In questi ultimi giorni l’emergenza sanitaria e le necessarie misure di contenimento che hanno ridotto fortemente la mobilità hanno confermato l’evidenza che “il digitale” non è esclusivamente una questione tecnologica, ma può e deve essere sempre a servizio delle persone. E, contestualmente, sono emerse inadeguatezze e disomogeneità. In primo luogo si è reso evidente che il digital divide ingigantisce le polarizzazioni: se si vive in una zona a scarsa connessione, aderire allo smart working, attivare e-learning o semplicemente mantenere i rapporti via web con familiari, insegnanti e compagni di scuola è impossibile. Di sicuro dunque la prima evidenza è che l’Italia ha necessità improcrastinabile di una connettività adeguata per sostenere attività produttive e Pa, perché senza connessione nessun servizio digitale efficace e diffuso è possibile. Il problema attiene in parte ai ritardi nella infrastrutturazione della banda ultra larga, evidenziato da ultimo anche dal mancato sblocco nel 2019 dei fondi destinati, e in parte il ritardo dal lato della domanda.
Dunque questa inedita situazione, che sta mettendo in discussione certezze e modelli, sta anche portando al parossismo temi che da tempo affrontiamo come sindacato: tra questi, l’assoluta necessità di investimenti in strumenti digitali a servizio dei settori pubblici e in formazione continua dei lavoratori e dei cittadini. Da tempo sosteniamo che l’implementazione delle nuove tecnologie non ha una connotazione neutra: come ogni cosa, va governata e tesa a rispondere ai bisogni delle persone. Non è quanto abbiamo visto in questi anni.
Il gap di digitalizzazione territoriale nel sistema pubblico, l’assenza di un unico cloud nazionale pubblico, il monopolio di gestione dei dati da parte di grandi multinazionali, la mancata educazione all’utilizzo consapevole del digitale sono solo alcuni degli elementi oggetto da tempo delle nostre riflessioni e delle nostre proposte. Pensiamo oggi alla scuola: la tecnologia, implementata in modo uniforme in tutti gli istituti pubblici, considerati come sistema complesso, avrebbe potuto agevolare almeno in parte la continuità relazionale e didattica in una situazione di emergenza. Il Miur ha reso disponibile nei primi giorni di sospensione della frequenza scolastica una pagina web per svolgere attività a distanza e oggi sta monitorando le diverse situazioni territoriali. Ma negli anni è mancata una progettazione nazionale dell’uso e dell’implementazione delle tecnologie nel settore scolastico, occasione anche per un’educazione delle nuove generazioni all’uso consapevole e critico del digitale.
È del tutto evidente che, se la scuola non si può ridurre a lezione frontale, men che meno può trasformarsi in una mera piattaforma di e-learning. Ma è un fatto che, in una situazione così straordinaria, l’aver investito in competenze dei docenti e in tecnologie inclusive negli anni passati, aver provveduto a costruire un cloud pubblico in cui caricare materiali didattici scaricabili, aver creato un archivio pubblico di risorse aperte per l’educazione e la didattica, permetterebbe oggi di sopportare e supportare meglio questa fase straordinaria. Anche in questo caso la tecnologia, non implementata in modo uniforme e ragionato, rende più evidenti le polarizzazioni e le diseguaglianze. Intanto i monopoli digitali offrono i loro servizi.
Il ministero dell’Innovazione insieme all’Agid in questi giorni ha opportunamente proposto un piano di solidarietà digitale, inizialmente previsto per i cittadini delle zone “arancioni”. Piattaforme che si mettono a disposizione per smart working o e-learning, giornali gratuiti o potenziamento dei giga a disposizione. Iniziative assolutamente encomiabili. Ma quando a proporsi sono piattaforme e tra queste ad esempio Amazon (con piattaforme di e-learning per scuola primaria e secondaria o assistenza web a Pa o imprese) o Microsoft (con tecnologia ed esperti It per soluzione di smart working), risulta evidente il tema della tutela dei dati sensibili dei cittadini e delle imprese che di quei servizi fruiranno.
Ci chiediamo se il ministero abbia siglato dei protocolli di tutela in questo senso e anche se i soggetti pubblici che devono gestire questa delicata situazione abbiano la disponibilità dei dati utili a gestire l’emergenza raccolti dalle varie piattaforme. L’iniziativa ministeriale ha il nobile intento di ridurre l’impatto sociale ed economico dell’emergenza sanitaria, ma auspichiamo che abbiano rigorosamente pensato anche a questi aspetti di tutela tutt’altro che secondari anche in situazioni straordinarie.
Da un lato, dunque, le difficoltà che le imprese riscontrano in queste ore nell’utilizzo degli “strumenti” digitali – che consentirebbero di coniugare il lavoro con la salute e la sicurezza – rendono ancora più indispensabile una contrattazione sindacale avanzata e partecipata sul tema dell’implementazione tecnologica delle imprese, sulla diversa possibile organizzazione del lavoro che ne consegue e sul diritto soggettivo alla formazione continua. Dall’altro l’emergenza rende evidente la necessità di investimenti e regia pubblica nei settori strategici della società, il superamento del digital divide, la creazione di piattaforme partecipate e aperte, cloud pubblici nazionali e rete europea, chiavi di accesso e lettura pubblica dei dati, educazione alla consapevolezza nell’utilizzo del digitale, tutela della privacy. Elementi necessari e indispensabili anche e soprattutto in situazioni eccezionali.
Cinzia Maiolini, responsabile Ufficio Lavoro 4.0 Cgil
fonte: RASSEGNA SINDACALE