La prevenzione contro la violenza di genere. di Claudia Villante

Fanno riflettere i dati della recente indagine Istat sull’accettabilità sociale della violenza di genere. È evidente la necessità di una strategia più ampia che punti sulla prevenzione, oltre a rafforzare la protezione delle vittime e a punire gli autori.

Stereotipi molto resistenti

La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica indica nella prevenzione uno dei pilastri della cosiddetta strategia delle “3P” (prevenire, proteggere le vittime, perseguire gli autori); invita perciò gli stati a predisporre misure volte a contrastare le cause profonde del fenomeno e a cambiare atteggiamenti, ruoli di genere e stereotipi che lo rendono accettabile.

L’Italia ha ratificato la Convenzione con la legge n. 77 del 27.6.2013, ma la recente indagine condotta dall’Istat mette in chiaro come nel nostro paese sia ancora troppo elevato il livello di accettabilità della violenza nei confronti delle donne. Come emerge in modo sorprendente dai dati, esistono “sacche di stereotipi”, specialmente in alcune regioni del Sud, in virtù dei quali si ritiene che se una donna è vittima di violenza ne sia in parte responsabile.

Il grafico 1 evidenzia la presenza di una quota rilevante di persone (sia uomini che donne) che si dice “molto d’accordo” con affermazioni del tipo “una donna che non vuole un rapporto sessuale, riesce a evitarlo” (39,3 per cento) o, benché in percentuale minore, “una donna può provocare la violenza sessuale con il suo modo di vestire” (quasi un cittadino su quattro). Il 15 per cento, poi, pensa che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile.

Tuttavia, questi dati non fanno che confermare quanto già rilevato nel 2017 da Eurobarometro: l’Italia risultava infatti tra i nove paesi dove il Gender Stereotype Index era più elevato. Non a caso, oggi l’indagine Istat ci dice che per il 32 per cento degli italiani intervistati “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro”, per il 31,5 per cento “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche”, per il 27 per cento “è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia”. Da questo punto di vista, l’Italia appare molto più vicina ai paesi dell’Est europeo e tra quelli del Mediterraneo è sicuramente quella dove i ruoli di genere risultano ancora molto stereotipati (grafico 2).

Come prevenire la violenza

È quindi importante conoscere il fenomeno della violenza nel suo complesso, studiandone i diversi aspetti come l’Istat (in collaborazione con il dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri) propone attraverso questo sito.

I dati raccolti, d’altra parte, ci portano a riflettere sulla necessità di pensare non solo a inasprire le pene e velocizzare le procedure penali contro gli autori (legge 19 luglio 2019, n. 69, cosiddetto “codice rosso”) e a proteggere le vittime e i loro figli (con l’innalzamento del fondo per le pari opportunità ripartito tra le regioni e province autonome per il finanziamento dei centri anti violenza e delle case rifugio e con il recente decreto per lo sblocco dei fondi per gli orfani di femminicidio), ma ad agire in modo preventivo, attraverso azioni efficaci che annullino l’accettabilità sociale della violenza di genere.

Tuttavia, le azioni da mettere in campo su questo fronte non portano a risultati immediati ed è difficile misurarne adeguatamente l’impatto. In alcune iniziative europee (come quelle finanziate dal programma “Rights, Equality and Citizenship” e ancora prima dal programma Daphne) si richiede la misurazione dei cambiamenti comportamentali generati dai progetti sui destinatari degli interventi (donne, giovani, educatori e altri) e, a supporto di chi progetta gli interventi, viene messa a disposizione una letteratura specializzata su questo approccio valutativo.

Si tratta di una sfida che richiede la partecipazione di diversi attori, in primo luogo la scuola perché è lì che si coltivano i valori del rispetto della differenza e si sviluppa il pensiero critico. Le iniziative di formazione di studenti, docenti e genitori sono però ancora sporadiche, per lo più legate all’iniziativa personale di docenti e dirigenti sensibili alla tematica, e misurarne l’impatto è certamente difficile. Le azioni di prevenzione dunque vanno estese così come occorre coinvolgere quelle agenzie formative (culturali, sportive, sociali) dove il lavoro di riflessione sulle tematiche della violenza di genere è ancora tutto da inventare.

* Le opinioni espresse dall’autrice non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.

fonte: LAVOCE.INFO

CLAUDIA VILLANTE:  attualmente Primo Ricercatore in ISTAT, ha lavorato presso l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro e l’Istituto Nazionale Analisi delle Politiche Pubbliche. Si è occupata di valutazione delle politiche sociali e del lavoro, con particolare riferimento all’impatto sulle fasce deboli ed ha ricoperto diversi incarichi di esperta per l’analisi di genere delle politiche pubbliche. Ha svolto attività di docenza presso l’Università di Roma dove ha conseguito un dottorato di ricerca in “Sistemi sociali e analisi delle politiche pubbliche.

Print Friendly, PDF & Email