Microfisica del potere al tempo di Covid19. Rinuncio alla TI… ma rifiuto il metodo impositivo della SIAARTI e della regione Veneto. di Franca Bimbi

Non avendo redatto sinora nelle forme prescritte un documento di “disposizioni anticipate di trattamento”, ho avvertito i miei
familiari che, se affetta da Covid19, non intendo essere traferita in terapia intensiva. Tuttavia conto di venir accompagnata a morire, senza TI, ma con meno sofferenza possibile. Anche se non credo di essere particolarmente propensa a forme estreme di altruismo, tuttavia ho pensato ai miei figli, ai miei nipoti, a tante persone che potrebbero avere nella loro lunga vita almeno altrettante occasioni di felicità di quella già godute da me.

Ho 73 anni, un diabete 2 penso ben compensato, e sono ipertesa. Per ora non risulto contagiata e sto bene. Sto in casa e seguo le regole di disinfezione, igienizzazione e di prevenzione personale e domestica. Seguo anche il dibattito pubblico e le pubblicazioni scientifiche internazionali. Mi informo su Lancet e sul New England Journal of Medicine, sono andata anche a ripescare il dibattitto etico sulla quarantena al tempo dell’Ebola, e le raccomandazioni che da molti anni l’OMS ha avanzato per prevenire i rischi di epidemie in buona parte prevedibili. Nel gennaio 2019, sulla rivista Viruses, un gruppo di ricercatori cinesi spronava a continuare le ricerche delle terapie contro su Sars e Mers per prepararsi “alla notizia di prossimi coronavirus
che potrebbero emergere”. Perciò dobbiamo tener desto il dibattitto pubblico su Covid19 anche quando la nostra attenzione sul tema potrà sperabilmente attenuarsi per l’estinguersi della pandemia.

La mia scelta, non eroica, vuole sottrarsi a un dolore “inutile”, ma anche offrire una testimonianza di rifiuto morale consapevole nei confronti sia della formulazione del Documento della SIAARTI del 6 marzo scorso che delle Linee Guida della Regione Veneto che lo hanno recepito il 13 marzo. La dedico ai medici che lavorano per noi, ma anche a quegli anziani, più o meno vecchi, che non potranno leggere quei documenti e dire la loro, particolarmente a quelli che, fino a pochi giorni fa, abbiamo dimenticato nelle case di riposo, assieme al personale che li accudisce, esattamente come facciamo con i carcerati o gli immigrati “sospesi”, in attesa di venir accolti o respinti.

Il combinato disposto dei due testi mette il medico nella condizione di delegare preventivamente la responsabilità della sua decisione a un’etica professionale delimitata e garantita da un potere politico. Rispetto ai cittadini tutti – non solo ai medici –si tratta di un esercizio violento di potere pastorale, secondo un’espressione di Michel Foucault, ovvero di pre-decisioni prese
in nome di un collettivo, per il nostro bene, sui nostri singoli corpi, prescindendo dalla singolarità di ciascuno, come fossimo
un gregge. Preferisco, in questo quadro, di andarmene, se necessario, da cittadina, con un gesto di libertà.

Sono consapevole di quel che, in questo periodo, rischiano particolarmente anestesisti e rianimatori, o operatori sanitari del
Pronto soccorso, ma sono a conoscenza anche di quel che ha dichiarato alla stampa la presidente SIAARTI: le scelte di sottoporre o non sottoporre a TI, e altre consimili, stanno necessariamente nella pratica medica. Restano decisioni difficili e ad alta intensità etica, anche quando vengono valutate come medicalmente appropriate o di ultima istanza. In generale sono favorevole a una legge e a una regolamentazione “mite” che non espropri la responsabilità della medicina e dei singoli operatori, e che passi attraverso una valutazione collegiale e il consenso dei cittadini (malati o familiari), anche in condizioni “eccezionali”.

La Siaarti ha presentato il 6 Marzo un Documento di raccomandazioni di “Etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi e per la loro sospensione, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili”. Già titolo è inappropriato, perché “eccezionali” non è qualificato rispetto all’attuale epidemia ma applicabile anche per altre circostanze.

