Il prezzo di Zolgensma (Novartis) è – in un’unica dose – di oltre 2 milioni di dollari. Il problema non è (si fa per dire) il prezzo, ma il modo con cui questo è stato costruito: non per i costi di produzione, ma per il suo “valore intrinseco”. Una tendenza da arginare al più presto.
In un rapporto pubblicato lo scorso maggio, Access to Medicines Foundation tenta di rispondere a una domanda importante: le aziende farmaceutiche hanno fatto qualche progresso in materia di salute globale?[1] Lo studio, il primo del genere con una retrospettiva analitica di dieci anni, fissa lo sguardo su 20 aziende e valuta se, e come, sia cresciuto l’impegno di big pharma sul fronte dell’accesso ai farmaci essenziali. Vari sono i profili di misurazione della performance: la ricerca e sviluppo di nuovi farmaci, la partecipazione a partenariati pubblico-privati, la adesione a programmi di donazione dei farmaci, le licenze assegnate ai produttori di farmaci equivalenti, etc.
Qualcosa si muove sotto il sole dell’industria farmaceutica, pare dire il rapporto. Dopo decenni di controversie aspre su questo terreno della salute globale, simbolicamente potente per i tratti di ingiustizia strutturale che configura, le aziende oggi sembrano più disposte a considerare l’accesso ai farmaci un tema strategico. Certo, il loro impegno risente di fluttuazioni correlate a ragioni di mercato (acquisizioni e disinvestimenti), e la partita della proprietà intellettuale resta tutto sommato ancora molto critica: solo 4 aziende su 20 si sono adeguate all’attuazione delle flessibilità previste dall’accordo TRIPS dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc). [2] Ma decisivi fattori di contesto facilitano oggi il loro impegno, più che in passato. La comunità internazionale ha dedicato grande attenzione al tema e a partire dalle big three (Aids, tubercolosi e malaria) sono nate iniziative per ideare soluzioni, sia per l’accesso ai farmaci già disponibili sul mercato che per la ricerca di nuovi trattamenti più adatti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha avuto un ruolo chiave nel coordinare l’azione internazionale. È aumentato il numero di partnership per l’innovazione e produzione di farmaci contro le (cosiddette) malattie della povertà – da 38 a 90 – e di conseguenza i progetti di ricerca sulle malattie dimenticate. Nuovi incentivi sono in campo per stimolare le aziende a rispondere celermente all’esplosione di focolai epidemici, come quelli di Ebola e Zika.
Il mancato accesso ai farmaci essenziali è una questione che riguarda 2 miliardi di persone e storicamente colpisce i paesi a basso reddito. Stiamo parlando di una battaglia per il diritto alla salute che compie venti anni, se vogliamo fissare per convenienza il suo debutto internazionale con la mobilitazione della società civile – inclusi medici e pazienti – alla prima conferenza interministeriale dell’Omc , a Seattle, nel novembre 1999. Invece di trovare una soluzione di prospettiva, dopo venti anni di azioni diplomatiche, dimostrazioni nelle piazze, battaglie legali, e pronunciamenti di corti supreme, il problema è divenuto globale. Ironia della storia? Facile profezia, piuttosto. Già a Seattle era chiaro che, se non attaccata per quello che era, un’immensa omissione di soccorso, la morte dei pazienti poveri a causa di malattie per cui un farmaco salvavita esisteva, ma era troppo costoso, avrebbe anticipato una deriva destinata a colpire anche i pazienti del mondo industrializzato. Così è stato. Da qualche tempo, i paesi ricchi devono affrontare ostacoli sempre più insormontabili per garantire le cure essenziali alle loro popolazioni. A dispetto delle incoraggianti tendenze registrate dal rapporto di Access to Medicines Foundation, le questioni non risolte sul ruolo delle case farmaceutiche nella salute globale restano spinose. In alcuni casi si aggravano, vista la posizione dominante conferita loro dal patogeno regime di proprietà intellettuale. [3] Il rapporto ad esempio non affronta il tema della segretezza che avvolge il negoziato sul prezzo di un farmaco: viatico a una dispersione di fondi pubblici immensa.
Con coraggiosa determinazione, il direttore della Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha presentato alla assemblea dell’Oms, insieme ad altri dieci governi, una risoluzione sulla trasparenza nel settore farmaceutico[4] che ha cominciato a fare presa sul serio nel dialogo politico intergovernativo.[5] Vogliamo augurarci che riesca a mutare le dinamiche nel rapporto tra governi e industria farmaceutica, anche in seno alla recalcitrante Europa. [6] La mancanza di trasparenza nei negoziati fra agenzie del farmaco e aziende sul prezzo dei farmaci, le clausole di segretezza brandite dalle multinazionali come condizione per abbassare il prezzo dei loro prodotti, da bilanciare con le incertezze sui benefici di salute delle innovatività terapeutiche degli ultimi anni, mettono a dura prova la sostenibilità dei sistemi sanitari. Non solo sotto il profilo economico, ma anche della possibilità di nuove strategie a disposizione del servizio pubblico. Tanto per fare un esempio, nel 2018 la Norvegia ha deciso di rigettare il 51% dei nuovi farmaci e strumenti immessi sul mercato, per via dei loro prezzi eccessivi a fronte di dati clinici carenti. Oggi, solo Svizzera e Giappone hanno sistemi di trasparenza in vigore. Nel resto del mondo è giungla.
