Pochi mesi fa – luglio 2019 – la ex senatrice Nerina Dirindin, docente di Economia pubblica del Welfare e di Scienza delle finanze all’Università di Torino, ha proposto un decalogo per il rilancio della sanità pubblica assieme, tra le molte personalità, alle ex ministre Rosy Bindi e Livia Turco. Un allarme, nel quarantesimo anniversario dalla istituzione del Servizio sanitario nazionale, che invoca una correzione di rotta: occorre tornare a investire nella sanità pubblica, nella rete dei servizi territoriali, negli ospedali, nel personale. Bisogna rivedere profondamente il ruolo della sanità integrativa e privata, e ridurre i divari tra regione e regione, tra Nord e Sud. In piena difficoltà strutturale e manifesta della sanità italiana, è esplosa la pandemia da Covid-19. Abbiamo (ndr: Rassegna Sindacale) raggiunto Dirindin per chiederle un commento, innanzitutto sul decreto appena varato dal governo.
“Ovviamente – risponde – è estremamente importante che ci sia un sostegno all’intero sistema sanitario. Il provvedimento è quindi assolutamente apprezzabile. Affronta l’emergenza sotto il profilo sanitario ed economico con un imponente impegno di risorse. E’ importante che ci siano risorse per consentire agli operatori sanitari di lavorare in condizioni di sicurezza, con la possibilità di turnare in maniera non dico normale, perché è impossibile, ma di poter contare sui colleghi. In questo momento dobbiamo rafforzare l’offerta ospedaliera per le terapie intensive, e lo dobbiamo fare in contemporanea all’azione che sta conducendo il governo per spostare il picco dei contagi più avanti e diluirlo nel tempo, in modo che la straordinaria richiesta di terapie intensive non arrivi tutta in un unico momento. Ma sarà un periodo difficile, lungo, e certamente non basterà qualche settimana per risolverlo”.
Quali sono le altre difficoltà che la sanità, nel suo complesso, deve affrontare in questi giorni?
“Le regole imposte per contenere il contagio sono assolutamente importanti. Ma, col prolungarsi dell’emergenza, corriamo il rischio che emergano altri problemi che possono diventare anche molto seri. L’abbiamo visto nelle carceri, e questo è un capitolo a sé ma estremamente importante, perché garantire la salute dei detenuti è un dovere costituzionale. Adesso, però, abbiamo bisogno di servizi socio sanitari territoriali anche per i pazienti che non hanno il coronavirus ma che hanno bisogno di continuità delle cure, di relazioni regolari con gli operatori sanitari. Mi riferisco ai malati di mente, alle persone disabili, alle persone che vivono sole o non autosufficienti, alle persone ospitate nelle strutture sanitarie residenziali. Persone che hanno dovuto interrompere i contatti con i familiari, i volontari, gli operatori dei servizi. Penso ad esempio alle persone con disturbi mentali: per molti di loro frequentare un centro di salute mentale è fondamentale. Ora rischiano l’isolamento. Per non parlare dei senzatetto, ovviamente… In sintesi sono i più vulnerabili che rischiano l’abbandono: una ‘piccola’ emergenza dentro a una grande emergenza. Una ‘piccola’ emergenza che, se trascurata, si trasformerà anch’essa in una grande emergenza. Nel rispetto delle necessarie misure di sicurezza, alcuni servizi territoriali devono essere assicurati, nonostante il coronavirus, magari modificati nella modalità di erogazione. Non dobbiamo, ancora una volta, pensare solo a potenziare l’offerta ospedaliera, pur necessaria. Dobbiamo evitare di sospendere l’offerta sul territorio a favore delle persone più vulnerabili”.
Il vostro decalogo in difesa della sanità pubblica è stato quantomeno profetico. Secondo lei, finita, si spera il prima possibile, questa emergenza, l’Italia avrà imparato la lezione del coronavirus sull’importanza della sanità pubblica?
“Questo non è il momento di affermare l’avevamo detto, ma purtroppo è da parecchi anni che segnalavamo il rischio che il nostro servizio sanitario nazionale arrivasse al limite della capacità di affrontare i bisogni di salute della popolazione. Abbiamo vissuto un lungo periodo, almeno 10-15 anni, di depotenziamento della sanità pubblica. I dati della Corte dei Conti sono inattaccabili e dimostrano questa dinamica. Eppure, persino in questo momento, c’è chi nega il depotenziamento del servizio sanitario nazionale e usa presentare i dati in maniera pretestuosa. In realtà, in valore assoluto, non ci sono stati gli aumenti promessi di volta in volta, e in valore relativo rispetto al Pil il finanziamento del servizio sanitario è diminuito. Quindi purtroppo è vero: mancano risorse, in particolare di personale. Bisogna invertire la rotta. Il coronavirus ci insegnerà qualcosa? Guardi, mi verrebbe da dire che, forse, tra la popolazione sarà più forte la consapevolezza che la sanità pubblica è un bene prezioso sul quale bisogna investire di più. Quanto ai decisori, non so se si allenterà l’onda culturale e ideologica che il neoliberismo ci ha portato, ossia che più si indebolisce la sanità pubblica e più si sviluppa la sanità privata, meglio è. Una cultura che purtroppo in Italia si è sviluppata da tempo, per cui tutto quello che è privato è buono e tutto quello che è pubblico è improduttivo, inefficiente, oggetto di corruzione, di assenteismo. Se questa cultura subirà uno smantellamento non lo so. Mi auguro che almeno a qualcuno venga in mente che assecondare quella strada è stato un errore. Ma, siccome gli interessi economici dietro alla sanità sono tanti, dovremo vigilare ancora”.