«Ci troviamo di fronte a una tragedia, nessuno era preparato, non solo noi. Chi si trova in prima linea sta pagando prezzi altissimi». A parlare è Rosy Bindi, ministra della sanità del governo Prodi e madre di una riforma del sistema nazionale all’epoca discussa, oggi rimpianta.
Oggi i medici e gli infermieri sono gli eroi del paese. Ma anche i più esposti al rischio.
Il nostro è il sistema migliore del mondo, ma negli ultimi vent’anni non l’abbiamo trattato bene. Meritava di essere custodito meglio. È la prima lezione per il futuro. Spetta alla politica non certo essere organizzati per queste emergenze, sarebbe impossibile, ma avere un piano pronto per quando si presentano, questo sì. L’altra lezione è che un sistema universalistico non vive con in sotto organico di medi e infermieri. E chi di noi lo diceva è rimasto inascoltato.
La Lega diceva: i medici di base sono pochi ma non servono più.
Oggi i numeri dicono che mancano le terapie intensive. Ma manca soprattutto un’assistenza territoriale. La pressione sugli ospedali in larga parte è legata anche al fatto che non c’è un’organizzazione per l’assistenza domiciliare, che non serve solo per le emergenze e che non può essere la cenerentola del nostro sistema.
Il sistema migliore del mondo era quello del Nord, ma è al collasso. Che succederà al Sud?
Intanto spero che inizi la fase discendente del contagio in tutto il paese. Certo al Sud c’è un’organizzazione sanitaria meno forte. E le vere diseguaglianze al Sud sono soprattutto nella sanità e in tutti i servizi alla persona. Spero che in questi giorni abbiamo capito che il titolo V della Costituzione e la regionalizzazione del sistema è una scelta inevitabile, ma che serve una guida nazionale forte in grado di garantire maggiore uniformità, non solo nel controllo dei bilanci ma nella qualità dei servizi. Un sistema nazionale non è la somma di venti sistemi regionali.
Che ruolo sta ricoprendo la sanità privata nell’emergenza?
In Italia esiste per lo più il privato accreditato che deve rispondere agli stessi requisiti del pubblico. È evidente che alcuni servizi richiesti in questa fase sono meno presenti nel privato accreditato, a parte le grandi strutture. Oggi si capisce che le regole dell’accreditamento molto esigenti scritte nella riforma del governo Prodi servono a questo. Il privato, se è accreditato, deve avere gli stessi requisiti e offrire gli stessi servizi. A chi dice ’requisite le strutture private’ rispondo: non si tratta di requisire, ma di stabilire regole diverse per quando le necessità del sistema aumentano o cambiano.
Sta accadendo?
Mi sembra di sì, nel limite delle possibilità che ci sono. In alcune realtà si sono trasferite nel privato accreditato alcune prestazioni ordinarie, mentre il pubblico è concentrato nell’emergenza.
Perché migliaia di operatori sanitari aspettano il tampone?
Ci sono state delle incertezze ma la responsabilità non è del governo. Che ha fatto bene a rimettersi agli indirizzi della scienza. Ma è il momento di trovare un punto d’accordo. Chi oggi è sul fronte dei servizi essenziali va tutelato.
Molti lavoratori di servizi non essenziali ancora vanno a lavoro. I sindacati minacciano sciopero.
Il governo ascolti di più i sindacati.
Parlava di incertezze. Il governo è all’altezza dell’emergenza?
Le incertezze sono dovute anche alla scienza, ma dipendono dal fatto che una conoscenza precisa del fenomeno non ce l’hanno neanche i ricercatori. So com’è difficile in queste ore fare scelte. La perfezione non c’è stata e non ci sarà. Ma ho un giudizio positivo, certo con limiti inevitabili. Al confronto di come si stanno comportando gli altri paesi io ho anche una punta di orgoglio in questi giorni. Li aspetto alla prova del dopo. Spero che abbiamo capito che la sanità non può essere il settore nel quale si accaniscono le finanziarie. Le misure dettate dall’emergenza non possono diventare regole ordinarie. Sul personale, ad esempio, bellissimo il reclutamento, ma se tanti medici rispondono vuol dire che tanti non hanno avuto la possibilità di specializzarsi. Questo in futuro andrà garantito. E molte strutture ad alta tecnologia create per l’emergenza andranno riconvertite.
Abbiamo bisogno dei medici cubani e cinesi?
Qualcuno ironizza, ma quello cubano è un sistema pubblico vero. Ha risorse. Spero sia chiaro anche cos’era la sacrosanta battaglia, non vinta, di Obama negli Usa.
Gli anziani tornano a casa dagli ospedali perché per loro la terapia intensiva non c’è.
In questa crisi c’è una dimensione sottovalutata, che va dall’impossibilità di salutare i propri cari alla morte in solitudine. Per me anche morire senza i sacramenti. E il rischio che ammalati di altre patologie siano trascurati. Nelle terapie intensive il momento è drammatico ma se dall’appropriatezza di una scelta si passasse alla selezione per età o per stato di salute, non sarebbe una scelta etica. Sarebbe crudele verso una generazione che ha avuto molto, ma anche dato molto.
fonte: intervista di Daniela Preziosi ne il Manifesto