La spesa farmaceutica mondiale orbita alla cifra di 1,2 trilioni (1 trilione = 1000 milioni) di dollari nel 2018. Si prevede che aumenterà di altri 1,5 trilioni entro il 2023. Nei paesi OCSE, l’acquisto dei medicinali equivale a una fetta dei bilanci sanitari che va dal 7 al 41%. Secondo l’analisi dell’agenzia americana Rx Saving Solutions, il costo di 3400 farmaci in America è aumentato del 17% nel 2019, anche per gli effetti della contrattazione fra assicurazioni e aziende farmaceutiche (altro capitolo di opacità strutturale, oggi sotto tiro da parte della amministrazione Trump, che merita attenzione, vista la quantità di adepti di cui gode il modello assicurativo anche in Europa). Nel 2018, è cresciuto a vista d’occhio (+42%) l’impatto sulla spesa farmaceutica globale delle terapie contro malattie croniche complesse. Intanto, la ricerca genetica ha conferito nuovo impulso all’innovazione: 46 nuovi prodotti sono stati lanciati negli ultimi cinque anni. Ma se non cambiano le regole del gioco, che ce ne facciamo di nuove terapie, sempre più fuori controllo dal punto di vista del prezzo?
In un articolo di fine agosto, il New York Times[7] raccontava della storia di Dawn Patterson, affetta da una rara e dolorosissima patologia genetica alle ossa, ereditata fra l’altro dai suoi due figli. Il farmaco Strensiq, prodotto da Alexion Pharmaceuticals, ha finalmente salvato Patterson dalla ferocia del dolore e da una vita di reclusione, ma la botta è arrivata quando la International Brotherhood of Boilermakers, la assicurazione sindacale che copre la terapia della signora, ha ricevuto dalla azienda una richiesta di rimborso di 6 milioni di dollari per un anno di somministrazione della terapia. La sbalorditiva storia dello Strensiq ha quasi superato la vicenda, altrettanto inquietante, del farmaco Zolgensma, prodotto dalla svizzera Novartis, e approvato negli Stati Uniti nel maggio 2019. Zolgensma è stato raccontato come il medicinale più costoso della storia. Si tratta di una terapia genetica che si amministra con una sola dose, e serve per il trattamento pediatrico di bambini di età inferiore ai due anni affetti da atrofia muscolare spinale (SMA). È un trattamento salvavita, segna uno storico passo avanti nella cura della patologia, perché si somministra in un’unica dose. Il suo prezzo è 2,125 milioni di dollari. [8]
La Novartis ha dichiarato di aver costruito il prezzo del farmaco su un “modello basato sul valore” (value-based pricing model). Detto in altre parole, il prezzo sarebbe direttamente proporzionale al valore terapeutico intrinseco del medicinale. L’azienda assicurerebbe una riduzione del 50% sulle medie di spesa corrente per la cura della SMA, incluso il costo per una terapia decennale per la SMA cronica, che ruota intorno ai 4 milioni di dollari. L’unico farmaco alternativo in uso, Spinraza di Biogen, costa 750 mila dollari per il primo anno, e 375mila per gli anni successivi.
Alcuni analisti finanziari confermano: il prezzo fissato da Novartis potrebbe diventare un prezzo di riferimento per altre terapie genetiche in corso di sviluppo. Ciò che Novartis non dice è che Zolgensma, dalla cui vendita prevede un profitto di 2,4 miliardi di dollari l’anno, è frutto della ricerca finanziata dalla maratona di Telethon in Francia. Nella fattispecie, da un laboratorio non profit creato ad hoc, Genethon, che per anni si è cimentato sulla atrofia muscolare spinale, con un investimento di 12 – 15 milioni degli euro raccolti con la maratona televisiva. Il team di scienziati aveva scoperto che l’iniezione di un certo “vettore virale” avrebbe potuto correggere il gene difettoso. A marzo 2018, Genethon ha venduto per 15 milioni di dollari il suo brevetto alla start up americana AveXis, che già aveva nel portafoglio di ricerca il farmaco Zolgensma. Il mese successivo, AveXis è stata acquistata dal gigante Novartis per 8,7 miliardi di dollari. Questo significa che Novartis ha introdotto nel mercato americano, e a seguire in quello europeo e giapponese, una terapia che è frutto di ricerca finanziata dalle donazioni dei cittadini.
