Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 3 2017 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link:
Nel quadro dei processi di invecchiamento della popolazione e di mutamento delle strutture familiari, le politiche di long term care (Ltc) volte alla copertura dei bisogni di cura delle persone disabili e non autosufficienti, sono divenute cruciali e lo saranno sempre più in prospettiva. Nel panorama delle politiche LTC italiane, l’Indennità di accompa-gnamento (IdA) rappresenta lo strumento principale che monopolizza circa un terzo della spesa del settore.
L’IdA prevede l’erogazione di una somma fissa liberamente spendile (per il 2017: 515,43€ mensili) alle persone con invalidità civile al 100%, unicamente sulla base di un accertamento delle condizioni psi-cofisiche definite in primo luogo come: «impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore e inabilità nel com-piere gli atti quotidiani della vita senza un’assistenza continua».
Introdotta negli anni ’80 come misura a sostegno dei disabili adulti, nel corso del tempo è andata a coprire principalmente i bisogni di cu-ra della popolazione anziana (gli over 65 rappresentano circa i ¾ dei beneficiari).
La centralità crescente assunta dall’IdA nel supporto dei bisogni di cura della popolazione anziana spiega anche il motivo per cui, a partire dai primi anni duemila, l’espansione di questa misura è stata molto si-gnificativa, con un incremento del 75,5% nel numero di beneficiari dal 2000 al 2015 (Inps, 2016, p. 81).
La collocazione della misura, in un’ottica comparata europea, mette tuttavia in evidenza diversi profili di criticità, da cui conseguono esiti negativi sul terreno dell’appropriatezza, efficienza ed equità (Ranci, 2008; Beltrametti, 2009).
Il primo elemento è rappresentato dall’assenza di uno strumento standardizzato di valutazione del bisogno tramite strumenti e scale ad hoc. Questo si ripercuote sui tassi di copertura della misura che, infatti, variano notevolmente all’interno del territorio nazionale, sino a tripli-care in alcune province i valori minimi riscontrati soprattutto nelle aree del nord e in alcune zone del centro Italia.
Un secondo aspetto critico dell’IdA riguarda l’assenza di una differenziazione nell’importo riconosciuto ai soggetti beneficiari della misura, ponderato all’intensità del bisogno assistenziale. L’importo rimane lo stesso per tutti i beneficiari, nonostante l’estrema varietà del bisogno di cura che può variare da condizioni di lieve limitazione dell’autonomia, ad altre di totale allettamento e richiesta h 24 di cura ed assistenza1. Tale assetto determina un forte elemento di iniquità “verticale”, che peraltro non sembra trovare analoghi nel panorama europeo dove l’importo dei benefici a sostegno dei costi di cura per persone non autosufficienti è sempre differenziato in base al grado di gravità del bisogno. Al tempo stesso, l’impostazione universalistica della misura, cioè indipendente dal reddito dei beneficiari – un aspetto comunque in linea con l’esperienza della gran parte dei paesi europei (eccetto il caso francese) – vincola la possibilità di riconoscere sostegni più elevati a chi presenta una maggiore intensità del bisogno sia da un punto di vista funzionale che economico (Lamura e Principi, 2010).
1 Va precisato che, unicamente nel caso dei ciechi civili assoluti, è previsto un importo differente dell’indennità di accompagnamento (911,53 euro mensili nel 2017).
