Il 18 dicembre 2019 si è celebrata la Giornata internazionale per i diritti delle persone migranti, istituita nel 2000 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Un’occasione per fare una riflessione sugli aspetti della migrazione che hanno un impatto importante sulla salute, in particolare per le donne e in tutte le fasi della vita.
I sistemi di sorveglianza attivi nel nostro Paese forniscono preziose informazioni relative alle donne residenti con cittadinanza straniera. Più complesso è, invece, reperire dati circa la salute delle donne che si trovano all’interno del sistema di prima accoglienza.
Rispetto all’accesso agli screening oncologici, dalla sorveglianza PASSI (relativa alla popolazione adulta, 18-69 anni) risulta che le donne straniere residenti che hanno effettuato il Pap test/Hpv test sono il 74,8%, contro il 79,9% delle italiane. Risulta, inoltre, una maggiore proporzione di donne straniere (53,6%) aderenti al programma organizzato di screening cervicale offerto dalle Aziende Sanitarie, rispetto alla popolazione di donne italiane (46,4%) che fa maggiore ricorso al test fuori dai programmi organizzati (sostenendo il costo di un ticket o di una prestazione privata). Dati analoghi si rilevano per l’accesso allo screening mammografico: 74,4% delle italiane contro il 70,5% delle straniere e una copertura dello screening mammografico organizzato del 54,3% per le straniere e del 59,8% per le italiane. Sempre dalla sorveglianza PASSI, sappiamo che rispetto agli stili di vita la popolazione straniera residente presenta una situazione variabile rispetto alla popolazione italiana. Sovrappeso e obesità sono rispettivamente 31,6% e 10,9% negli italiani e italiane, contro il 30,4% e 10,2% degli stranieri e straniere. Di contro, la raccomandazione di consumare 5 porzioni di frutta e verdura fresca al giorno viene rispettata solo nel 10,1% delle persone italiane e l’8,8% delle straniere [1].
Prosegue il calo delle nascite in tutte le aree del Paese; se negli anni passati questo fenomeno era compensato dalle cittadine straniere, negli ultimi anni è invece in corso una diminuzione del numero di nati anche da madri straniere [2].
Relativamente al percorso nascita, dai dati del sistema di Sorveglianza 0-2 anni emerge che ben il 19,9% delle donne italiane dichiara di aver bevuto alcol in gravidanza, contro il 18,3% delle straniere. L’assunzione appropriata di acido folico è del 26,3% per le italiane e del 20,2% nelle straniere [3]. I dati dell’ultimo rapporto Cedap rilevano come l’accesso tempestivo all’assistenza in gravidanza, raccomandato entro i primi 3 mesi, sia più frequente nelle donne italiane. La prima visita avviene invece oltre la dodicesima settimana per l’11,2% delle donne straniere e il 2,5% delle italiane [2]. Queste donne sono caratterizzate dal livello socio-culturale più basso, a conferma che il fenomeno dell’inappropriatezza dell’assistenza, per eccesso o per difetto, è espressione ma è anche all’origine delle disuguaglianze di salute. In termini di mortalità materna, la Sorveglianza ostetrica Itoss rileva un’importante proporzione di donne di cittadinanza estera sul totale delle donne decedute [4]. Tra le cause rilevate vi è il tardivo ricorso alle strutture sanitarie, che a volte avviene solo al momento del parto, e la conseguente poca conoscenza della storia clinica pregressa delle donne.
I consultori familiari offrono l’assistenza gratuita alla gravidanza, nel dopo parto e organizzano incontri di accompagnamento alla nascita e in puerperio. Dall’indagine condotta sui consultori familiari emerge che in quelli del Nord e del Centro, dove maggiore è la presenza di donne di cittadinanza non italiana, sono più diffuse le attività volte a favorire la partecipazione delle donne straniere. È infatti previsto il coinvolgimento della mediatrice o mediatore culturale nel 45,2% dei consultori familiari del Nord, contro il 10,0% al Sud. Il materiale informativo multilingue relativo al percorso nascita è presente nel 21,7% dei consultori familiari, con una frequenza maggiore nelle Regioni del Nord [5]. Le donne con cittadinanza straniera costituiscono il 21% dei parti totali, con una maggiore presenza al Nord. Di queste, nelle donne straniere il 45,9% ha un livello di scolarità medio-basso e il 51,7% è casalinga, contro il 37,8% delle italiane [2].
Rispetto alle modalità del parto, il parto vaginale è più frequente nelle donne straniere; il 35,4% delle donne italiane ha avuto un taglio cesareo, con una maggiore incidenza nel settore privato accreditato, contro il 27,8% delle straniere. Non sono al momento disponibili dati relativi al contatto pelle-a-pelle, raccomandato immediatamente dopo la nascita e per almeno un’ora, e sul rooming in, che consiste nell’avere mamma e bambino o bambina nella stessa stanza per tutta la durata della degenza. La totalità delle donne ha potuto avere accanto a sé al momento del parto una persona di propria scelta, ad esclusione dei tagli cesarei, e nel 92,2% dei casi si tratta del padre del bambino. Non esistono, al momento, dati nazionali che rilevino in modo sistematico la presenza del padre agli incontri di accompagnamento alla nascita o l’offerta di incontri dedicati ai padri dopo la nascita. Esistono però iniziative in corso, come il progetto europeo PARENT [6] ed esperienze documentate in questo senso, inclusi i gruppi di sostegno tra pari da-papà-a-papà, analogamente a quanto avviene già per i gruppi di sostegno tra mamme [7,8,9]. Tra le attività che vedono coinvolti i padri vi sono l’accompagnamento alla genitorialità, la co-genitorialità (tra cui le co-gestione della cura e del lavoro domestico) e la lettura precoce. Tali attività si sono dimostrate efficaci non solo per lo sviluppo neuro-cognitivo di bambini e bambine, ma anche nella riduzione della violenza maschile.
