Siamo davvero tutti uguali di fronte all’epidemia di Covid-19? Gli effetti diretti e ancor più indiretti, in realtà, ci stanno mostrando differenze a seconda delle condizioni socio-economiche (ad esempio, la possibilità di lavorare da casa sembra un privilegio per chi lavora presso aziende ed enti dotati di telelavoro, e anche per quanto riguarda la didattica online ci sono grandi differenze di strutture e possibilità fra le scuole) e tra le imprese, che non perdono indistintamente. E la guerra contro il nemico invisibile, se persistente, non potrà essere lasciata al mercato.
“State tutti a casa”, questa è l’esortazione che ogni giorno viene rivolta a ognuno di noi. La pandemia è un fenomeno collettivo che investe intere comunità. La dicotomia tra il singolo e la collettività non poteva emergere più nitidamente: ciascuno deve mostrare il senso della responsabilità e stare a casa per non arrecare danni agli altri. Se gli altri faranno lo stesso, cooperando e reciprocando si potrà ottenere l’obiettivo dello stop al contagio. Ciò è alla base del distanziamento più o meno forzato. E secondo questa prospettiva “siamo tutti uguali davanti al virus”. È vero?
Purtroppo una delle evidenze più forti che il Covid-19 ci sta mostrando è come gli effetti non solo diretti ma anche e soprattutto indiretti siano molto eterogenei, se non asimmetrici, rispetto alle condizioni iniziali socio-economiche dei soggetti ma anche dei settori produttivi.
Diseguaglianze socio-economiche, diseguaglianze territoriali
State tutti a casa! Beh, dipende molto dalla sicurezza lavorativa di cui si gode. Il piano “Cura-Italia” prevede una retribuzione al 50% del congedo parentale con perdite non indifferenti sui redditi dei genitori che rimpiazziano le scuole chiuse. In più inserisce misure differenziate per autonomi con una tantum di 600 euro e 100 euro per i dipendenti che continuano ad andare a lavoro a rischio contagio per impossibilità di lavoro da casa. Non considera l’ampia fetta delle tipologie occupazionali come colf e badanti, tra l’altro a più stretto contatto con anziani, non considera i lavoratori della distribuzione molti dei quali con contratti part-time o senza contratto, non considera i lavoratori migranti del settore agricolo, molti dei quali sono sottoposti al caporalato, non considera l’ampia fetta del lavoro informale che volente o nolente rappresenta una fascia sostanziale del lavoro in Italia.
Stare a casa sembra più un privilegio per chi lavora presso un’azienda o un ente pubblico che si siano dotati di telelavoro (più l’eccezione che la regola) e per chi gode di un pò di risparmio accumulato e può quindi permettersi il lusso di non lavorare. Per il resto? Nel migliore dei casi ferie obbligatorie e congedi parentali retributiti al 50%. Nel peggiore dei casi, pesanti riduzioni di reddito da lavoro.
Alle diseguaglianze economiche si accoppiano le diseguaglianze sociali e territoriali. A scuola chiusa sopperisce la didattica online? Purtroppo la didattica online non può mettersi in piedi in dieci giorni, ampie fascie della popolazione non dispongono nè della connessione di rete nè di strumenti adeguati per accedervi e i programmi non sono minimamenti strutturati. Certo l’aneddotica ci racconta di esperimenti riusciti, magari al Berchet di Milano o al Mamiani di Roma, ma dovremmo anche guardare e preoccuparci se la didattica a distanza funzioni per gli studenti di Barriera di Torino, dei Quartieri Spagnoli di Napoli, o dello Zen di Palermo, aree che riscontrano di norma un tasso molto basso di presenze di studenti in aula.
In aree già afflitte dalla povertà diffusa e divari sociali, la scuola, anche come edificio, rappresenta l’ultima opportunità, non solo di scambio, ma anche di promozione di eguaglianza sostanziale. Nella prassi non necessariamente ciò si manifesta e sappiamo bene come le condizioni reddituali e culturali delle famiglie sono la variabile che più influisce sull’effettivo conseguimento dei risultati scolastici e del percorso di studio. Tuttavia, la didattica online pone un ulteriore divario tecnologico-infrastrutturale che si innesta sui divari sociali, territoriali ed economici.
Diseguaglianze tra imprese e settori
Nella nuova crisi del Covid-19 non tutte le imprese e i settori produttivi perdono indistintamente. Il terziario del consumo sociale è e sarà pesantemente colpito dalle misure di distanziamento, cosi come il settore dei trasporti e quello dello spettacolo. C’è però anche chi vince, come le piattaforme digitali che permettono di fare web meeting. L’indice del prezzo azionario di Zoom, la piattaforma ad oggi più utilizzata per i meeting a distanza, ha superato la quotazione di Microsoft il 18 febbraio 2020, registrando una variazione in aumento del 67% con un picco il 5 marzo.
