato sempre fatto dai servizi di igiene pubblica che poi sono confluiti negli attuali dipartimenti di prevenzione.

Per uscire di casa, bisogna usare la testa, non solo i muscoli

Il ruolo dei servizi territoriali di prevenzione, al momento attuale, non è valorizzato, al pari di quello che giocano i medici di famiglia. Tutti discutiamo di tamponi e test da fare a screening estesi addirittura a tutti, ma si tralascia di curare il buon funzionamento del sistema attualmente all’opera per rintracciare i contatti dei casi confermati, interrompendo precocemente la catena di trasmissione. Cioè proprio quello che ci potrà tirare fuori di casa, regione per regione, se non Asl per Asl, passando dallisolamento generalizzato a quello selettivo. Il primo è stato apparentemente efficace, ma ha costi elevati. Il secondo potrebbe risultare altrettanto efficace e per di più ha due vantaggi: costi contenuti e sostenibilità a lungo termine.

La sorveglianza delle nuove infezioni sul territorio, resa oggi dalla conferma dei casi con i test, può essere schematizzata così:

  1. Individuare i casi con la sorveglianza
  2. confermarli con il test
  3. individuare i contatti
  4. testarli e isolarli.

Altre misure possono essere adottate per specifici gruppi di popolazione. Non è niente di nuovo, perché è quanto già oggi si fa laddove le strutture di prevenzione ancora funzionano bene, ad esempio in Veneto o in Emilia e Romagna.

Potenziare il territorio

Sono in grado i dipartimenti di prevenzione di sostenere un impegno simile per un lungo periodo di tempo? Per quanto ne so, no. Nelle regioni meridionali, le strutture di prevenzione sono quelle che più hanno sofferto gli effetti della riduzione della spesa imposta dai piani di rientro, ma anche le poche regioni più attrezzate avrebbero difficoltà di tenuta nel tempo. Bisogna per prima cosa potenziare i servizi territoriali e creare le condizioni per la cascata successiva di azioni. Potenziare le capacità operative della sorveglianza sul territorio non è difficile, come può essere, invece, potenziare le terapie intensive. Nei servizi di prevenzione, servono poche persone esperte: epidemiologi addestrati a reagire rapidamente per fermare minacce per la salute emergenti e capaci di dirigere personale possibilmente giovane e motivato, non necessariamente esperto, con un addestramento minimo. Ci sono diversi settori della società cui rivolgersi per trovare persone con queste caratteristiche, per fare un esempio potrebbero essere arruolati studenti in medicina e allievi infermieri che – per limitati periodi di tempo – potrebbero fare un tirocinio pratico effettuando interviste, controlli telefonici, input dati e altro ancora.

Stiamo sperimentando una sfida epocale per la salute e il benessere della popolazione, giochiamola evitando di essere gravati da un eccesso di emotività e di retorica che danneggia le nostre capacità di giudizio.

Nota

Ho scritto questo testo pensando ad Alexander Languimir, il fondatore dei Center for Diseases Control, e allo spirito creativo che manifestò quando reimpostò il programma di eradicazione del vaiolo basato fino allora su grandi campagne di vaccinazioni di massa, usando la sorveglianza e la vaccinazione effettuata in selezionati contesti. Per chi volesse approfondire, un articolo di pochi anni fa è: The Development of Surveillance Systems di  D. A. Henderson pubblicato da American Journal of Epidemiology, Volume 183, Issue 5, 1 March 2016, Pages 381–386.

fonte: 

l’autore Paolo D’Argenio

Sono stato un medico di sanità pubblica, ho lavorato in Campania nei servizi di igiene dei Comuni, nel Dipartimento di Prevenzione della Asl, nell’Osservatorio epidemiologico regionale. In Istituto Superiore di Sanità ho portato avanti il Programma di Formazione in epidemiologia applicata con Nancy Binkin sotto la direzione di Donato Greco, con cui ho collaborato come vice alla Direzione della Prevenzione del Ministero della Salute. Oggi sono in pensione e lavoro come volontario con Tobacco Endgame, un gruppo di advocacy per un’Italia senza Tabacco.

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