SALUTE MENTALE, L’INSERIMENTO ETEROFAMILIARE: l’esperienza all’ASL TO3 in Piemonte

Nel 1978 il Parlamento approva la legge 180, che decreta la chiusura degli Ospedali Psichiatrici in Italia: da quel momento prende il via un nuovo corso per l’approccio di cura verso le persone affette da disturbi psichiatrici. L’attuale modello IESA (Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti) verrà introdotto in Italia nel 1997 sulla scia di quanto reso possibile dalla citata riforma di venti anni prima.

Con questo articolo intendiamo presentarvi un approccio al modello portato avanti dal Servizio IESA dell’ASL TO3, con particolare riferimento all’efficacia e alla sostenibilità. Accogliere una persona in difficoltà nella propria casa e integrarla nella propria vita non solo è possibile, ma si presenta nelle vite dell’ospite e dell’ospitante come un’opportunità unica di crescita. Data l’esperienza maturata in questi anni, si può affermare che per effettuare un intervento di cura efficace possono risultare determinanti l’attenzione alla qualità della vita e il grado di investimento dell’utente nel progetto.

Cos’è lo IESA?

Per Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti (IESA) si intende la pratica di integrazione di una persona in difficoltà presso una famiglia diversa da quella d’origine. In cambio dell’ospitalità offerta, i volontari ricevono un rimborso spese mensile e l’accompagnamento costante di un team di professionisti, che supportano la convivenza lungo l’intera sua durata. Una delle mission dello IESA è restituire alla società quelle persone che, per disavventure clinico-esistenziali, si sono trovate a fare i conti con la sofferenza, spesso in condizioni di solitudine o in contesti residenziali inadeguati ed alienanti.

Negli anni, lo IESA ha consolidato un preciso metodo, fino a diventare in molte realtà un servizio organizzato e professionalizzato. Oggi può essere definito come buona pratica terapeutica, riabilitativa ed assistenziale. I cambiamenti demografici e l’aumento delle criticità sociali obbligano a ricercare soluzioni basate sul coinvolgimento di risorse attivabili anche all’esterno del settore sanitario. In questo periodo storico è indispensabile rivedere gli assetti del sistema salute, per garantire l’effettiva copertura della domanda, attraverso modalità più efficienti di gestione della spesa pubblica e di risposta ai reali bisogni della popolazione. Lo IESA, in questo senso, rappresenta una soluzione all’avanguardia, in quanto propone un modello di “cogestione razionale” delle possibilità di recupero del soggetto presso famiglie qualificate, delineando una nuova concezione di welfare, più intimamente connessa ai diritti fondamentali dell’individuo e in cui la famiglia ospitante diventa uno spazio protetto di vita, di esperienza e di crescita, all’interno del sempre più complesso scenario sociale. Attraverso l’accoglienza in famiglia, hanno luogo quell’integrazione e quella possibilità di riscatto che restituiscono all’ospite opportunità di crescita spesso compromesse dalla malattia e dal conseguente isolamento. Per un gran numero di persone affette da disturbi psichiatrici, lo IESA rappresenta la più naturale soluzione abitativa e costituisce un importante strumento di guarigione. La funzione accogliente e ristrutturante della famiglia, modulata all’occorrenza dagli operatori IESA, produce risultati quali ad esempio la promozione spontanea delle capacità relazionali ed esistenziali del paziente.

Come funziona?