Nessuno mette in discussione il fatto che l’industria farmaceutica debba fare profitti per continuare a operare. Ma la filosofia di costruzione del prezzo dei farmaci che sta prendendo piede deve trovare un argine, rapidamente. Assomiglia sempre di più a quella applicata alle malattie rare, che non hanno concorrenza. Il nuovo modello di business è stato sperimentato con successo nel 2013 da Gilead Sciences nel caso del Sofosbuvir (scoperto dalla biotech Pharmasset, poi acquisita), un farmaco innovativo contro l’epatite C lanciato in USA al proibitivo costo di 84 mila dollari, in Italia circa 41 mila euro a trattamento in regime ospedaliero (74 mila euro per acquisto privato in farmacia)[9], per una terapia di 12 settimane. Una sorta di derivato finanziario[10] . Alla stessa stregua di Gilead Sciences, Novartis con Zolgensma ha separato completamente il prezzo del farmaco dal costo del suo sviluppo, e ha deciso di farne un prodotto speculativo.
Se i governi e le agenzie internazionali come l’Oms non rigettano con fermezza la filosofia di basare il prezzo dei farmaci sul loro valore intrinseco, questo vorrà dire che avremo un mondo alla rovescia, rispetto a quanto visto finora. I farmaci essenziali finiranno per costare più degli altri, proprio perché salvavita. Allora sì che i bilanci pubblici della sanità saranno in pericolo.
Nicoletta Dentico, Direttrice, Health innovation in Practice (HIP), Ginevra.
Bibliografia
- Are pharmaceutical companies making progress when it comes to global health? Access to Medicines Foundation,16.05.2019.
- L’Accordo sugli Aspetti della Proprietà Intellettuale legati al Commercio (Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, TRIPS) è entrato in vigore nel 1995, e prevede clausole globali per incentivare l’innovazione in campo industriale, basate su una sostanziale condizione di esclusività ventennale nella gestione del brevetti. E’ pratica diffusa delle grandi imprese quella di rinnovare la posizione dominante con diversi dispositivi di “rinverdimento” del brevetto (ever-greening, frivolous patenting, patent fencing). Il regime di monopolio che le clausole dell’accordo TRIPS prevedono è stato oggetto di dure critiche da parte della società civile internazionale e dei governi del sud del mondo, privi di capacità industriali. L’Accordo TRIPS è stato visto giustamente come una barriera insormontabile all’accesso alla conoscenza. Nella fattispecie, la equiparazione dei farmaci a qualunque altro prodotto industriale ha suscitato gravi problemi nella lotta alle malattie infettive in passato, e potrà consegnare molte barriere anche nella lotta alle malattie croniche, per la asimmetria di potere che il sistema TRIPS legittima. Infatti, le clausole di salvaguardia previste dall’accordo – la licenza obbligatoria, la importazione parallela, le due principali – sono riuscite a scalfire questa asimmetria solo in alcuni casi, e con molte difficoltà. Si tratta di meccanismi procedurali molto complessi, difficilmente utilizzabili nei paesi che non hanno capacità produttiva in campo farmaceutico; inoltre, risentono in larga misura dei rapporti di forza geopolitici.
- Sell S, Williams O. Health under capitalism: a global political economy of structural pathogenesis. Review of International Political Economy, 09.09.2019.
- Dentico N. Salute pubblica, accesso ai farmaci e trasparenza sul loro prezzo: il cambio di gioco dell’Italia. La Repubblica, 22.09.2019.
- Il 4 ottobre 2019, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) ha pubblicato una richiesta del governo del Sudafrica rivolta al TRIPS Council sul tema “Costi di Ricerca e Sviluppo (R&S) e Prezzi di Medicinali e Tecnologie Sanitarie” (IP/C/W/659). In questo documento, il Sudafrica chiede al TRIPS Council dell’Omc (che si riunisce il 17 e 18 ottobre 2019) di affrontare la questione sul costo della R&S e sui prezzi finali dei farmaci. Nel solco della pista di lavoro tracciata dall’Italia all’Assemblea 2019 dell’Oms, i delegati dell’Omc che seguono le questioni sulla proprietà intellettuale dovranno quindi discutere sui temi della trasparenza, ai sensi del documento sudafricano. Per ulteriori informazioni, si veda Keionline.org.
- Fletcher ER. Malta Looks for European Action in Medicines Price Transparency. Health Policy Watch, 02.10.2019.
- Thomas K, Abelson R. The $6 million drug claim. The New York Times, 25.08.2019.
- Dentico N. Farmaci: la opacità dei colossi industriali sulla formazione dei prezzi. La Repubblica, 9.09.2019.
- Epatite C: il diritto alla cura. Salute Internazionale 20.07.2006
- Americans for Tax Fairness. Gilead Science
fonte: SALUTEINTERNAZIONALE.INFO