Se si guarda alla dimensione settoriale e all’andamento dei prezzi delle azioni, i settori che registrano variazioni in aumento sono il settore sanitario e soprattutto la telefonia mobile e providers di piattaforme di comunicazione. I livelli di indebitamento differenziati delle imprese sono un ulteriore fattore di eterogeneità. Le banche italiane hanno un’enorme quota di non performing loans che pesano sulla solidità del sistema bancario. Maggiori sono i livelli di indebitamento, maggiori le fragilità delle imprese che vedono ridursi i volumi di vendita. Maggiori le perdite di occupati.
Questa crisi, diversa da quella del 2008 come origine, ma che si innesta su un rallentamento globale dei flussi commerciali, su scenari di geopolitica che vedono capi di governo assolutamente impreparati e sistemi sanitari inadeguati, comporterà delle perdite di vari ordini e gradi che si ripercuoteranno dal sistema reale a quello finanziario e di nuovo su quello reale.
I meccanismi di propagazione che si possono innescare ad oggi ci sfuggono, ma appare evidente che se il contagio da Covid-19 è per ora esponenziale, o almeno così si crede, il panico sui mercati finanziari è super-esponenziale. L’aumento delle vendite di gran parte dei titoli azionari è in corso e gli effetti a cascata sull’economia reale sono dietro l’angolo.
Risposte coordinate e universali contro effetti differenziati
Le guerre sia contro nemici visibili che contro quelli invisibili sono attività troppo importanti per essere lasciate al mercato. Così l’economia statunitense durante la Seconda guerra mondiale fu soggetta a una pianificazione centralizzata di tipo quasi sovietico. Se si crede che il virus sia un nemico altrettanto esiziale, occorre prendere misure simili.
In una fase di lockdown generalizzato, se persistente, occorre che lo Stato faccia davvero sia da buyer che da employer of last resort garantendo redditi e acquisti di beni e servizi. Questa potrebbe anche essere l’occasione per riconvertire una serie di attività e portare verso una trasformazione radicale del sistema produttivo il cui inquinamento ambientale prodotto sta sicuramente facendo da culla per l’aggravemento delle conseguenze del Covid-19.
Per cominciare, una delle scelte più naturali dovrebbe essere la costituzione di una industria nazionale farmaceutica che permetta la produzione, al di fuori del mercato, di antivirali, vaccini e antibiotici di nuova generazione. I nostri centri di ricerca e ospedali hanno tutte le competenze dalla ricerca fino alla sperimentazione. Fare appropriare big pharma degli sforzi di ricerca pubblici per poi brevettare e commercializzare i risultati della ricerca già pagati dal contribuente è davvero una scelta miope e masochista (si veda Mariana Mazzucato)
Il disco rotto “state tutti a casa” non può sostituirsi allo sviluppo di una strategia che metta insieme un sistema nazionale di cure pubbliche ma anche di innovazione, di ricerca, di investimento e sostenibilità che deve necessariamente vedere il ruolo dello Stato come quello di garante e assicuratore collettivo. Per fare ciò però occorre, primo, un sostegno incondizionato della BCE che assicuri gli acquisti del debito senza condizioni da “sorvegliati speciali”.
Secondo, sul lato distributivo, un ulteriore lockdown generalizzato necessita di misure generalizzate e progressive per fasce di reddito. Occorre porre sul piatto un’assicurazione universale di sostegno al reddito da pagare anche con patrimoniali (yes, bisogna avere il coraggio di parlarne, e se non ora quando?). Purtroppo la beneficienza non ci salverà dalla recessione.
Occorre inoltre, che siano messe in atto procedure di rinegoziazione dei debiti sia degli individui che delle imprese scongiurando la possibilità di bancarotte generalizzate. Questo però in Italia sembra appartenere al libro dei sogni: è più semplice mandare l’esercito a controllare che la gente faccia la spesa al supermercato più vicino, meno governare strettamente l’approvvigionamento di dispositivi essenziali, come tamponi, mascherine (ormai con prezzi decuplicati) e farmaci essenziali alla terapia che stavano per essere esportati.
E oltre al virus, ci sono altri nemici invisibili da combattere, nemici sia individuali che collettivi: l’incertezza, il panico, l’ansia. Stiamo imparando come i nemici invisibili procurano danni ben visibili. È nella responsabilità dei governi e delle banche centrali limitare al massimo tutti gli ulteriori e ben severi danni collaterali. A nostro parere va posta particolare attenzione scientifica alle modalità delle misure di contenimento perché non arrechino danni irreversibili al tessuto democratico della società (ne abbiamo discusso qui su Scienza in rete).
fonte: SCIENZA IN RETE