Il SSN si può cambiare ? Serve una nuova legge ? di Cesare Cislaghi

Il servizio sanitario nazionale (SSN) ha compiuto da poco i quarant’anni e lo abbiamo tutti festeggiato, ma abbiamo anche detto che forse è il tempo di portarlo a fare “un tagliando”.

Non ci possiamo negare che di questi tempi quarant’anni non sono pochi, anzi sono tantissimi per un sistema sanitario. In questi quarant’anni è quasi tutto cambiato: è cambiata la medicina, è cambiata l’assistenza, è cambiata la società, è cambiata la demografia, è cambiata l’economia, è cambiata la politica.

Il SSN non è un monumento

Per noi non sono però cambiati i valori e riteniamo ancora che un sistema sanitario debba essere universalistico, pubblico, finanziato dalla fiscalità generale e soprattutto debba garantire l’equità. Ma il SSN non è un monumento da conservare intatto senza alcun intervento che lo modifichi! Anche se purtroppo ci sono tra di noi troppi nostalgici che hanno dato molto nella stagione in cui il SSN è stato costruito e che oggi vivono quasi come un insulto proporre dei cambiamenti.

E’ pur vero che l’attuale stagione non vive la stessa atmosfera di quando fu istituito il SSN e quindi è reale il rischio che i cambiamenti diventino oggi dei tradimenti del disegno iniziale. Da una parte la popolazione non coglie quanto possano essere dannosi dei cambiamenti come quelli proposti da alcune parti sociali, dall’altra l’imprenditoria privata ed assicurativa si fa ogni giorno più agguerrita nel tentativo di occupare degli spazi nell’organizzazione sanitaria.

Garantire l’universalismo

Ma se non ci sono ostacoli alla possibilità di introdurre cambiamenti, ci sono invece delle precise urgenti necessità di adeguare il sistema proprio per garantire effettivamente sia l’universalismo sia l’equità. I problemi di oggi sono evidenti: gravi diversità territoriali, quote importanti di malati che rinunciano ad effettuare delle prestazioni, liste d’attesa lunghe, burocratizzazione spesso inutile, carenze di personale, scarsità della prevenzione, ecc.; ciononostante il SSN garantisce agli italiani una delle migliori assistenze sanitarie al mondo.

Latitanti

Allora se si può, ed anzi si deve, rinnovare il SSN, la questione ancor prima di come cambiarlo è chi sta lavorando per cercare di cambiarlo, e soprattutto quale visione ha della sanità nel suo complesso. Negli ultimi anni si sono fatti in verità dei cambiamenti ma per la più parte questi sono stati dettati solo dalla necessità di contenere le spese e senza una visione realmente sistemica; altri cambiamenti invece sono stati dei “pannicelli caldi” tendenti a porre delle pezze quando si sono verificati degli strappi.

Chi allora lavora o potrebbe lavorare ad una revisione realmente sistemica della sanità? In teoria molti soggetti: il Ministero, le Agenzie sanitarie, la nazionale e le poche regionali superstiti, le università, i partiti politici, i sindacati, altri soggetti della società civile. Non risulta però che nessuno di questi si stia impegnando seriamente in questa operazione pur magari occupandosi di questioni, seppur importanti, ma di fatto marginali.

Il Ministero non ha un suo ”centro studi” e i vari dirigenti e funzionari sono pressati da attività prevalentemente burocratiche indifferibili; è anche improbabile che un Ministero al centro del SSN riesca a mettere in discussione un sistema che metterebbe innanzitutto in revisione la propria attività. Diverso potrebbe essere il ruolo dell’Agenzia sanitaria nazionale ma anche questa per molto tempo ha rinunciato, su indicazioni ministeriali, ad occuparsi di ricerca ed invece si è data come obiettivi la valutazione ed il supporto alla gestione delle aziende. E’ credo una grave occasione persa quella di aver preferito in qualche misura diventare un polo quasi di “controllo di gestione” del SSN invece che un centro di “ricerca e sviluppo”.

Il mondo della ricerca è anch’esso molto defilato dal problema e questo penso per due motivi: il primo è che non ci sono praticamente fondi pubblici a disposizione per la ricerca nel settore dell’organizzazione sanitaria se non poche briciole lasciate dalla ricerca clinica. Ma il secondo e più importante motivo è che nelle facoltà di medicina non c’è praticamente nessuno che si occupi di organizzazione sistemica. Gli igenisti si occupano di organizzazione di specifici servizi e i docenti di discipline economiche e sociologiche sono molto pochi e per lo più emarginati, e di questo ho avuto tristi esperienze personali. Mentre  in campo ingegneristico è stata addirittura istituita una laurea in ingegneria gestionale, a medicina i clinici non si vogliono “sporcare le mani” con i problemi organizzativi ed economici.

E’ così che la ricerca in sanità si è, seppur moderatamente, sviluppata solo nelle facoltà economiche o sociologiche che però hanno enfatizzato degli approcci più vicini alla sensibilità del loro settore che a quella di chi vive la sanità dal suo interno. E così, ad esempio, hanno dato molta spinta al nascere del cosiddetto secondo pilastro, cioè quello della sanità privata imprenditoriale, con obiettivi spesso ”anti-sistemici”.

Un altro esempio di scelte “anti-sistemiche” vengono purtroppo dagli ambiti sindacali che, forse per ottenere il consenso degli iscritti, forse per permettere di non incrementare interamente i salari, forse per poter gestire quote importanti di risorse economiche, hanno inventato nuove forme di “welfare aziendali” che di fatto contraddicono i principi costitutivi del SSN.

I partiti invece hanno praticamente quasi abbandonato la sanità ritenendo che non costituisca più un argomento di importanza elettorale. In una situazione dove tutti godono di una completa assistenza sanitaria e non si rendono conto di cosa potrebbero perdere se questa venisse meno, i partiti nei loro programmi elettorali sfiorano appena il problema o fanno solo delle dichiarazioni di principio senza articolarle in proposte concrete.

Quindi?

Cosa proporre allora? Che si costituisca, non so in che ambito e da chi sponsorizzato, un gruppo di ricercatori con l’obiettivo di revisionare l’attuale sistema sanitario e di elaborare ipotesi concrete e realizzabili di trasformazione sistemica pur nel totale rispetto dei valori irrinunciabili di universalismo e di equità.

Ma è compatibile con questi valori la spesa privata, spesso anche non del tutto appropriata, di quaranta miliardi di €uro? È compatibile che milioni di utenti dichiarino di aver rinunciato per motivi economici a delle prestazioni? È compatibile che ci siano liste di attesa che superano i limiti accettabili? È compatibile che vi siano differenze nella qualità dei servizi così inaccettabili tra nord e sud del paese?

Insomma è  venuto il tempo, quarant’anni dopo, di metter mano alla 833 e se non lo faremo con lo stesso spirito e con gli stessi valori di allora, lo faranno altri più interessati a cogliere nuove opportunità per fare impresa e profitto che non per rendere la sanità un diritto di tutti indipendentemente dalle proprie disponibilità economiche e dalla propria residenza.

fonte: E&P

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