La salute diseguale, dal dire al fare. di Matteo Bessone, Chiara Bodini

La salute fisica e mentale è un bene troppo prezioso per essere affidato a tecnici o al mercato. La partecipazione attiva di ciascuno e di tutti  alla costruzione di una società più sana costituisce un elemento fondamentale per la tutela e la promozione della salute.

Un ampio e solido corpo di evidenze epidemiologiche converge nell’indicare nelle condizioni di svantaggio sociale un fattore di rischio determinante per la salute. Tali studi, a partire dal lavoro della Commissione sui Determinanti Sociali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sottolineano l’importanza dei contesti di vita e della più ampia organizzazione sociale nel distribuire salute e malattia nella popolazione. I principali responsabili di tale processo sarebbero, appunto, i determinanti sociali: “le cause delle cause” della salute, fisica e mentale, che comprendono stili di vita individuali, reti sociali e comunitarie, ambienti di vita e lavoro, il contesto politico, sociale, economico e culturale. Tutti fattori con i quali le persone, con il proprio corredo biologico, interagiscono nel corso della vita[1-6].

L’analisi di questi fattori costituisce il fulcro del primo capitolo del libro “Un nuovo mo(n)do per fare salute”, redatto dalla Rete Sostenibilità e Salute, in cui viene sottolineata la necessità, in qualsiasi discorso sulla salute, di considerare la centralità delle dimensioni politico-sociali e, all’interno di queste, dei fattori economici. Con diversi gradi di vicinanza all’individuo, alcuni determinanti sociali, quelli distali (contesto politico, socioeconomico e culturale), costituiscono i principali responsabili della stratificazione sociale che, a sua volta, è implicata nella distribuzione differenziale, nella popolazione dei fattori di rischio e protezione per la salute, fisica e mentale: si tratta dei determinanti delle disuguaglianze sociali. I determinanti prossimali (condizioni di vita e lavoro, stili di vita, reti sociali e comunitarie), invece, sono i principali mediatori attraverso cui la stratificazione sociale influenza gli esisti di salute dei differenti (gruppi di) individui nella popolazione[1,6].

Le persone appartenenti a classi sociali più svantaggiate sono, rispetto a chi si trova in condizioni di maggior vantaggio, più esposte, nei propri contesti di vita e lungo l’arco di vita, a fattori di rischio (materiali, psicosociali, comportamentali) per la salute sia fisica che mentale, meno dotate dell’insieme di risorse (materiali, immateriali e di aiuto) in grado di proteggerle da eventi avversi, più vulnerabili agli effetti sfavorevoli dei fattori di rischio e più danneggiate dalle conseguenze sociali della malattia[6]. Qualunque sia l’indicatore utilizzato per determinare la posizione sociale (reddito, titolo di studio, eccetera), il vantaggio o lo svantaggio in termini di salute non è influenzato solamente dalla quantità assoluta di risorse  disponibili, ma anche dal confronto in relazione con le altre persone nella gerarchia sociale (la cosiddetta “deprivazione relativa”)[1,7].

Al di là di ogni responsabilità dei singoli, la distribuzione della salute nella società si manifesta lungo un gradiente sociale[1-7]. La condizione socioeconomica del gruppo sociale di appartenenza, ovvero la classe sociale (o, nella più pacificata terminologia anglofona, la posizione sociale), costituisce un potente predittore dello stato di salute delle persone. Tale condizione fornisce l’insieme di vincoli e opportunità[7-10] entro cui i soggetti si muovono esercitando maggior o minor potere e controllo sulla propria vita, a seconda della posizione nella gerarchia sociale[1,2,4,7,10]. Poiché le buone condizioni di vita sono strutturalmente distribuite in maniera disuguale nella popolazione, la salute sia fisica che mentale seguirà la medesima distribuzione [7]. Questa distribuzione differenziale di opportunità e vincoli a partire dalla posizione sociale che, incorporata, si accumula sotto forma di stress cronico[10], influenza gli esiti in salute già a partire dall’ambiente intrauterino [2], si trasmette di generazione in generazione (la cosiddetta trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze)[2,7,11] e influenza l’espressione genica[12].

