Sono stati nominati due nuovi ministri per la Scuola e l’Università, ma non si può mettere sotto il tappeto la questione sollevata dal dimissionario Fioramonti. E’ ora di guardare alla luna, o non vedremo un futuro migliore nel nostro Paese.
Il ministro dell’Istruzione Fioramonti ha rassegnato le dimissioni denunciando l’assenza di investimenti sull’istruzione e la ricerca. In particolare il ministro ha dichiarato che il sistema di istruzione e ricerca richiederebbe “24 miliardi” per un adeguato finanziamento, mentre l’obiettivo di finanziamento urgente – la “linea di galleggiamento” – richiesto dal ministro era di 2 miliardi per la scuola e 1 miliardo per l’università nel 2020. La conoscenza è un fattore fondamentale nel determinare le disuguaglianze nella società, così come nell’abilitare l’innovazione tecnologica della produzione, la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro, la riconversione ecologica dell’economia. Il nostro Paese attraversa una grave crisi sociale ed economica, maturata di pari passo con la riduzione degli investimenti nella conoscenza, perciò gli obiettivi nel finanziamento e nel governo del sistema di istruzione e ricerca dovrebbero essere quanto più ambiziosi possibile. Guardando alla Luna anziché al dito, le dimissioni di Fioramonti possono attirare l’attenzione su una drammatica assenza di attenzione della classe politica e dell’opinione pubblica ad uno dei principali ostacoli allo sviluppo sostenibile del Paese.
Il dato più importante citato dall’ex-ministro non è quello dei 3 miliardi mancati, ma i 24 miliardi necessari alle scuole e alle università. La media OCSE di spesa in istruzione rispetto al PIL consiste infatti nel 5%, mentre il nostro Paese investe il 3,6%: la differenza per raggiungere la media è del 1,4% pari a circa 24 miliardi (dati OECD 2016). Senza queste risorse continueremo ad occupare il fondo delle classifiche per investimenti in istruzione. Non è una questione di competizione nel ranking internazionale, ma significa riuscire realmente a risolvere i problemi della scuola e dell’università.
Questa situazione è stata causata dai tagli di 8 miliardi sulla scuola e 1 miliardo sull’università stabiliti da Tremonti, ma nessun governo negli ultimi dieci anni ha concretamente cercato di invertire la rotta. Ogni anno le rilevazioni OCSE-PISA riportano dati relativamente negativi sulle competenze degli studenti italiani, ma il dibattito pubblico – e soprattutto all’interno della classe politica – non affronta il principale divario tra noi e gli studenti di altri Paesi: le risorse e gli strumenti a disposizione dei lavoratori della conoscenza e degli studenti. La spesa media annuale per studente in Italia ammontava nel 2016 a 9,298 dollari, mentre in Francia raggiungeva 11,364 dollari e in Germania 12.583 (OCSE).
La carenza di fondi incide sugli strumenti di cui la scuola e l’università possono dotarsi per garantire la qualità della formazione, un aspetto fondamentale per contrastare le disuguaglianze. Il tasso di dispersione scolastica ammonta al 14,5% nel 2018 (ISTAT) e in aumento da due anni, mentre il 62,5% degli studenti italiani nel 2016 ha avuto difficoltà a pagarsi gli studi – un dato superiore di 20 punti alla media europea (Eurostat). Oltre a danneggiare la qualità della formazione, la carenza di fondi impedisce di permettere a tutte e tutti l’accesso alla conoscenza a prescindere dalla propria condizione economica di provenienza.
Nell’ambito universitario la carenza di fondi ha causato una condizione disastrosa del personale poiché negli ultimi dieci anni la ricerca si è fondata sul lavoro di professionisti precari e sottopagati. Il costo dei tagli ha pesato sulle vite di chi ha scelto di dedicarsi alla conoscenza e ha incrementato la fuga di cervelli verso Paesi che offrono maggiori stipendi e maggior riconoscimento sociale.
Noi studenti subiamo la carenza di docenti e di spazi, in parte aggirata attraverso la negazione del diritto allo studio con il taglio del numero di corsi e l’imposizione dei numeri programmati e del numero chiuso. I tagli al Fondo di finanziamento ordinario degli atenei sono stati inoltre scaricati sugli studenti con forti aumenti delle tasse universitarie, a cui solo parzialmente si è posto rimedio con la no-tax area istituita dal governo Renzi. Infatti ancora troppi studenti sono costretti a pagare più di mille euro ogni anno per accedere ad un diritto fondamentale, nonostante il sistema formativo dovrebbe essere gratuito e finanziato tramite la fiscalità generale.
Il risultato di questa negazione decennale del diritto allo studio è il 19% dei laureati in Italia a fronte di una media OCSE del 37%. La situazione negli ultimi anni migliora tra i più giovani della fascia di 25-34 anni, in cui il tasso di laureati ha raggiunto il 28% nel 2018, ma comunque al di sotto della media OCSE del 44% – solamente il Messico ha una percentuale inferiore. L’assenza di elevati titoli di studio è il primo ostacolo ad uno sviluppo sostenibile, che richiede elevate conoscenze dei lavoratori per poter adottare tecnologie innovative e nuovi modelli produttivi dal minor impatto ambientale. Senza investire sulla conoscenza è impossibile definire un futuro migliore per la nostra società, ecco perché le dimissioni di Fioramonti – dopo dieci anni di mobilitazioni di studenti e lavoratori della conoscenza – dovrebbe spingere la classe politica ad azioni radicali per finanziare e tutelare il diritto allo studio.
Questa attenzione manca probabilmente perché non vi è un vero interesse politico a costruire una società della conoscenza, fondata sull’innovazione. Il nostro Paese nell’arco di trent’anni ha perpetrato un modello di sviluppo sempre più basato sulla riduzione del costo del lavoro piuttosto che sugli investimenti. Nonostante le retoriche di vari ministri sulle nuove tecnologie e l’industria 4.0, la spesa nel nostro Paese per la ricerca si attesta al 1,4% del PIL, mentre il tasso raccomandato dalla Commissione Europea per realizzare un reale processo di innovazione al passo con i nostri tempi è del 3%. Senza questi investimenti, non ci potrà essere una durevole ripresa economica né la riconversione ecologica di cui anche questo governo si dice sostenitore.
Un piano di investimenti per 24 miliardi non è sicuramente scontato, non in un Paese che ha rinunciato a prendere le risorse dove è più giusto per il bene comune. La campagna Sbilanciamoci! da tanti anni richiede una serie di misure che potrebbero fornire ingenti finanziamenti a vantaggio di tutta la società: l’aumento della “tobin tax” sulle transazioni finanziarie; l’aumento della web tax; il taglio dei sussidi ambientalmente dannosi; la riduzione delle spese militari. Le micro-tasse proposte da Fioramonti fornivano un gettito molto limitato rispetto alle esigenze, mentre con un piano di redistribuzione e revisione della spesa orientato alla giustizia sociale e alla riconversione ecologica si potrebbero ottenere notevoli risorse, raggiungendo in pochi anni un livello dignitoso di finanziamento. Sono stati nominati due nuovi ministri per la Scuola e l’Università, ma non si può mettere sotto il tappeto la questione sollevata da Fioramonti. E’ ora di guardare alla luna, o non vedremo un futuro migliore.
fonte: SBILANCIAMOCI