Gig economy, i diritti di nuova generazione.di Silvia Ciucciovino

I lavoratori della gig economy riflettono forse in modo emblematico, per non dire esasperato, quella condizione di frammentazione e discontinuità della condizione lavorativa che pare connotare ineludibilmente la società contemporanea. Rimedi in termini di estensione di tutele proprie del lavoro subordinato anche a questi lavoratori sono stati recentemente previsti dal legislatore attraverso il dl 101/2019 convertito in L. 128/2019 (che ha introdotto una specifica tutela del lavoro attraverso piattaforme digitali) e dalla magistratura che ha esteso ai cosiddetti “rider eterorganizzati” il complesso delle tutele del lavoro subordinato con una sentenza molto attesa sul caso Foodora (Cass. n. 1663/2020). Si tratta certamente di avanzamenti importanti, ma si deve anche riflettere se tali tutele tradizionali siano sufficienti e in grado di rispondere ai bisogni e alle caratteristiche proprie di queste nuove forme di lavoro che – bisogna prenderne atto – sono indubbiamente molto differenti da quelle tradizionali e richiedono forse anche di ripensare le tutele e considerare l’emersione di diritti di nuova generazione, che dovrebbero stare a cuore al legislatore quanto alle parti sociali.

Uno di questi nuovi diritti può essere ravvisato nella valorizzazione dell’identità professionale del lavoratore come diritto della persona lungo l’intera traiettoria della vita attiva, oltre il singolo impiego e oltre la sussistenza attuale del rapporto di lavoro. Bisognerebbe fare in modo che la frammentarietà dei percorsi lavorativi trovi almeno una ricomposizione nella progressiva stratificazione e capitalizzazione delle esperienze, delle competenze, dei segmenti di vita lavorativa e di interventi di politica attiva. Capitalizzazione che, oltre a costituire un bagaglio personale implicito, possa essere messo in trasparenza, reso spendibile, portabile, digitale e trovare così forme di evidenza pubblica e di sicuro riconoscimento da parte di tutti gli attori del mercato del lavoro.

Sarebbe un errore guardare a questo avanzamento soltanto in un prospettiva burocratica o meramente amministrativa, perché rendere il lavoratore effettivamente titolare della propria identità professionale nel mercato del lavoro, oltre che nel rapporto del lavoro, si pone come diritto strumentale e preparatorio indispensabile al riconoscimento e sviluppo di ulteriori e più importanti tutele. Innanzitutto permetterebbe di disegnare in modo puntuale il profilo del lavoratore in una prospettiva di accrescimento dell’occupabilità e ricerca attiva del lavoro, di razionalizzazione delle misure di welfare, di potenziamento del matching con la domanda espressa dalle imprese. Ma soprattutto consentirebbe una migliore visibilità dei bisogni individuali che serve alla più efficace modellizzazione degli interventi  pubblici e privati di politica attiva, nonché a un effettivo sviluppo delle tutele di fonte sindacale. Non vanno sottovalutati, poi, i vantaggi in termini di valutazione ex post dell’efficacia delle misure adottate, in primis quelle formative che vedono come destinatario il lavoratore.

Attualmente questa identità professionale individuale a formazione progressiva non trova un reale riconoscimento nel mercato del lavoro, eppure non mancano i fondamenti normativi. A partire dall’art. 4 Cost. (da intendere come impegno della Repubblica a promuovere le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro), per passare all’art. 4, comma 51,  della L. 92/2012 dove si sancisce il diritto all’apprendimento permanente, da intendersi come “qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale. Le relative politiche sono determinate a livello nazionale… a partire dalla individuazione e riconoscimento del patrimonio culturale e professionale comunque accumulato dai cittadini e dai lavoratori nella loro storia personale e professionale, da documentare attraverso la piena realizzazione di una dorsale informativa unica mediante l’interoperabilità delle banche dati centrali e territoriali esistenti”.

