Misurare l’iniquità nella salute. di Giacomo Galletti

È essenziale misurare le diseguaglianze e assumere l’impegno ad intervenire sui loro determinanti.

Un americano, un inglese, un ruandese, un bengalese, un giamaicano, un cinese, un brasiliano e un keniota scrivono un articolo scientifico

Così potrebbe iniziare la più classica delle barzellette, laddove però, sul tema trattato dall’articolo in questione, c’è purtroppo poco da ridere. Il titolo, va detto, non sembra particolarmente rivoluzionario: Mettere l’equità nella salute al cuore della copertura universale – la necessità di programmi d’azione nazionali[1].

È apprezzabile però che venga utilizzato il termine heart, cuore appunto, laddove si è soliti leggere center, quasi ad evocare un’urgenza viscerale delle azioni needed, necessarie.  Poi c’è quel “programmi di azione”, che rispetto ad altri termini usati in questi contesti, come policies interventions, appare più diretto, immediato, operativo, concreto, e rende perfettamente l’urgenza di un innesto al cuore della copertura universale. Ah, già, a proposito: c’è la copertura universale, roba ormai da ventesimo secolo!  Eppure, il rilancio dell’equità al cuore della copertura sanitaria universale, operato dalle pagine autorevoli del British Medical Journal attraverso voci altrettanto autorevoli di autori (l’americano, l’inglese, il ruandese, il bengalese, il giamaicano, il cinese, il brasiliano e il keniota) tra le quali spicca quella di un certo Michael Marmot[2], la dice lunga sulla rilevanza di questo articolo.

La cosa migliore da fare, a questo punto, sarebbe scaricarsi il documento e leggerselo, magari un po’ alla volta, magari con una matita, o un evidenziatore, o un Oxford Dictionary a portata di mano. Però capisco che il tempo a disposizione è quello che è e l’inglese, per chi non ha modo di averne a che fare tutti i giorni, richiede comunque un impegno supplementare.

Allora facciamo che, seguendo passo passo i passaggi dell’articolo, provo a darvene qualche spunto al volo, un’idea di massima dei temi trattati o delle suggestioni che ne possano invogliarne la lettura.

Sottotitolo

Parto dal sottotitolo: è essenziale (non “necessario”, non “opportuno”, non “utile” ma proprio “essenziale”!) misurare le diseguaglianze e assumere l’impegno ad intervenire sui loro determinanti.

Il messaggio è chiaro: senza i dati si va poco lontano. Se l’equità è il cuore della universal coverage, i dati sono i globuli rossi del sistema.

Introduzione

Si contestualizza il discorso sull’equità all’interno degli obiettivi di sviluppo del millennio (Millenium development goals, MDGs) proposti dalle Nazioni Unite, specificando però che apprezzare i progressi registrati a livello di dati aggregati sugli indicatori chiave non deve farci distogliere l’attenzione dalla distribuzione planetaria dei polli di Trilussa[3].

Gli autori esprimono questo concetto in modo meno colorito ma più significativo, ricorrendo ad un esempio: un neonato in un quartiere suburbano benestante a maggioranza bianca di Saint Louis (Missouri, USA) può aspettarsi di vivere 35 anni in più di un “coetaneo” nato in un quartiere a poche miglia di distanza, a prevalenza afroamericana, dove il livello del reddito è basso.

Gli autori ci fanno capire che “il cardiologo”, che vuole curare l’equità di salute che assicura il benessere alla copertura universale, non guarda agli Stati Uniti, non guarda al Missouri, non guarda nemmeno alla città dove l’omonimo fiume confluisce col Mississippi poche miglia a nord della catenaria pesata capovolta del Gateway Arch[4].

Guarda ai quartieri.

Quartieri coi polli e quartieri senza.

Poche miglia e trentacinque anni di distanza tra un cuore (vero) che continua a battere e uno che non batte più.

Un progresso non livellato

Il progresso nel ridurre le disuguaglianze di salute procede quindi, a livello planetario, in modo non livellato, come recita il primo paragrafo. Si tratta di progressi a due velocità, quelli registrati su indicatori chiave degli obiettivi di sviluppo del millennio, come quelli afferenti all’ambito della salute materno-infantile. Ad esempio: in generale la malnutrizione infantile si è ridotta, ma il gap tra i bambini delle famiglie più ricche e quelli delle famiglie più povere si è allargato in oltre un terzo dei paesi; ancora,  più donne in generale hanno ricevuto un’assistenza qualificata al parto, ma ciò si è verificato in meno del 30% delle donne più povere e in più dell’80% delle donne più ricche.

Allora, se si guarda indossando le lenti dell’equità, i bersagli, così come sono disegnati dai Millenium development goals, appaiono sfumati, i risultati meno coloriti di quanto possa lasciar intendere una lettura del dato aggregato.

E guardare con le lenti dell’equità significa sostanzialmente “misurare ciò a cui diamo valore”.