Infine, un terzo elemento critico riguarda le modalità di erogazione della misura. Il trasferimento dell’IdA al beneficiario avviene, infatti, senza fornire alcun supporto, consulenza ed informazione, nonché al di fuori di dispositivi, come la stesura di un piano assistenziale individuale, in grado di individuare le modalità più efficaci di intervento a copertura del bisogno di cura. L’IdA viene, inoltre, erogata senza introdurre alcun vincolo, e relativo eventuale controllo rispetto all’utilizzo delle risorse. Essa va quindi ad integrare il reddito disponi-bile secondo una logica esclusivamente “risarcitoria”, che appare lon-tana dagli scopi di una misura finalizzata alla cura. Il mancato inquadramento della misura all’interno di dispositivi di presa in carico, op-pure di dispositivi che ne vincolino l’utilizzo a specifiche prestazioni di cura, se da un lato garantisce la piena libertà di scelta dei beneficiari rispetto all’impiego delle risorse trasferite, dall’altro lato favorisce dif-fusamente un utilizzo distorto: non solo a mera integrazione del red-dito familiare, ma anche per il reperimento irregolare di assistenti fa-miliari, alimentando così il mercato sommerso della cura. Inoltre, non è prevista alcuna forma di integrazione tra l’IdA e le reti di offerta dei servizi implementate a livello territoriale, nonché con i vari schemi LTC (come assegni di cura e/o voucher) introdotti nel corso degli ul-timi anni da Regioni e Comuni (NAA, 2015). L’assenza di integrazio-ne crea indubbiamente problematiche in termini di mancata appro-priatezza, duplicazioni e sovrapposizioni di interventi.
Per concludere, i bisogni crescenti della popolazione, e le prospettive di sostenibilità del welfare state, rendono sempre più cruciale un in-tervento volto ad allineare il disegno dell’IdA ai principali schemi eu-ropei, così da migliorarne il grado di equità ed efficacia nel sostegno ai bisogni della popolazione disabile e non autosufficiente. A questo proposito, è possibile identificare almeno quattro punti principali per una riforma dell’IdA.
Il primo punto rimanda alla necessaria individuazione di strumenti oggettivi di valutazione del bisogno, in grado di cogliere la multidi-mensionalità del bisogno stesso, limitando i fenomeni di discrezionali-tà e diversificazione esistenti nelle pratiche di valutazione.
Il secondo punto riguarda la necessaria introduzione di elementi di graduazione della misura in relazione ai livelli di disabilità, in grado di superare l’attuale impostazione flat.
Il terzo punto rimanda alle modalità di utilizzo dell’IdA che, nell’impostazione attuale, hanno favorito lo sviluppo del fai da te fami-liare, con forte coinvolgimento delle reti familiari (ed in primis della componente femminile), espansione del sommerso, dequalificazione del lavoro di cura. Da questo punto di vista, l’introduzione di un si-stema «incentivato» di voucherizzazione, tipo con una maggiorazione degli importi a parità di condizione di bisogno nel caso di opzione per un’assistenza familiare contrattualizzata oppure tramite servizi erogati da soggetti accreditati, potrebbe comportare un forte sostegno all’emersione e al miglioramento delle condizioni di lavoro e di cura.
Infine, un ultimo punto riguarda la possibilità di ridurre l’iniquità ver-ticale dell’IdA, cioè assicurare un sostegno più elevato a chi presenta bisogni funzionali ed economici maggiori, attraverso l’introduzione di variazioni nel sostegno in base alla condizione economica dei benefi-ciari. Nei principali paesi europei (eccetto la Francia), l’accesso a pro-grammi di LTC, così come la definizione del beneficio, non richiede alcuna valutazione del reddito disponibile dei potenziali beneficiari. La considerazione di questa dimensione, tuttavia, potrebbe, realizzare un’allocazione più equa delle risorse dell’IdA, disincentivando peraltro comportamenti opportunistici da parte di beneficiari non in condizione di reale bisogno.
Marco Arlotti è ricercatore Rtd-a in Sociologia economica presso il Dipar-timento di Architettura e Studi urbani del Politecnico di Milano;
Andrea Parma è dottore di ricerca in Sociologia applicata e metodologia della ricerca sociale presso l’Università di Milano «Bicocca» e attualmente collabora con il Laboratorio di Politiche sociali del Politecnico di Milano;
Costanzo Ranci è professore di Sociologia economica presso il Dipartimento di Architettura e studi urbani del Politecnico di Milano.