Per una vera cittadinanza agli stranieri. di Maurizio Ambrosini

Sulla cittadinanza l’Italia ha le regole più restrittive dell’Europa occidentale. Ciononostante, i nuovi italiani aumentano. Sono risorse da accogliere. Anzi, dovremmo impegnarci per trasformare la cittadinanza legale in una cittadinanza sostanziale.

Risorse sprecate

L’inizio di un nuovo anno è un momento propizio per gli auspici e le speranze. Nel suo discorso di fine anno, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha detto tra l’altro: “Dobbiamo creare le condizioni che consentano a tutte le risorse di cui disponiamo di emergere e di esprimersi senza ostacoli e difficoltà. Con spirito e atteggiamento di reciproca solidarietà. Insieme.”

Tra le risorse di cui dispone il nostro paese, una componente crescente ma trascurata è quella dei nuovi italiani. Troppo spesso si continua a pensare la composizione della popolazione in termini dicotomici: gli italiani da una parte, gli stranieri dall’altra. In realtà, si tratta di un sistema dinamico, in continuo mutamento e rimescolamento.

Un aspetto saliente del dinamismo sono le acquisizioni di cittadinanza. In nessun paese, per quanto democratico, gli stranieri sono immediatamente parificati ai cittadini, ma nessun paese democratico impedisce loro di diventare cittadini, una volta soddisfatte determinate condizioni: un certo periodo di residenza, una discreta conoscenza della lingua, una fedina penale pulita. Queste condizioni in Italia sono le più restrittive dell’Europa occidentale. Mentre la maggior parte degli stati della regione si è attestata su una soglia di cinque anni di residenza per accedere alla naturalizzazione, noi ne richiediamo dieci ai cittadini “extracomunitari”, contro quattro per i “comunitari”. Come se non bastasse, la gestione Salvini del ministero degli Interni, con un semplice decreto, ha raddoppiato, da due a quattro anni, il tempo richiesto per l’esame delle istanze, portando così a quattordici anni per la maggior parte degli immigrati la durata dell’attesa per entrare nella comunità degli italiani.

Ciononostante, ogni anno un certo numero di residenti stranieri riesce a districarsi nelle maglie delle procedure burocratiche e a ottenere il sospirato passaporto italiano. La tendenza negli ultimi tre anni è stata calante, anche per effetto del decreto ricordato, ma nel complesso i nuovi italiani aumentano: 201.600 nel 2016, 146.600 nel 2017, 112.500 nel 2018.

Una nuova idea di italianità

Due paradossi accompagnano il fenomeno. Un po’ ovunque, le tensioni politiche intorno all’immigrazione, e in particolare il timore dell’avvento di norme più restrittive anche nei confronti degli stranieri da tempo residenti, spingono a naturalizzarsi per entrare a far parte definitivamente della comunità dei cittadini.

In secondo luogo, anche una parte dei nuovi italiani, una volta acquisita la cittadinanza, è partita verso altri paesi, attuando una “seconda migrazione”: tra il 2012 e il 2017, poco meno di 43 mila, secondo il rapporto “Italiani nel mondo” della Fondazione Migrantes. Un dato peraltro molto probabilmente sottostimato, perché molti emigranti non si cancellano dall’anagrafe. In altri termini, la naturalizzazione non è servita loro per coronare un processo d’integrazione, ma per accedere a un diritto di mobilità in precedenza negato. Viene da pensare: chi non ama gli immigrati, dovrebbe favorire le naturalizzazioni per agevolarne la partenza.

Le sollecitazioni che derivano da questi dati sono almeno tre. La prima: dobbiamo imparare una nuova grammatica e una nuova estetica dell’italianità. Ossia acquisire pienamente il fatto che si può essere italiani anche con la pelle scura, con gli occhi a mandorla, con il velo, con il turbante, con un cognome irto di consonanti e difficile da pronunciare. Lo stesso presidente Mattarella in molte uscite pubbliche è accompagnato da un giovane corazziere dalla pelle scura. Impariamo da lui.

La seconda sollecitazione: richiamando il discorso del Presidente della Repubblica, sarebbe bene accogliere queste nuove risorse, non lasciandole ad aspettare per un tempo irragionevole fuori dalla porta. In attesa di cambiare la legge, accorciamo almeno il tempo necessario per l’esame delle istanze, rispetto ai quattro anni di Matteo Salvini.

La terza sollecitazione riguarda invece i luoghi educativi, l’associazionismo, il volontariato, le occasioni di incontro e aggregazione. Domandiamoci quanti nuovi italiani vi accedono e vi partecipano attivamente. Proponiamoci nel nuovo anno di raggiungerne e di coinvolgerne qualcuno in più. Trasformiamo la cittadinanza legale in una più avanzata cittadinanza sostanziale.

fonte: LAVOCE.INFO

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