Abbiamo memoria del modello? Tra le premesse troviamo il riferimento a “un criterio il più possibile condiviso di giustizia distributiva”. Tuttavia nella raccomandazione n. 3 si scrive “Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone.” Si può pensare che decisioni così gravi possano venir separate dal loro significato di scelte etiche? Pur considerando la fretta di un linguaggio non meditato usato in una situazione “eccezionale”, non sembra possibile che si possano definire scelte pratiche relative a criteri di giustizia distributiva al di fuori di un quadro di valutazioni comparate tra appropriatezza medica e valutazioni etiche e che il documento che le determina possa considerarsi “tecnico, destinato ai professionisti e sul quale non ci sarebbe bisogno di un dibattito pubblico” (si veda intervista della Presidente SAARTI a un quotidiano nazionale, in data 8 Marzo). Inoltre all’art.12 delle raccomandazioni si considerano la collegialità medica della decisione e “il dialogo” con il paziente e i familiari come “possibili”. Eppure si raccomanda (n.14) di fare rete, di scambiare informazioni anche per far fronte al “burnout professionale e al moral distress degli operatori”. Condivido l’intenzione e la preoccupazione e spero che questo documento non permetta ai singoli operatori sanitari di abdicare a pensare e decidere “in scienza e coscienza” interrogandosi in velocità ma con molta profondità. Tuttavia noi (tutti potenziali contagiati e ammalati) con questo documento non siamo più considerati cittadini: né utenti, né clienti, torniamo ad essere sudditi-pazienti.

Eccezionalmente tornati indietro di più di cinquanta anni. Ci penseremo “dopo”?

La disposizione dirigenziale della regione Veneto, che fa suo il documento, vuole offrigli anche un riparo legale, ma nella sua ambiguità, è bene dirlo, non sarà un argine sicuro dalla “medicina difensiva”. Il bilanciamento tra “il possibile beneficio per il paziente e il rischio di prolungare uno stato agonico” pare un criterio condivisibile, praticamente e moralmente, ma non è assimilabile alla logica SIAARTI. Inoltre questo richiamo personalista richiederebbe disposizioni pratiche su come assicurare modi, mezzi, risorse umane e luoghi minimamente adeguati in cui sostare, anche se per poco, per essere accompagnati umanamente nella morte, mentre si resterebbe privi della vicinanza dei familiari. La mancanza di queste indicazioni mi preoccupa di più di quelle che venissero date per la mia eventuale sepoltura. Anche se il lutto, e come esprimerlo e rappresentarlo, non va considerato un tema da risolvere con i reportage sulle file di bare.

Nel complesso, pur considerando la situazione Covid-19 come eccezionale, il Documento amministrativo della regione Veneto e il Documento SIAARTI non corrispondono affatto a criteri equilibrati, di incontro tra appropriatezza medica e appropriatezza
etica.

Esiste, e lo troviamo nei documenti internazionali, anche un’etica della guerra e nella guerra.

In Italia è mancato il coraggio – della politica ma anche della medicina – di discutere in maniera approfondita, razionale, e “disciplinata” dal pluralismo etico di una democrazia, di suicidio assistito e di eutanasia. E’ probabile che questo passaggio ci avrebbe evitato il Documento di una Società scientifica come quello che ci tocca di subire con Covid19: necessario nelle intenzioni, forse inevitabile nelle scelte pratiche, ma irricevibile sul piano civile e su quello etico. Ha sbagliato la regione Veneto a farsi carico di dargli legittimità.

Il direttore generale della sanità veneta sbaglia anche quando parla come Presidente AIFA. Secondo lui la ricerca scientifica “moderna” e galileiana impone “attenzione, silenzio e meditazione, che è esattamente il contrario di quanto messo in atto finora dagli esperti”. Come se Galileo fosse stato zitto! Da allora, e dopo Hiroshima, siamo tutti percorsi dal dubbio Galileiano, anche a Whuan.

Il governatore Zaia avrebbe fatto bene a mantener fede alla sua filosofia pragmatica che per ora, in questa contingenza drammatica, sta dando buoni frutti.

Questo mio scritto, data la situazione eccezionale, va considerato analogo a una DAT, almeno alla data odierna.

Padova, Venerdì 20 Marzo 2020, aggiornato a mercoledì 25 marzo

FONTE:
Bimbi, F. (2020), Microfisica del potere al tempo di Covid19 . Rinuncio alla TI…ma rifiuto il metodo impositivo della SIAARTI e della regione Veneto. In Studi sulla questione criminale online, disponibile al seguente link: https://studiquestionecriminale.wordpress.com/?p=2368&preview=true
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