Misurare ciò a cui diamo valore

Measuring what we value è il titolo del paragrafo successivo.

Qui si parte dal presupposto strategico della visibilità delle disuguaglianze.

Se infatti partiamo dal presupposto che misuriamo ciò che ha per noi valore, a giudicare dalle misure attualmente disponibili questa cosa qui dell’equità non riscuote più di tanto interesse. Capita spesso, infatti, di trovare dati su popolazioni svantaggiate, ma raramente su “gruppi svantaggiati” all’interno delle popolazioni; si trova facilmente lo stato del Missouri, ma non si trovano i quartieri di Saint Louis.

In quest’ottica (!) la lente dell’equità permette di mettere a fuoco il vero bersaglio, e lo fa attraverso i dati disaggregati. Come sta avvenendo in Rwanda, dove il governo si è concentrato sul 25% più povero della popolazione e ha individuato tra gli obiettivi di successo quelli che riguardano – con adeguate misure – il raggiungimento dell’equità.

Health equity programmes of action

Ed eccoci al penultimo paragrafo dell’articolo.

Qui basta guardare il box dove sono indicati i sette principi per i programmi di azione (vedi ad esempio il Principio 2), i quali, in estrema sintesi, richiedono da una parte la partecipazione e l’inclusione dei soggetti interessati dal livello micro (della popolazione) a quello macro (delle istituzioni), dall’altra l’adozione di quei principi operativi/gestionali che si possono comunemente leggere in una scheda progetto di Project Management.

La cosa più interessante, al di là dei principi sostanzialmente ispirati a capacità di visione, efficacia e buon senso, è però la lettura delle azioni concrete che a questi si sono richiamate. L’interesse scaturisce in parte dal fatto che  si è sviluppata l’abitudine a leggere negli articoli scientifici raccomandazioni introdotte dal “si deve”, “bisogna”, “è opportuno” o, appunto, “si raccomanda”, spesso formulate al condizionale. Qui, invece, la raccomandazione (il principio) è accompagnata a qualcosa di più di semplici buone pratiche: a programmi d’azione che sono stati messi in opera. Il messaggio può pertanto essere letto in chiave ottimistica: si è fatto, e quindi si può fare. Si può chiamare all’azione.

Principio 2.  Dare il massimo valore all’equità nella salute. Nel 2008 il governo Australiano individuò l’obiettivo dell’equità nella salute e nella speranza di vita tra Aborigeni e Australiani non-indigeni entro l’anno 2031.  In collaborazione con la popolazione Aborigena è stato sviluppato un piano sanitario per il 2013-2023 per raggiungere tale obiettivo. Il piano riconosce che il razzismo e la discriminazione sono fattori che impediscono il raggiungimento dell’obiettivo e ha introdotto una strategia nazionale anti-razzista.

Call to action

L’idea è quella di un’azione globale organizzata secondo il principio del progresso nell’equità di salute[5]. La chiamata all’azione parte da quattro messaggi chiave, secondo cui l’equità:

  • alla fine del periodo degli obiettivi di sviluppo del millennio (2015) è stata lasciata indietro;
  • richiede uno sviluppo deliberatamente e inclusivamente pianificato, opportunamente finanziato, politicamente sostenuto;
  • le analisi, le valutazioni e i monitoraggi richiedono la disponibilità di dati disaggregati;
  • i programmi d’azione offrono ottime prospettive per una pronta messa in opera degli interventi, in modo sistematico e sistemico.

Eppure, più che a quelle dei quattro messaggi chiave, le parole a cui sento di voler lasciare le conclusioni di questo post sono le stesse con cui Marmot e colleghi pongono fine, con enfasi, al loro lavoro.

E sono queste:

“le iniquità sono alla radice di milioni di morti prevenibili all’anno.

Sarebbe una grave ingiustizia vedere approssimarsi il 2030,

e, ancora, scoprire che il mondo ha fallito

nel tradurre nobili promesse in azioni tangibili.”

Giacomo Galletti, abitualmente in forza all’Agenzia regionale di sanità della Toscana, qui però in versione free lance.

Bibliografia

  1. Friedman EA, Gostin LO, Kavanagh MM,et al. Putting health equity at heart of universal coverage—the need for national programmes of action. BMJ 2019;367:l5901 doi: https://doi.org/10.1136/bmj.l5901
  2. Wikipedia: Michael Marmot
  3. Il celebre “pollo di Trilussa” non ha una sua voce su Wikipedia (qualcuno, se ha tempo, rimedi). Però si può leggere qui
  4. Wikipedia: Arco della porta
  5. Su Google equità e salute si trovano collegate con diverse preposizioni articolate (equità della/nella/per la salute) e un paio di semplici (in, di). Non ho trovato chiare indicazioni su quale sia preferibile usare. Per quel che mi riguarda esprimo la mia preferenza sull’equità DI salute, quasi a rimarcare l’equità come una proprietà intrinseca del concetto di salute stessa…
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