QUALITÀ DELL’ARIA IN EUROPA, REPORT 2019: inquinamento atmosferico responsabile di circa 400 mila morti premature all’anno

L’inquinamento atmosferico outdoor continua a essere una delle principali cause di morte e malattia su vasta scala per il quale non esistono misure semplici e individuali, ma sono necessarie misure di tipo organico, strutturale e su più livelli.

Nei 41 Paesi dell’area europea, l’European Enviromental Agency (EEA) ha stimato come l’inquinamento atmosferico sia responsabile di circa 400 mila morti premature all’anno, rappresentando il maggiore fattore di rischio per la salute dei cittadini in Europa. La gravità di questa situazione è stata confermata dai dati presentati e discussi nel First WHO Global Conference on Air Pollution and Health tenutosi a Ginevra (30 ottobre-1 novembre 2018).

Le prove scientifiche sono inequivocabili: l’inquinamento atmosferico outdoor contribuisce allo sviluppo di patologie cardiache e infarti seguite dai problemi ai polmoni, tra cui il tumore. Questi impatti si traducono in un aumento della mortalità, in una diminuzione dell’aspettativa di vita, e in un maggiore ricorso all’uso delle cure. Lo IARC (International Agency for Research on Cancer), nel 2012, ha infatti classificato l’inquinamento atmosferico outdoor come cancerogeno e, nel 2018, l’inquinamento atmosferico indoor e outdoor sono stati riconosciuti come fattori di rischio per l’insorgenza delle malattie croniche, al pari delle abitudini alimentari, dell’uso del tabacco, dell’abuso di alcol e della sedentarietà.

Sebbene i dati fotografino ancora un quadro fortemente preoccupante per l’impatto sulla salute, la situazione dal punto di vista dell’inquinamento sta migliorando.

Queste sono alcune delle informazioni contenute nel rapporto annuale “Air quality in Europe – 2019 report”, pubblicato a ottobre 2019 dalla EEA che fornisce una panoramica sulle diverse tipologie di sorgenti di emissione dell’inquinamento atmosferico outdoor, sui trend dei livelli di concentrazione dei singoli inquinanti (come il particolato, l’ozono, il biossido di azoto, il benzopirene e i metalli pesanti) e sugli effetti per la salute. Tra i dati che meritano attenzione si segnala come per alcuni settori produttivi siano stati registrati continui e costanti progressi in termini di riduzione dell’inquinamento dell’atmosferico, mentre per altri, come il settore agricolo, le emissioni (es. NH3) evidenziano ancora alti contributi, che incidono in particolare sulla formazione del particolato secondario, e lenti trend di riduzione. Su queste criticità è necessario concentrare i maggiori sforzi per conformarsi agli obiettivi UE.

A colpo d’occhio

Il rapporto 2019 dell’EEA evidenzia, rispetto a quello del 2018, una situazione di sostanziale stazionarietà per quanto riguarda la quota di popolazione urbana dei Paesi della EU-28 esposta al di sopra sia dei livelli di concentrazione limite della Direttiva Europea sulla qualità dell’aria EU (2008/50/CE) sia dei valori più restrittivi, per alcuni inquinanti (es. PM2,5), raccomandati dall‘Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La stima viene prodotta sulla base delle misure acquisite dalle diverse reti di monitoraggio dell’aria. Dal punto di vista dell’impatto sulla salute, sulla base dei dati consolidati del 2016 acquisiti dalle stazioni di monitoraggio dell’aria nei 41 Paesi dell’area europea, si stimano:

  • 412 mila decessi prematuri attribuiti all’esposizione a particolato PM2,5, 71 mila al biossido di azoto (NO2) e oltre 15 mila all’ozono (O3).
  • oltre 4 milioni di anni di vita persi a causa dell’esposizione al particolato, 707 mila a causa del NO2 e 147 mila dell’ O3.

La situazione italiana

In Italia, nel 2016, sono state stimate 58.600 morti premature a carico dell’esposizione a PM2,5, 14.600 attribuite all’NO2 e 3 mila all’O3. Per quanto riguarda gli anni di vita persi (Years of life lost – YLL), il PM2,5 risulta responsabile di 908 anni di vita persi per 100 mila abitanti, leggermente più elevato del valore medio stimato per i 41 Paesi dell’area europea (900 anni/100 mila abitanti), gli NO2 di 227 (media europeo è 100) e l’O3 di 48 anni (media europeo 30 anni). In effetti, in Italia, i dati misurati confermano un problema relativo al rispetto dei limiti per l’NO2 nelle aree urbane e per le concentrazioni di ozono in conseguenza anche delle condizioni climatiche e orografiche dell’area geografica di appartenenza. In merito a queste stime è tuttavia necessario fare alcune importanti precisazioni. In primo luogo, sebbene l’Italia presenti le maggiori criticità in termini di impatto sulla salute, confrontabili con quelle prodotte per la Germania, il confronto con le stime degli anni precedenti mostra un incoraggiante andamento decrescente conseguenza del trend di riduzione delle concentrazioni di PM2,5 misurate mediamente sul territorio italiano. Bisogna inoltre ricordare che i dati prodotti dalle reti di monitoraggio della qualità dell’aria outdoor, secondo quanto stabilito dalla Direttiva Europea (2008/50/CE), non sono pianificate ed effettuate per la misura dell’esposizione delle popolazioni, ma sono finalizzate alla corretta gestione dei territori e per individuare possibili soluzioni di riduzione dell’inquinamento. Inoltre, i Paesi europei, soprattutto quelli ancora non appartenenti alla Unione, mostrano un‘ampia variabilità nelle caratteristiche strutturali delle reti di monitoraggio in termini sia di strumentazione che di numero di stazioni. L’Italia rappresenta uno dei Paesi con il più alto numero di stazioni di monitoraggio che rende, quindi, più affidabili le stime di esposizione della popolazione. Ne deriva che gli indicatori di impatto sulla salute esprimano il loro principale significato in termini di confronti interni per ciascun Paese, nella verifica di una graduale riduzione del rischio per la salute delle popolazioni esposte.

In merito a questa tematica, tra le azioni importanti messe in atto nel nostro Paese, ricordiamo che il 4 giugno scorso a Torino, in occasione dell’apertura del Clean Air Dialogue, è stato firmato un protocollo con impegni precisi per ridurre l’inquinamento dell’aria, in linea con il Clean Air Programme for Europe della Commissione europea. Il lavoro ha coinvolto la Presidenza del Consiglio, i ministeri dell’Ambiente, dell’Economia, dello Sviluppo economico, delle Infrastrutture e dei trasporti, delle Politiche agricole, della Salute, nonché le Regioni e le Province autonome. Questo protocollo riguarda i tre settori maggiormente responsabili dell’inquinamento, ovvero trasporti, agricoltura e riscaldamento domestico a biomasse, identificando le misure e concentrando le risorse per un efficace raggiungimento dell’obiettivo.

Risorse utili

autori: Maria Eleonora Soggiu, Gaetano Settimo

fonte: EpiCentro

 

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