È importante sottolineare che lo IESA può essere un ottimo strumento di riabilitazione solo quando viene utilizzato correttamente secondo procedure validate e consolidate. Il Servizio IESA dell’ASL TO3 ha delineato un rigoroso percorso di selezione dei futuri conviventi e una mirata formazione dei professionisti che lavorano all’interno del servizio, al fine di garantire un attento supporto durante la convivenza. È infatti la figura dell’operatore IESA a rendere possibile, attraverso un ponderato intervento, quell’alchimia che vede il sociale trasformarsi da luogo di possibile esclusione a spazio terapeutico.
È possibile suddividere i progetti di inserimento eterofamiliare in diverse categorie (Aluffi,G., 2014):

  • Full Time a breve termine (da alcuni giorni ad 1 o 2 mesi): rientrano in questo gruppo gli inserimenti operati nel momento di crisi del paziente o del sistema che lo ospita. Sono mirati a restituire in breve tempo la persona, temporaneamente in crisi, alla situazione residenziale di provenienza.
  • Full Time a medio termine (da alcuni mesi ad alcuni anni): si tratta di progetti indirizzati a giovani adulti e adulti, per i quali è previsto un recupero delle funzioni temporaneamente compromesse, che possa portare ad una vita caratterizzata da una maggiore autonomia e responsabilità.
  • Full Time a lungo termine: questi inserimenti sono tendenzialmente indirizzati a persone adulte e anziane, reduci da lunghi periodi di ospedalizzazione, e/o non autosufficienti. Mirano a fornire un ambiente tranquillo ed adeguatamente protetto, ove poter vivere serenamente senza limiti temporali.
  • Part Time: sono progetti che non prevedono la convivenza continuativa tra le parti. Vi possono essere incontri di alcune ore al giorno, così come di una o due giornate la settimana o nei weekend; svolgono una funzione supportiva a situazioni abitative autonome dei pazienti oppure propedeutica a progetti full time.
  • Full Time con mantenimento della propria abitazione: per situazioni in cui il soggetto ha una propria casa, ma necessita di un supporto, pratico e affettivo, quasi continuativo e flessibile; il caregiver si rende disponibile ogni qual volta ve ne sia la necessità, continuando a stimolare le autonomie residue, in un’ottica di prevenzione dell’istituzionalizzazione.

L’attività di selezione delle famiglie e degli ospiti e i successivi abbinamenti avvengono nel rispetto della tutela dei diritti e dei bisogni dei soggetti coinvolti. A seguito di un primo contatto telefonico, viene fissato un colloquio informativo di approfondimento e successivamente, se il candidato è intenzionato a proseguire la selezione, vengono effettuate un’intervista approfondita, mirata a conoscere la realtà del nucleo che si candida, e una o più visite domiciliari, volte a verificare gli aspetti strutturali dell’abitazione e le interazioni con gli altri membri della famiglia. Completano il percorso di selezione ulteriori colloqui per approfondire temi specifici emersi durante le fasi precedenti e verifiche relative alla posizione giudiziale dei candidati, oltre ad un’accurata formazione individuale e di gruppo. Al termine della selezione i candidati ritenuti idonei vengono inseriti in banca dati in attesa del giusto abbinamento con un ospite con caratteristiche compatibili al nucleo ospitante.

Ogni progetto ha un operatore dedicato, che diventa un riferimento di fiducia in caso di necessità, sia per la famiglia sia per l’ospite, e che segue la convivenza fin dalle fasi iniziali di conoscenza tra le parti. Gli operatori sono, inoltre, reperibili telefonicamente 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Un’imprescindibile premessa per la corretta realizzazione del progetto IESA è la creazione di precisi strumenti normativi come le linee guida aziendali e il contratto. All’interno delle prime vengono definiti i parametri entro cui sviluppare la progettualità: soggetti beneficiari, figure professionali coinvolte, il tipo e l’estensione delle prestazioni a carico dell’ASL, le modalità di rimborso spese per l’ospitalità. Il contratto invece regola l’andamento della convivenza e i diritti/doveri delle parti contraenti (la famiglia, l’ospite ed il Servizio). L’ospite elargisce mensilmente un rimborso spese di ospitalità alla famiglia, ma nel caso in cui non abbia la disponibilità economica per coprire l’intera cifra, l’ASL può erogare un’integrazione, attraverso lo strumento dell’“assegno terapeutico” a lui intestato. L’ospite deve inoltre poter contare su una somma minima mensile per le piccole spese personali, per l’acquisto di medicine, vestiario etc.