Gli effetti più pervasivi e meno visibili delle disuguaglianze sulla salute non concernono però esclusivamente le classi sociali più svantaggiate. Nel corpo sociale, lo stato complessivo di malattia e salute, oltre che l’incidenza di problemi sociali e sanitari, è correlata al livello di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi nella popolazione [2,4,5,7]. Se all’interno di una nazione la salute si distribuisce lungo il gradiente variando con la posizione sociale, nel confronto tra diverse nazioni, quelle più disuguali registrano un andamento significativamente su moltissimi indicatori, sia sociali che di salute, fisica e mentale[4,5]. Oltre una certa soglia di ricchezza, infatti, non è errato considerare tale disuguaglianza un fattore di rischio/protezione “ambientale” per la salute e il benessere della popolazione. Questi infatti, nei paesi industrializzati, risultano correlati più al livello di disuguaglianza che alla ricchezza o al tasso di crescita della nazione[4,5], contrariamente a quanto affermato dal dogma neoliberista.

Partendo dalle considerazioni qui riassunte, il capitolo illustra alcune direttrici di azione il cui focus è spostato dalla dimensione individuale a quella pubblica, e quindi politica, della salute.Vengono proposte due classi di azioni il cui obiettivo, più che riparare all’effetto delle disuguaglianze sugli esiti in salute, è quello di redistribuire all’interno del campo sociale l’insieme di opportunità, capacità, vincoli, beni e risorse, agendo sull’organizzazione sociale e sulla qualità dei contesti di vita, presupposti fondamentali per società sane e vite in salute. Si tratta sia di azioni volte a modificare i contesti di vita che, in una società stratificata, influenzano in modo differenziale la salute della popolazione, sia di interventi rivolti ai macro contesti socioeconomici e culturali responsabili di tale stratificazione. Le due classi di azioni sono complementari e l’efficacia di entrambe è legata all’intersettorialità, principio cardine della promozione della salute già dai tempi della Dichiarazione di Alma Ata[13].

Da una parte troviamo le azioni top-down. Si riferiscono a tutte quelle politiche, a livello istituzionale, volte ad aggredire i processi che contribuiscono a stratificare l’organizzazione sociale[14,16]. La natura redistributiva di tali azioni non si esaurisce esclusivamente nel campo economico, ma comprende le politiche abitative, lavorative, fiscali, salariali, previdenziali, di mobilità, ambientali, eccetera. Si tratta di interventi di prevenzione primaria finalizzati, tramite un cambiamento dell’assetto sociale volto alla redistribuzione delle risorse materiali e immateriali (relazionali, cognitive, emotive, culturali, simboliche, sociali) finalizzato all’equità nelle opportunità di vita e, di conseguenza, di salute [15,16].  Gli interventi sanitari, più o meno selettivi, rappresentano solo una delle tipologie di intervento possibile[6]. Essendo il cambiamento dei macro-determinanti sociali fuori dall’influenza del sistema sanitario, la valutazione delle azioni da questo disposte dipende dalla loro maggior o minor capacità di ridurre il gradiente sociale[3,6] e dall’universalità (proporzionale al bisogno)[2]. Occorre però includere anche considerazioni relative alla qualità delle cure laddove si desideri redistribuire nella popolazione opportunità di godere di buona salute[17]. Ampliare indiscriminatamente il bacino di trattabilità rischia di acuire le disuguaglianze sia sociali che di salute laddove, cure di scarsa qualità, potenzialmente dannose per la salute, non forniscano opportunità ma le limitino. Vista la mole di prestazioni inutili, quando non iatrogene, erogate, la programmazione di interventi sanitari volti all’equità non può corrispondere, come troppo spesso accade, ad una tensione verso la sola estensione del bacino di persone trattabili senza considerare appropriatezza e qualità degli interventi.

La seconda classe di azioni, senza cui la prima rischia di riprodurre strutture e processi funzionali al mantenimento dell’ordine sociale che avvantaggia pochi a scapito di molti, è costituita dalle azioni bottom-up. Pur portando a un beneficio in termini di salute, tale risultato non rappresenta l’obiettivo esplicito di questa classe di azioni, che mira primariamente all’espansione del numero di persone in grado di esercitare i propri diritti di cittadinanza [1,9], presupposti fondamentali per una società e una vita in salute[16,18].