In linea di continuità va poi ricordato il dlgs n. 150/2015 che prevede, all’art. 13 la realizzazione del sistema informativo unitario delle politiche del lavoro e il  fascicolo elettronico del lavoratore (art. 14), come documento che raccoglie le informazioni relative ai percorsi educativi e formativi, ai periodi lavorativi, alla fruizione di provvidenze pubbliche e ai versamenti contributivi ai fini della fruizione di ammortizzatori sociali. Tale fascicolo deve, inoltre, essere liberamente accessibile, a titolo gratuito, mediante metodi di lettura telematica, da parte dei singoli soggetti interessati. Duole constatare come numerose resistenze alla condivisione delle banche dati e difficoltà tecnico-operative hanno impedito fino a oggi la concretizzazione del fascicolo che, invece, rappresenta una priorità soprattutto per i lavoratori più deboli e fragili, al fine di supportare il riconoscimento del diritto alla identità professionale digitale.

Un gruppo di ricercatori dell’Università Roma Tre ha messo a punto una proposta scientifica e operativa per l’attivazione del fascicolo elettronico del lavoratore sfruttando le potenzialità di tecnologie avanzate come la blockchain che permettono di ottenere una soluzione altamente efficace, di semplice usabilità, flessibile, sicura, rispondente ai vincoli normativi anche in tema di privacy ed energeticamente sostenibile. La blockchain opportunamente integrata con ulteriori soluzioni tecnologiche, presenta tre importanti caratteristiche: decentralizzazione, trasparenza, sicurezza e reale immutabilità dei dati e della loro storia. Consente, così, di registrare e certificare in modo sicuro, attendibile, temporalmente definito ed immodificabile i dati riferiti al singolo lavoratore tracciando, così, i percorsi formativi, i periodi lavorativi, gli ammortizzatori sociali fruiti, i contributi, eccetera. Il fascicolo elettronico raccoglie, centrandole sulla persona del lavoratore, informazioni e dati che lo riguardano. Il titolare del fascicolo è il lavoratore che potrebbe così in ogni momento verificarne la corretta popolazione.

Non va trascurata la valenza di sistema che una simile innovazione potrebbe avere nel senso della valorizzazione della identità professionale del singolo e di più agevole gestione anche di tutele e diritti. Un salto di qualità nella correzione della fragilità dei lavoratori della gig economy e, più in generale, di tutti coloro che sono caratterizzati da una discontinuità lavorativa, si potrà avere soltanto dando vero impulso agli strumenti dell’azione sindacale e dell’autonomia collettiva. Ma per dirigersi in questa direzione occorre forse anche ripensare e attualizzare le forme di esercizio delle libertà e dei diritti sindacali per lavoratori il cui legame fisico con i luoghi e l’orario è sempre più frammentario ed evanescente. Questo impone al sindacato di riflettere: a) su modi nuovi per intercettare bisogni e creare consenso e aggregazione attorno a interessi comuni; b) favorire l’esercizio dei diritti sindacali.

Per quanto riguarda il primo punto si è già detto delle potenzialità che possono sprigionarsi dalla messa in atto del fascicolo elettronico del lavoratore; riguardo al secondo punto bisogna forse andare alla ricerca del nucleo di base dei diritti sindacali tradizionali per individuare forme alternative per la loro espressione. Ad esempio la comunicazione tra lavoratore e sindacato che sta alla base del diritto di assemblea, del diritto di affissione, del diritto al referendum, deve trovare modalità espressive smaterializzate, meno ancorate ai luoghi di lavoro e proiettate in una dimensione virtuale e digitale. Le community virtuali che social e tecnologie dell’informazione consentono di realizzare potrebbero essere concepite in modo funzionale a questo scopo. Ma soltanto la riconoscibilità professionale di individui e bisogni può supportare uno sviluppo serio e strutturato in questa direzione.

L’articolo è tratto da Idea Diffusa, il supplemento realizzato da Rassegna Sindacale insieme all’Ufficio Lavoro 4.0 della Cgil nazionale. Il nuovo numero, dedicato a vari aspetti della gig economy, si può scaricare qui in versione integrale e gratuita.

L’autrice Silvia Ciucciovino è ordinario di Diritto del Lavoro.

fonte: RASSEGNA SINDACALE

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