La proposta di aprire la porta della propria casa a una persona in difficoltà, spesso portatrice di un disagio psichico, rappresenta ancora oggi, nonostante la consolidata esperienza, una vera e propria rivoluzione culturale, un ribaltamento di paradigma, sebbene parzialmente realizzato. È però importante rendersi conto di quanto sia necessario esercitare la “terapia della libertà”, aprendosi alla comunità sociale, coinvolgendo sempre più volontari a far parte di quel virtuoso meccanismo collettivo di presa in carico della fragilità, che è lo IESA.

Efficacia e sotenibilità

In letteratura è poco studiata l’efficacia dell’inserimento eterofamiliare. Alcune isolate ricerche evidenziano come lo IESA si distingua da altre soluzioni residenziali psichiatriche per la migliore qualità di vita offerta, dal momento che permette un miglioramento dei comportamenti maladattivi e delle capacità relazionali dell’ospite. L’esperienza del Servizio IESA dell’ASLTO3, inoltre, mette in evidenza una serie di esemplificazioni di esiti positivi raggiungibili tramite tale pratica. Nel solo 2018 si registra che:

  • una signora con la sua figlia minorenne, utenti per 7 anni di un progetto IESA madre-bambino, sono state dimesse dal Servizio in favore di una vita autonoma;
  • tre utenti sono stati dimessi in favore di una vita autonoma presso il proprio domicilio;
  • è stato revocato il provvedimento di interdizione per un utente inserito in un progetto IESA.

Altri studi hanno permesso di evidenziare la significativa riduzione del ricorso ai ricoveri in Casa di Cura o in Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura un anno dopo l’inserimento in famiglia (Aluffi et al., 2017 a). Un ulteriore filone di ricerca riguarda il monitoraggio dell’assunzione di benzodiazepine. Tale studio evidenzia una riduzione del 18,7% nel dosaggio medio di questi farmaci considerando il periodo precedente e successivo l’inserimento eterofamiliare (Aluffi G., 2014).

Bisogna, inoltre, considerare che il costo globale di un inserimento eterofamiliare supportato, comprensivo di tutte le voci di spesa, può equivalere in alcuni casi a un terzo dei costi sostenuti per il ricovero in strutture protette. Oltre a questo, in riferimento agli outcome clinici di riduzione del numero di ricoveri e del dosaggio della terapia farmacologica, è evidente come l’efficacia economica del modello IESA cresca ulteriormente. Tali considerazioni non si applicano solo all’ambito della salute mentale, poiché il modello IESA è uno strumento flessibile, espandibile a diversi settori dell’assistenza sanitaria e sociale, come all’area della disabilità fisica e psichica, della tossicodipendenza, della geriatria e dell’oncologia, consentendo un verosimile abbattimento dei costi anche in tali ambiti. Considerando, ad esempio, il settore dell’assistenza geriatrica e confrontando le spese relative ad inserimenti in strutture residenziali e quelle relative agli inserimenti eterofamiliari si registra un rapporto che può arrivare anche a 1:4 (Aluffi et al., 2017 b). Alcuni dati significativi rispetto al risparmio di risorse economiche emergono dallo Shared Lives (Fox A., 2017), servizio diffuso sul territorio del Regno Unito e assimilabile al modello IESA italiano, dove, negli anni 2013-2014, le persone seguite sono aumentate del 14% a fronte di una riduzione della spesa del 4% sulle strutture classiche di ricovero (Aluffi et al., 2017 b)

Ecco che lo IESA si rivela uno strumento con buone potenzialità terapeutiche e riabilitative garantendo:

