La spesa sanitaria pubblica oggi è di 114 miliardi di euro, cioè di circa 1.900 euro in media l’anno a testa, il che equivale a poco più di 5 euro al giorno a persona.
Se ogni giorno coloro che sono in ottima salute, e non hanno bisogno di interventi sanitari, fossero il 50% della popolazione, si potrebbe in teoria far pagare 10 euro per ogni giornata passata in buona salute e nulla per ogni giorno di malattia, grave o leggera che sia. Certo che se ci fosse questo sistema … chissà quanti sarebbero i malati immaginari!
Ma il problema che vogliamo analizzare è quello iniziato ahimè già da tempo, e non solo dall’attuale governo, che consiste nel ridurre le risorse per la sanità per destinarle ad altre forme di contribuzione economica, fossero gli 80 euro o il reddito di cittadinanza, o la fantomatica tassa piatta. Queste misure economiche equivalgono a spostare delle risorse che oggi sono a favore dei malati per destinarle a fasce di popolazione che sono magari indigenti, ma prevalentemente sane.
Il principio introdotto dalla Legge 833/78, e che trova sostegno anche nel dettato costituzionale, è che l’accesso all’assistenza sanitaria non deve dipendere dalle condizioni economiche di ciascuno, e quindi la necessaria contribuzione dovrebbe essere del tutto proporzionale ai redditi di ciascun cittadino. Questo principio di equità trova oggi diverse contraddizioni, nei ticket, nelle deduzioni fiscali delle spese sanitarie e nell’intramoenia, oltre ai problemi legati ai cosiddetti fondi integrativi, che spesso sono sostitutivi, e degli acquisti out of pocket di prestazioni sanitarie.
Il sistema dei ticket oggi in vigore presenta la sua criticità maggiore per le persone di mezza età che necessitano di complesse prestazioni diagnostiche il cui ticket non può essere esentato per una patologia che ovviamente non è stata ancora diagnosticata e non può neppure, data l’età, essere esentato per reddito, anche si trattasse di un indigente (hanno, infatti, oggi diritto all’esenzione ticketper reddito solo i bambini di età inferiore a 6 anni e gli anziani over 65 anni, purché appartenenti ad un nucleo familiare con reddito complessivo non superiore a 36.151,98 euro).
Il Patto per la salute del 2012 prevedeva l’effettuazione di una riforma della compartecipazione da attuare entro il novembre 2014, e per questa occasione avevo presentato, come Agenas, una proposta articolata che rispettava la proporzionalità dei ticket alla capacità contributive e considerava anche il problema del tetto sull’accumulo dei ticket nell’anno per lo stesso soggetto. Di questa proposta, che peraltro sembrava avere persino il consenso del MEF, non se ne fece più nulla neppure più tardi nella fase pre-elettorale in cui “si cercava di fare qualcosa che apparisse come un provvedimento di sinistra” e nonostante l’allora ministro “di sinistra” (?) si fosse più volte dichiarata in procinto di attuare una riforma, e nulla si è fatto sino ad oggi.
Per anni si è detto che la spesa sanitaria fosse in Italia esorbitante e fuori controllo e questo refrain ha continuato ad esser ripetuto per molti anni in ogni occasione. Di sicuro la spesa sanitaria contiene anche molte inappropriatezze e sicuramente anche degli abusi illeciti, ma difficilmente nel breve periodo si può pensare di ricuperare in misura sostanziale tutte queste risorse sprecate; lo si deve assolutamente fare ma sarebbe veramente azzardato farci conto con ingenua certezza.
Il Rapporto OECD 2018 mostra che la spesa pubblica italiana è di oltre 400 $ inferiore a quella della media dei paesi OECD e soprattutto in termini reali è decrescente dal 2009 al 2013 e pressoché ferma in seguito.
Nonostante l’impegno reale e costante della maggior parte degli operatori sanitari, la sanità pubblica sta soffrendo profondamente per questo sotto-finanziamento e ogni ulteriore riduzione rischierebbe di portarla al collasso.Nel contempo si sta lasciando volutamente ogni giorno più spazio alla copertura sanitaria privata nelle sue varie forme assicurative favorendo paradossalmente la popolazione maggiormente benestante in virtù del sistema delle esenzioni sulla imposta sui redditi IRPEF. Una spesa di 1.000 Euro infatti non potrebbe essere detratta da chi non paga l’IRPEF, sarebbe invece scontata, attraverso le detrazioni IRPRF, di 230 € per chi ha una aliquota marginale del 23% (redditi inferiori a 15.000 €) e di 430 € per chi ha una aliquota marginale del 43% (redditi superiori a 75.000 € ); ciò significa che per i ricchi le spesa sanitarie private sono scontate del doppio rispetto ai non benestanti.
Le spese sanitarie out of pocket, tra cui vi è anche l’intramoenia, per chi non ha assicurazioni, gravano naturalmente molto di più proporzionalmente su chi ha un basso reddito rispetto a chi lo ha alto: una prestazione di 100€ rappresenta l’1 per cento di un reddito di 10.000 € ed invece l’1 per mille di un reddito di 100.000 €.
Un altro discorso sono i fondi assicurativi aziendali, ad esempio quelli previsti dal contratto nazionale dei metalmeccanici che hanno dovuto subire una decurtazione di parte dell’aumento del salario destinata appunto a finanziare un fondo assicurativo sanitario: praticamente è come se si fosse imposta una tassa di scopo per la sanità a gravare sulla loro retribuzione. L’unico aspetto positivo è che in questo caso il prelievo riguarda tutti e non solo chi è malato o comunque ha bisogno di prestazioni.
Un ulteriore taglio sul finanziamento della sanità produrrebbe una caduta del consenso nei riguardi del governo anche se venisse presentata come un semplice mantenimento del finanziamento nominale attuale e non dicendo però che in realtà sarebbe un taglio del finanziamento reale riportato al valore di acquisto dell’euro che inevitabilmente diminuisce nel tempo.
C’era Robin Hood, Lady Marian, Little John e lo sceriffo di Nottingham, Fra Tuck, Alan-a-Dale e il vescovo di Hereford oltre naturalmente a Riccardo Cuor di Leone: provate per gioco ad abbinare a ciascuno di loro uno dei nostri politici, attuali o precedenti; sarei curioso di sapere cosa avete fatto!
E in ogni caso facciamo capire che ogni ulteriore taglio alla sanità pubblica non solo toglie salute ed equità ma anche consenso politico di cui il governo sembra sempre molto interessato … chissà se almeno questo può servire a convincerlo a rispettare le risorse necessarie per la sanità?
fonte: Epidemiologia&Prevenzione