Il saggio* tematizza la configurazione dei confini e dei processi di confinamento e segregazione nel vigente regime migratorio, nella connessione tra politiche di regolazione dell’accesso e dell’insediamento nello spazio nazionale, concentrandosi in particolare sulla continuità della torsione autoritaria e razzista delle strategie (politiche e comunicative) adottate nel governo del fenomeno migratorio ai tempi del ministro Salvini. Le vicende Diciotti e Riace sono analizzate quali esempi paradigmatici delle politiche di securizzazione delle frontiere e dei territori. La prima (Diciotti) consente di evidenziare i processi che si sono realizzati sui confini esterni, attraverso la marginalizzazione e la criminalizzazione dell’intervento umanitario delle ong, la chiusura dei porti e l’esternalizzazione dei controlli, l’affidamento degli interventi di soccorso e salvataggio a paesi «amici».
L’altra (Riace) permette di riflettere sui processi di confinamento interni, cioè sulla drastica smobilitazione del sistema di seconda accoglienza, attraverso la stigmatizzazione e criminalizzazione di Mimmo Lucano e del modello integrato di accoglienza diffusa e di sviluppo locale realizzato nella piccola comunità calabrese. Le politiche pubbliche adottate dal Governo Lega-5Stelle in materia di migrazioni, pur nel loro carattere fortemente autoritario e razzista, si inscrivono nel solco tracciato dal precedente ministro Minniti e dagli orientamenti europei. L’Europa, infatti, difende i propri confini da sempre. I Piani quinquennali (Tampere 1999-2004, L’Aja 2004-2009, Stoccolma 2009-2014) che si sono succeduti dopo il Trattato di Maastricht, hanno sostanzialmente completato quel processo di comunitarizzazione del controllo delle frontiere esterne iniziato con Schengen.
L’Agenda Europea del 2015 costituisce la più evidente espressione delle politiche di contenimento della pressione migratoria, attraverso la lotta alla tratta e al traffico di esseri umani, e il consolidamento di un quadro unitario delle politiche e procedure d’asilo. In quest’ottica vanno interpretate alcune iniziative di chiusura dell’Italia adottate dal ministro Minniti, quali il Memorandum d’intesa con la Libia, l’accordo Italia-Niger del 2017 e il Codice di condotta delle ONG impegnate nel salvataggio in mare. Sempre nella stessa cornice s’inserisce il Decreto Sicurezza del ministro Salvini (Dl 113/2018, convertito in Legge 132/2018). Tali posizioni politiche mostrano le proprie conseguenze nell’evoluzione degli obiettivi delle missioni di salvataggio in mare.
Rispetto a Mare Nostrum (18 ottobre 2013 – 31 ottobre 2014), le successive Triton (dal 1 novembre 2014) e Themis (dal 1 febbraio 2018) registrano, infatti, oltre al forte depotenziamento di risorse economiche messe a disposizione, uno spostamento dell’enfasi dagli obiettivi umanitari di soccorso in mare dei migranti a quelli di controllo delle frontiere esterne, di contrasto all’immigrazione irregolare e d’individuazione delle minacce terroristiche. Si riduce, quindi, l’impegno dello Stato italiano nella gestione delle operazioni di salvataggio a mare per via delle politiche di ripartizione delle responsabilità nello spazio europeo, mentre a partire dal 2015, nella cosiddetta «crisi europea dei rifugiati» cresce il contributo fornito dalle ong nelle azioni nel Mediterraneo centrale. In questo contesto, la vicenda della nave della Marina militare Diciotti assume una dimensione paradigmatica. Dopo aver salvato in mare 190 persone, nella notte tra il 15 e il 16 agosto e dopo aver fatto sbarcare a Lampedusa le prime 13 persone in emergenza sanitaria, la nave fino al 26 agosto non riuscirà ad attraccare in un porto italiano, perché il 20 agosto 2018 il ministro Salvini ha bloccato la procedura di sbarco non concedendo l’approdo sicuro e precludendo la libertà personale per 177 migranti.
Il 24 gennaio 2019 viene perciò formalmente accusato di sequestro di persona aggravato, tuttavia il Senato non autorizzerà il procedimento, considerando preminente l’interesse della sicurezza dello Stato. L’altra vicenda paradigmatica, divenuta caso mediatico, concerne la criminalizzazione e la chiusura del modello di accoglienza Riace, un progetto imperniato sullo sviluppo locale e sull’accoglienza diffusa.
*Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 2 2019 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale
Vincenzo Carbone è ricercatore in Sociologia presso l’Università «Roma Tre».
Fonte: RPS 2/2019 free text La Rivista delle Politiche Sociali