  • significativo risparmio economico rispetto ad altre soluzioni residenziali (cliniche, comunità, istituti ecc.);
  • miglior qualità di vita rispetto all’istituzionalizzazione (cliniche, comunità, istituti ecc.);
  • buon tasso di dimissioni in favore di vita più autonoma;
  • rapporto assistenziale continuativo non professionale di 1:1 sulle 24 ore e supporto professionale individualizzato;
  • miglioramento dei comportamenti maladattativi e delle capacità relazionali del paziente;
  • buon monitoraggio dei dosaggi psicofarmacologici e relativa riduzione della sintomatologia e delle ricadute rispetto ad altre soluzioni residenziali (cliniche, comunità, istituti ecc.);
  • buon livello di integrazione tra persone in stato di disagio psichico e società, con conseguente riduzione di stigma e pregiudizio.

Questi risultati hanno permesso di arrivare a elaborare il concetto di Fattore Terapeutico Ambientale (Aluffi G. & Larice S., 2014).

Ciò che contraddistingue il modello IESA è la sua offerta di cura come risorsa terapeutico-residenziale, non prettamente riconducibile all’ambito del “posto letto”, caratterizzata da un rapporto continuativo non professionale 1 a 1 con le famiglie ospitanti. L’ambiente ed il contesto agiscono come determinanti di salute ed influenzano il comportamento di ogni individuo al pari delle caratteristiche personali, in un’ottica bio-psico-sociale-culturale di approccio alla malattia. Valorizzando i fattori terapeutici di un ambiente è possibile intervenire sui comportamenti maladattivi di ognuno e migliorare la qualità della vita (Boydell K. & Everett, 1992; Boydell et al. 1999; Nelson G. et al., 1998).  La cura della dimensione ambientale risulta fondamentale nella strutturazione di un percorso terapeutico e l’inserimento eterofamiliare pone questo concetto al centro della sua offerta di cura.

Attraverso l’accoglienza di adulti in famiglie di volontari, dunque, si innesca un processo di re-inclusione di persone in stato di disagio da parte della comunità, ai sensi di un progetto di riabilitazione e riappropriazione di strumenti di vita adeguati, che favorisce, inoltre, una riduzione dello stigma e del pregiudizio.

Cenni storici

L’ inserimento eterofamiliare appare come una pratica alternativa all’istituzionalizzazione, una pratica moderna. Di fatto, il modello IESA attuale si è diffuso come risposta alla chiusura degli istituti manicomiali. Eppure, tale metodo trae le sue origini nel XIII secolo d.C., in Belgio, nella cittadina di Geel grazie alla leggenda di Santa Dymphna, protettrice dei folli (Aluffi G., 2001). Vi sono diverse versioni in merito ai miracoli di guarigione accaduti a chi pregava o faceva visita alle sue reliquie. Le guarigioni cominciarono a incoraggiare il pellegrinaggio, fino a che non fu necessaria addirittura la creazione di una pensione per l’assistenza dei malati.

Talvolta i pellegrini e i loro parenti venivano ospitati dalle famiglie autoctone durante la permanenza. Col passare degli anni, tale pratica non andò perduta e, quando il Belgio divenne parte dell’impero francese, nel 1795, vennero inviati in città altri malati dal manicomio di Bruxelles, poiché si riteneva che a Geel le condizioni dei malati fosse migliore di quelle di coloro che erano ricoverati in ospedale. L’inserimento eterofamiliare divenne man mano oggetto di discussione per le autorità comunali, fino ad estendersi quale strumento terapeutico alla popolazione di persone portatrici di handicap e ai bambini.

Dall’esperienza belga ne sono derivate altre, in Francia, in Olanda e persino negli Stati Uniti. Di fatto tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi del Novecento diverse forme di inserimento eterofamiliare si sono sviluppate e modificate in molti paesi. La diffusione del modello di IESA più assimilabile a quello attuale non avvenne, però, fino alla fine del secolo scorso, e in particolare tra la fine degli anni Ottanta ed inizio anni Novanta.

