E’ un panorama non confortante quello che riguarda le carceri italiane alla fine del 2019, dove il numero dei detenuti è in costante crescita. Al 30 novembre 2019 erano infatti 61.174, circa 1.500 in più della fine del 2018 e 3.500 in più del 2017. Un aumento su cui non pesano gli stranieri che, sia in termini assoluti che percentuali, sono diminuiti rispetto allo scorso anno. Se al 31 dicembre 2018 erano infatti 20.255, pari al 33,9% del totale dei detenuti, al 30 novembre 2019 erano 20.091, pari al 32,8% del totale dei ristretti.
Il tasso di affollamento ufficiale è del 121,2%, tuttavia circa 4.000 dei 50.000 posti ufficiali non sono al momento disponibili è ciò porta il tasso al 131,4%. Un esempio è quello che riguarda il carcere milanese di San Vittore, dove 246 posti non sono disponibili e dove il tasso di affollamento effettivo è del 212,5%, cioè ci sono più di due detenuti dove dovrebbe essercene uno solo. Anche senza posti non disponibili, tuttavia, ci sono istituti dove le cose non vanno meglio, ad esempio Como e Taranto, dove il tasso di affollamento è del 202%. In generale, al momento, la regione più affollata è la Puglia, con un tasso del 159,2% (il 165,8% se consideriamo i posti conteggiati ma non disponibili), seguita dal Molise (150% quello teorico, 161,4% quello reale) e dal Friuli Venezia Giulia (144,1% teorico e 154,7% reale).
“Ancora una volta dobbiamo constatare come, a fronte di un calo dei reati, aumenti il numero dei detenuti” dichiara Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione che dal 1991 si occupa di diritti e garanzie nel sistema penale e penitenziario. “Questo dato si spiega con un aumento delle pene, frutto di politiche che, guardando ad un uso populistico della giustizia penale, hanno risposto in questo modo ad una percezione di insicurezza che non trova riscontro nel numero dei delitti commessi. Quello della crescita dei reclusi è un trend che nell’arco di poco tempo potrebbe portarci nuovamente ai livelli che costarono all’Italia la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per trattamenti inumani e degradanti”, specifica il presidente di Antigone.
Nel corso del 2019 Antigone, grazie alle autorizzazioni che dal 1998 riceve dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha visitato con i propri osservatori 106 istituti penitenziari (oltre la metà di quelli presenti in Italia). L’elaborazione dei dati raccolti è ancora in corso ma i dati che emergono dalle 66 schede già lavorate restituiscono un panorama preoccupante per la vita negli istituti. Innanzitutto, nel 27,3% degli istituti visitati, più di un quarto, sembrerebbero esserci celle in cui i detenuti hanno a disposizione meno di 3mq a testa di superficie calpestabile, una condizione che secondo la Cassazione italiana è da considerare inumana e degradante, in violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei dei diritti dell’uomo. Inoltre in più della metà degli istituti sono state trovate celle senza acqua calda disponibile e, in altri cinque, celle in cui il wc non era nemmeno in un ambiente separato dal resto della stanza.
Anche sulla situazione sanitaria delle carceri emerge preoccupazione. In un terzo degli istituti visitati non era presente un medico h24 ed in media per ogni 100 detenuti c’erano a disposizione 6,9 ore settimanali di servizio psichiatrico ed 11,6 di sostegno psicologico. Una presenza bassissima se si considerano le patologie psichiatriche di cui soffre parte della popolazione detenuta. Dalle rilevazioni dell’osservatorio di Antigone è infatti emerso che il 27,5% degli oltre 60.000 reclusi assumeva una terapia psichiatrica. Inoltre 10,4% erano tossicodipendenti con un trattamento farmacologico sostitutivo in corso.
Anche per quanto riguarda il lavoro la situazione non è migliorata rispetto agli anni passati. I detenuti che lavoravano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria sono, in media, circa il 25% e, nella maggior parte dei casi, questo impegno è solo di poche ore al giorno e non in tutti i giorni della settimana. Solo il 2,2% lavora per una cooperativa privata o per un datore di lavoro esterno. Infine, nel 30% degli istituti visitati, non c’è alcun corso di formazione professionale. “Se il lavoro è uno degli strumenti di maggior importanza per una effettiva risocializzazione del condannato, questi numeri testimoniano un sistema spesso schiacciato sulla funzione custodiale” sottolinea ancora il presidente di Antigone.
“Un fattore quest’ultimo che emerge anche dando uno sguardo alla distribuzione del personale penitenziario, in maggioranza composto da agenti di polizia. In media, nelle nostre visite, abbiamo trovato un agente ogni 1,9 detenuti (uno dei dati più bassi in Europa), ed un educatore ogni 94,2 detenuti. Inoltre solo in poco più della metà degli istituti c’era un direttore a tempo pieno, con tutte le difficoltà di gestione della vita interna che questa mancanza comporta. A proposito di nuove assunzioni nelle carceri – conclude Patrizio Gonnella – speriamo che si sblocchi presto quella di giovani direttori. Il bando è fermo da troppo tempo. Ne va della finalità rieducativa della pena prevista dall’articolo 27 della Costituzione”.
Ulteriori dati sul sistema penitenziario italiano, con anche il dettaglio per le singole regioni, nella dashboard sul sito del nostro osservatorio, consultabile a questo link.
fonte: ANTIGONE