L’allattamento è raccomandato in modo esclusivo per i primi 6 mesi di vita compiuti e continuato fino a due anni ed oltre, secondo il desiderio della madre e della bambina o bambino. A fronte di un valore atteso per la quasi totalità dei bambini e bambine, i dati della Sorveglianza 0-2 anni assestano l’allattamento esclusivo al 4-5° mese compiuto al 23,6% per le donne italiane e al 27,8% per le straniere. L’alimentazione complementare avviene in modo intempestivo, prima del 6° mese compiuto, nella maggior parte dei bambini. L’esposizione a schermi avviene per il 44,2% di bimbi e bimbe italiani contro il 44,4% degli stranieri, nell’80% dei casi circa in presenza della madre o del padre, prevalentemente come momento di gioco o durante il pasto. La posizione in culla a pancia in su risulta essere appropriata per il 64,9% dei bambini e bambine italiani e per il 61% di bimbi e bimbe stranieri, ed è associata al titolo di studio più elevato e all’aver partecipato agli incontri di accompagnamento alla nascita [3].
L’accesso a metodi contraccettivi gratuiti risulta fortemente influenzato dall’offerta locale, che varia da Regione a Regione e, al proprio interno, tra le diverse Aziende sanitarie. Rispetto alle interruzioni volontarie di gravidanza (IVG), i dati 2017 del sistema di Sorveglianza riportano una stabilizzazione del contributo all’IVG da parte delle donne straniere, pari al 30,3% di tutte le IVG registrate nel Paese. Il ricorso all’IVG misurato con il tasso è in diminuzione, anche se permane più elevato di 2-3 volte rispetto alle italiane [10].
Nell’ambito del progetto europeo G-START [11], gestito in partnership dall’ISS, dalla ASL Roma 5 e dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), è in corso un’indagine qualitativa sui bisogni di salute delle donne Richiedenti Asilo e Titolari di Protezione presenti nei CAS e nel sistema SIPROIMI del territorio dell’ASL Roma 5. Dalla prima rilevazione, avvenuta tramite focus group, emerge la necessità di un approccio transculturale che impegni i servizi in una presa in carico rispettosa di culture e tradizioni diverse. Gli ostacoli all’accesso ai servizi rivolti alle donne spesso sono di natura burocratico-organizzativa o linguistica, legati ad esempio al pagamento di ticket (non sempre è chiaro quando e dove fare il pagamento) e alle lunghe liste d’attesa e questo, insieme alla ridotta conoscenza del funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale, comporta difficoltà nell’offerta e nell’utilizzo dei servizi. Rispetto al percorso nascita, la conoscenza dell’offerta dei consultori familiari si è rivelata strategica per accedere ai percorsi previsti in gravidanza, evitando esami diagnostici in eccesso o non raccomandati e il ricorso al servizio privato. È necessaria, ad esempio, una buona conoscenza del sistema di prenotazione per non incorrere in liste d’attesa che non consentano poi di effettuare le ecografie nei tempi previsti. Un altro fenomeno descritto è quello dell’alimentazione complementare dei bambini, che avviene in generale a partire dal 6° mese di vita compiuto. Le madri manifestano il desiderio di utilizzare cibi della propria cultura nella fase di introduzione di nuovi alimenti e, dall’altra parte, di conoscere meglio i cibi utilizzati nel Paese di accoglienza. Risulta quindi inadeguata l’offerta di diete precompilate che prevedano solamente alimenti italiani; si evidenzia invece la necessità per tutti i genitori, indipendentemente dalla nazionalità o dal paese di origine, di concordare con il proprio o la propria pediatra l’alimentazione complementare, personalizzandola sulla base dei diversi stili e abitudini alimentari della famiglia.
L’isolamento geografico dei Centri, spesso collocati in piccoli Comuni, può costituire una barriera all’accesso ai servizi (vaccinazioni, consultori familiari, medico di medicina generale, pediatra di libera scelta, ospedale, altri servizi territoriali) laddove non vi sia un servizio di trasporto pubblico nelle diverse fasce orarie.
Pur esprimendo la volontà di adottare uno stile di vita sano basato su alimentazione corretta (ad esempio l’assunzione di frutta e verdura fresche) e attività fisica moderata (ad esempio gruppi di cammino) le donne partecipanti ai focus group descrivono impedimenti di natura gestionale, come ad esempio l’impossibilità di modificare la propria alimentazione, o la difficoltà a interagire con la popolazione locale, ad esempio con i gruppi di donne residenti che si auto-organizzano in gruppi di cammino.
A seguito dei cambiamenti legislativi e della conseguente riduzione di personale e servizi offerti dai Centri, i corsi di lingua italiana e di cittadinanza sono stati drasticamente ridotti, se non aboliti. Questo comporta una minore possibilità per le donne e, più in generale per gli ospiti dei Centri, di acquisire strumenti di comprensione della società e della cultura del paese d’accoglienza, e di attivazione personale, in una logica di promozione della salute propria e dei propri cari.
Riferimenti
- sito della sorveglianza PASSI
- Ministero della Salute. “Rapporto Cedap Anno 2016”
- Sito della sorveglianza 0-2 anni
- Risultati della sorveglianza Itoss
- Risultati dell’indagine 2018-2019 sui consultori familiari
- Pagina dedicata al progetto PARENT
- Sito dell’Associazione Cerchio degli uomini
- Sito del Forum il Giardino dei padri
- Sito del Movimento Allattamento Materno Italiano (MAMI)
- Sito della sorveglianza sull’IVG
- Pagina dedicata al progetto G-START
i dati aggiornati sulla popolazione migrante in Italia.
fonte: EpiCentro