Il modello IESA è diffuso in molti paesi (Belgio, Giappone, Germania, Francia, USA, Canada, Olanda, Svizzera, Norvegia, Svezia, Danimarca, Russia, Austria, Scozia, Inghilterra, Finlandia, Slovenia, Italia, Polonia ecc.), con caratteristiche peculiari influenzate dal contesto di appartenenza. In Belgio, ed in particolare a Geel dove tale pratica affonda le sue radici, lo IESA è oggi strettamente collegato alla clinica psichiatrica: il sistema di trattamento in famiglia consiste infatti in un’appendice della clinica, che assume gli ospitanti e li retribuisce direttamente. Anche nel modello francese dell’Accueil Familial Thérapeutique (Cébula J.C., 1999), gli ospitanti sono lavoratori a tutti gli effetti, hanno diritto a una vera e propria remunerazione per l’attività svolta e possono godere di periodi di ferie e pause per malattia. Questo tipo di organizzazione, di fatto, snatura la componente affettiva e relazionale del contesto, basata su una reale inclusione dell’ospite nel tessuto familiare e sociale del nucleo ospitante, allontanandosi dai principi fondanti del modello in uso in Italia.

Il modello tedesco (Konrad M. et al. 2012) è abbastanza sovrapponibile a quello italiano, sia per ciò che concerne la tipologia di progetti gestiti, sia per il carattere volontaristico dell’accoglienza: ospiti e famiglie condividono quotidianità ed esperienze di vita (vacanze, gite, momenti di convivialità etc.), supervisionati da operatori formati.

Una realtà più giovane, ma molto fruttuosa in termini qualitativi e quantitativi, è lo Shared Lives inglese (Fox A., 2018). La tipologia di utenza gestita è piuttosto diversificata e lo IESA è strutturato in servizi locali, gestiti da un organo di monitoraggio nazionale (Shared Lives Plus). Attualmente il Regno Unito conta sul territorio nazionale 14.000 convivenze supportate, un vero record se paragonato alla situazione italiana, dove ne sono ottimisticamente stimate circa 200 su tutto il territorio. Il progetto IESA inglese ha acquisito in breve tempo una rispettata popolarità, tanto che il prestigioso giornale “The Guardian” lo ha incluso tra le dieci pratiche suggerite per cambiare il mondo in modo positivo.

Al fine di confrontare le buone pratiche internazionali su un piano scientifico, nel 2017 è stata creata, in collaborazione con un prestigioso international board, l’edizione italiana della rivista scientifica europea sullo IESA, “Dymphna’s Family”, consultabile gratuitamente sul sito www.issuu.com . La rivista raccoglie articoli, contributi ed esperienze internazionali sulle pratiche IESA adatto ai professionisti e a chiunque voglia approfondire l’argomento.

IESA nell’ASL TO3 e la diffusione del modello sul territorio nazionale

Per quanto concerne l’esperienza di inserimento eterofamiliare in Italia, è rilevante sottolineare il ruolo trainante del modello sviluppato dal Servizio IESA dell’ASL TO3, riconosciuto anche a livello internazionale. In Italia è tendenzialmente il Dipartimento di Salute Mentale a farsi carico dell’organizzazione e dell’operatività del servizio, mentre all’estero sono per la maggior parte le cliniche e gli ospedali psichiatrici a gestire tale attività. Il Servizio IESA  dell’ASL TO3 ha conseguito recentemente la valutazione di eccellenza europea da parte del prestigioso IFREP – Institut de Formation Récherche et Evaluation des Pratiques Medico Sociales, di Parigi. Nel 2016, La Regione Piemonte ha, inoltre, conferito il titolo di Centro Esperto Regionale al Servizio IESA ASL TO3, il quale è diventato modello di riferimento per tutte le ASL regionali. In questi anni di attività presso il Servizio IESA ASL TO3 sono state contattate migliaia di famiglie e più di 200 volontari sono stati abilitati ad ospitare. Sono stati realizzati più di 250 progetti e attualmente sono in corso 50 convivenze. Sul resto del territorio italiano operano una ventina di altre iniziative analoghe, sebbene siano evidenziabili eterogeneità nella loro effettiva realizzazione e gestione. Il 23 novembre 2017 è stata presentata in Parlamento la Proposta di Legge n. 4757 dall’onorevole Umberto D’Ottavio, deputato della scorsa legislatura, per regolamentare e diffondere il modello terapeutico IESA sul territorio nazionale italiano, al fine di uniformare l’organizzazione di tale strumento terapeutico. La proposta, puntuale e completa nei suoi 12 articoli, risulta tutt’oggi in stallo negli archivi della Camera dei Deputati.

