Gli operatori sociali e i migranti, tra aiuto e controllo nel quadro del nuovo sistema di accoglienza. di Marco Accorinti, Elena Spinelli.

Come si coniugano gli interventi professionali volti al benessere delle persone in stato di necessità con le funzioni di controllo ed espulsione contenute nel Decreto Sicurezza? Quali i rischi di pratiche discriminatorie nell’intervento sociale all’interno dei centri di accoglienza? Come sfidare le politiche e le pratiche ingiuste e lavorare per una società inclusiva?

Questi alcuni dilemmi che si trovano ad affrontare gli operatori delle strutture di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati e in particolare gli assistenti sociali, come professionisti dell’aiuto, espressione della solidarietà della Società.

Gli elementi di riforma contenuti nel decreto 132 del 2018 hanno riguardato il sistema nazionale di accoglienza definito nel 2015, e hanno prodotto non soltanto modifiche nell’offerta di servizi ma anche nella sfera dei diritti sociali per gli immigrati in considerazione del nesso esistente con i diritti alla salute, all’apprendimento della lingua, alla mediazione culturale, all’integrazione lavorativa e sociale, all’assistenza più in generale. Ciò sulla base di una linea ideologica che parte da due elementi centrali sintetizzabili in due espressioni: prima gli italiani e, seconda sicurezza sopra di tutto! Si tratta di un progetto progressivo di esclusione al posto dell’inclusione, disuguaglianza invece che uguaglianza. In tale contesto i professionisti si sono trovati a veder ridotto il loro monte ore di attività lavorativa, in molti casi anche licenziati, e soprattutto a dover sacrificare percorsi finora avviati che prevedevano progetti di integrazione e di mediazione culturale.

L’articolo esplicita gli elementi di cambiamento prodotto nel sistema di accoglienza e nei tipi di centri e i loro effetti da una parte, dall’altra richiama le persistenti voci di resistenza e di solidarietà, di advocacy, messe in atto dagli assistenti sociali per singole persone rispetto alle problematiche relative alla interpretazione della normativa ormai irrigidita e poco accogliente. La costruzione di reti consapevoli antirazziste continuano infatti a permettere alleanze tra servizi, realtà territoriali, cittadini e associazioni facendo sì che si possano attuare progetti integrati con obiettivi di inserimento sociale degli immigrati nella comunità, finalità principe del welfare collettivo.

Per comprendere quali effetti sta portando la nuova normativa e come affrontare la complessità dell’aiuto in presenza del decreto all’interno della professione, vengono riprese nell’articolo sia le analisi delle recenti modificazioni normative nel sistema di accoglienza, sia le riflessioni su quanto le stesse normative incidano sul rapporto tra «aiuto» e «controllo» e sulla capacità di voice degli operatori nel Servizio sociale professionale.

Nella logica del Decreto Sicurezza il centro di accoglienza viene concepito come luogo in cui la presenza dei richiedenti asilo debba essere considerata un evento di ordine pubblico, comunque straordinario, temporaneo, che prima o poi finirà, rivelando una visione che non considera quale sia l’importanza dell’interazione con il territorio e che non tiene conto delle lungaggini temporali procedurali che obbligano a rimanere per molti mesi nelle strutture gestite dalle Prefetture. Non solo ma l’aver tolto ai richiedenti asilo il diritto alla residenza nel centro di accoglienza, prerequisito per poter fruire di diritti tra cui l’accesso ai servizi sociali e sanitari avrà conseguenze non secondarie sul piano dell’inclusione sociale.

Modificando le regole sull’accesso ai soli protetti riconosciuti e ai richiedenti nella prima fase, l’attuale sistema di protezione nel tempo verrà sottodimensionato, con posti liberi nell’accoglienza di secondo livello e creerà una forte competizione tra gli Enti gestori basata su offerte al ribasso e non su articolate proposte progettuali.

Togliendo i servizi di integrazione sociale nei centri di accoglienza, l’impegno economico viene infatti ridotto dal Ministero e passa da una media del precedente bando di 35/32 euro come contributo per singolo ospite accolto al giorno omnicomprensivo di tutti i beni e servizi erogati, a 23/21 euro con, in aggiunta, il riconoscimento di soli 3,90 euro al giorno per l’affitto delle strutture e le utenze.

Un ulteriore effetto grave della legge riguarda la dotazione del personale e il monte ore dedicato per ciascun servizio: il nuovo capitolato esclude interventi tecnici e professionalità specifiche, definendo così una figura di operatore non necessariamente competente nella assistenza alla persona o in una attività «esterna» di lavoro di rete e di conoscenza della realtà dove vanno a inserirsi i migranti ospiti, incidendo quindi sulla loro capacità di rendersi autonomi. Il risultato è la drastica riduzione della presenza nei centri dello psicologo, dell’infermiere e dell’insegnante di italiano L2, del mediatore culturale, dell’Assistente sociale, dell’operatore legale e del medico.

Tutto il peso verterà sui servizi territoriali, spesso non preparati a una utenza straniera di questo tipo e con possibili elementi di conflittualità legati al dover decidere sulla «meritevolezza» del soggetto in base allo status, elemento che ha prodotto comportamenti che sono andati dal fare «di più» per gli immigrati irregolari perché «ingiustamente immeritevoli» a forme di discriminazione istituzionale con conseguente rifiuto di prestazioni perché «la legge non lo permette». L’articolo evidenzia anche la capacità di interventi di advocacy in difesa della implementazione di quei diritti sociali inclusivi presenti in varie leggi nazionali e internazionali.

Si potrebbe dire che gli assistenti sociali con altri operatori impegnati nell’accoglienza si trovano a sostenere la «capacità di aspirare» sicuramente presente negli immigrati come capacità di immaginare e costruire ponti concreti tra il presente e il futuro secondo l’antropologo indiano Appadurai.

Marco Accorinti è primo ricercatore presso l’Irpps-Cnr e docente di Sociologia generale presso l’Università «Roma Tre». Elena Spinelli è assistente sociale e sociologa.

Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 2 2019 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link: RPS 2/2019 LA RIVISTA DELLE POLITICHE SOCIALI

Fonte: RPS 2/2019

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