In questo ambito, le azioni legate alla dimensione sanitaria, anche qui minoritarie, possono essere suddivise in azioni individuali e collettive. Le prime si attuano all’interno dei setting clinici e comprendono interventi non strettamente sanitari che modificano variabili legate all’interazione dell’individuo con il proprio contesto di vita, influenti rispetto alle condizioni di salute (ad esempio condizioni abitative, reddito, capacità di fruire meglio delle risorse del welfare). Le azioni collettive, più efficaci in termini di cambiamento strutturale, sono ad esempio quelle volte alla rivendicazione del diritto alle cure per particolari classi di patologie o sottogruppi di popolazione, o del diritto alla salute per tutti e tutte. Quando non riferite all’ambito sanitario, le azioni collettive possono riguardare ambiti politici funzionali alla creazione sia di un’organizzazione sociale più giusta e quindi più sana, sia di contesti (materiali e sociali) capaci di produrre maggiore e migliore salute. Ad esempio, le rivendicazioni per il diritto alla casa, ad un lavoro dignitoso, all’istruzione, ad un ambiente salubre e le mobilitazioni per il clima e la mobilità sostenibile costituiscono a tutti gli effetti azioni per la giustizia sociale indirizzate ai principali determinanti i cui effetti negativi sulla salute, pur riguardando tutti i cittadini, riverberano in misura maggiore sulle classi più svantaggiate. Rientrano nella stessa classe di azioni le mobilitazioni non tese a modificare politiche che coinvolgono, seppur in misura diversa, trasversalmente tutto il corpo sociale, ma lotte di contrasto alle disuguaglianze sociali attraverso la tutela di specifici sottogruppi di popolazione in condizioni di svantaggio  (donne, migranti, lavoratori, anziani, minoranze etniche o marginalizzate come comunità LGBT, eccetera)[18]. Le differenze negli esiti di salute nei diversi gruppi sociali costituiscono quindi un’evidenza attraverso cui interrogare e contrastare specifici, contingenti e storici rapporti di dominio che, stratificando la società, producono assetti sociali ingiusti, nocivi e evitabili[7,19]. L’accumulazione e l’appropriazione di capitale economico, simbolico, sociale e culturale da parte dei gruppi avvantaggiati si manifesta sotto forma di espropriazione del capitale di salute a scapito dei gruppi svantaggiati.

Quest’ultima classe di azioni, bottom up, trova sostegno nel costrutto di determinazione sociale della salute emerso in seno alla medicina sociale latinoamericana[19,20]. Rinunciando alla pretesa neutralità scientifica della medicina, il costrutto rilancia alcune delle possibilità, in termini teorici ma sopratutto pratici, mai pienamente espresse dall’utilizzo, fortemente viziato dall’origine e dal contesto di una certa accademia, del costrutto di determinanti sociali. Tale rilancio comincia dal riconoscimento che descrivere astoricamente, in maniera astratta, i meccanismi che stratificano la società e che distribuiscono in maniera disuguale fattori di rischio/protezione è insufficiente in assenza dell’identificazione, dell’analisi e di azioni di contrasto verso i processi e gli attori che ne sono responsabili. Analisi e azioni inerenti la distribuzione della salute pubblica sono dunque indivisibili rispetto a quelle relative alla distribuzione del potere [7,19,20].

In conclusione, la salute fisica e mentale è un bene troppo prezioso per essere affidato a tecnici o al mercato. La partecipazione attiva di ciascuno e di tutti  alla costruzione di una società più sana costituisce un elemento fondamentale per la tutela e la promozione della salute. I processi partecipativi di contrasto delle disuguaglianze sono però ostacolati dalla bassa coesione sociale, dai crescenti livelli di individualismo e di competitività, dalla bassa fiducia nelle istituzioni caratteristiche proprio delle società più disuguali[4,5], a beneficio dei soli gruppi avvantaggiati[7,19]. Resistere alla tentazione di considerarsi un’isola, slegata dagli altri, nella consapevolezza di essere, in ogni momento, “il contesto” per qualcun altro, rappresenta forse il primo necessario passo per lavorare verso la “salute per tutte e tutti, ora”[16]. Non è solamente la salute delle persone a venire plasmata dalla società, ma è anche la salute di questa a poter essere influenzata dall’azione delle persone.

Matteo Bessone, Sportello TiAscolto, Rete Sostenibilità e Salute

Chiara Bodini, Centro Salute Internazionale e Interculturale, Rete Sostenibilità e Salute

Bibliografia

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fonte: SALUTEINTERNAZIONALE.INFO

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