I risultati ottenuti dall’applicazione del metodo IESA sono senza dubbio considerevoli, sia dal punto di vista clinico sia organizzativo. A fronte di questi esiti, in Italia risulta essere ancora più importante compiere un ulteriore passo verso la diffusione nazionale del modello. Infatti, una più stretta collaborazione tra i servizi attualmente attivi e la formazione di nuovi gruppi di lavoro in maniera capillare su tutto il territorio potrebbe condurre alla realizzazione di una rivoluzione, ad oggi ancora parziale ma auspicabile, negli approcci sanitari e sociali in tema di salute mentale e non solo. Si potrebbe, così, parlare del riconoscimento del disagio dell’altro non esclusivamente ad opera del servizio sanitario nazionale ma anche da parte della comunità rafforzando la presa in carico che tende al reinserimento di chi è ancora, talvolta, considerato inadatto e diverso. Nel modello IESA, il luogo di cura, collocato nella normale quotidianità, facilita e migliora la qualità di vita degli utenti e consente alla persona in stato di disagio di liberarsi dal fastidioso stigma, così come alla popolazione di abbattere alcuni pregiudizi e diventare essa stessa un virtuoso strumento di cure.

Bibliografia

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  • Aluffi G. et al., (2010). Adult foster family care in Italian mental health services: a survey in Epidemiologia e Psichiatria Sociale, n.19, pp 348-351
  • Aluffi,G. (2014), Famiglie che accolgono: oltre la psichiatria. Torino: Gruppo Abele.
  • Aluffi G., Larice S., (2014). Il fattore terapeutico ambientale nell’inserimento etero familiare supportato di adulti sofferenti di disturbi psichici (IESA), in Psichiatria/Informazione, 3, Torino.
  • Aluffi G., Iob G., Zuffranieri M., (2017a), Uno studio retrospettivo sullo IESA. Nuove evidenze a supporto del Fattore Terapeutico Ambientale attraverso un’analisi dei ricoveri in pazienti psichiatrici in Dymphna’s Family n. 00, pp. 13-18.
  • Aluffi G., Ruffino E., Iob G., Trevellin L., (2017b). L’estensione dello IESA all’utenza geriatrica in Dymphna’s Family n.00, pp. 32-38.
  • Boydell K., Everett B. (1992). What makes a house a home? in Canadian Journal of Community Mental Health n. 10, pp. 109–123
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  • Cébula J. C. (1999), L’accueil familial des adultes. Paris: Dunod.
  • Fox A. (2017), Condividere la quotidianità fa bene! Lo stato attuale dello IESA nel Regno Unito in Dymphna’s Family n. 00, pp. 40-47.
  • Fox A. (2018), A new health and care system: escaping the invisible asylum. University of Bristol: Policy Press.
  • Konrad M., Becker J., Eisenhut R. (2012), Inklusion leben. Betreutes Wohnen in Familien für Menschen mit Behinderung. Freiburg: Lambertus Verlag.
  • Nelson G., Hall G., Walsh-Bowers R. (1998), The relationship between housing characteristics, emotional well-being, and the personal empowerment of psychiatric consumer/survivors in Community Mental Health Journal n.34, pp.57–69

 

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fonte: DORS

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