Nel precedente articolo avevo analizzato il parallelo tra il precedente Patto per la Salute e la bozza del nuovo Patto per la Salute nel suo complesso ed in particolare nel parallelo tra le professioni sanitarie comprese nell’area della dirigenza medica-veterinaria e sanitaria, ora, invece vorrei analizzare come tale bozza affronta la questione delle professioni sanitarie e sociosanitarie normate dalla legge 251/00.
Si inizia nel punto 7 dell’articolo 5 ad affermare che: “
“Per quanto riguarda le professioni infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, Governo e Regioni si impegnano a garantire la valorizzazione e lo sviluppo delle relative competenze professionali, tenendo conto dei livelli della formazione acquisita, in coerenza con quanto previsto nei Contratti Collettivi Nazionali di settore relativamente al conferimento degli incarichi professionali”.
È positivo che nell’articolato vengano denominate con il proprio nome, cioè professioni sanitarie infermieristiche-ostetrica, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione; il diritto al nome di queste professioni, non più chiamate non mediche o peggio paramediche, è sancito dalle leggi della loro riforma ordinamentale e formativa ma perlopiù disatteso.
Purtroppo, come spesso accade, manca il riferimento alla professione sociosanitaria di assistente sociale, pur ricompresa nella competenza della legge 251/00
In tutto l’articolato della bozza la scelta “strategica” per quanto riguarda queste professioni di Governo e Regioni è il loro impegno, riprendo la frase, “a garantire la valorizzazione e lo sviluppo delle relative competenze professionali, tenendo conto dei livelli della formazione acquisita, in coerenza con quanto previsto nei Contratti Collettivi Nazionali di settore relativamente al conferimento degli incarichi professionali”.
È evidente che siamo in presenza del fatto che è stato proprio il contratto nazionale del comparto sanità a garantire il riconoscimento della implementazione e della specializzazione delle competenze di queste professioni sanitarie e, se ne è dimenticata la bozza del Patto per la Salute, ma non il contratto, anche della professione sociosanitaria di assistente sociale.
Opinione che ho più volte espresso e dimostrato in più articoli su questo Quotidiano on line.
Questo avviene dopo anni di tentativi perpetrati di delegittimazione del ruolo della contrattazione di entrare nel merito dell’organizzazione del lavoro e dopo il fallimento della via legislativa/amministrativa di permettere il riconoscimento e la valorizzazione della crescita delle competenze.
Nell’articolato successivo si valorizza il modello di integrazione professionale per potenziare l’area territoriale dei servizi sanitari e sociosanitari per far fronte ai nuovi bisogni di salute derivanti dall’aumento delle patologie croniche e dei quadri complessi pluripatologici, in questo quadro si evidenzia:
“la valorizzazione delle professioni sanitarie, in particolare di quella infermieristica, finalizzato alla copertura dell’enorme incremento di bisogno di continuità dell’assistenza, educazione terapeutica, in particolare per i soggetti più fragili, affetti da multi-morbilità; la promozione di politiche attive di valorizzazione della figura del care-giver; lo sviluppo di strutture intermedie (es.: Ospedali di Comunità) a gestione infermieristica; l’integrazione della figura del Medico di Medicina Generale con le figure professionali della dipendenza deputate all’assistenza primaria; il coordinamento dei servizi sanitari, sociosanitari e socio-assistenziali per la presa in carico unitaria della persona;”
ed in particolare: “l’implementazione sul territorio nazionale dell’esperienze assistenziali efficaci a partire dall’infermieristica di famiglia e comunità”
L’infermiere di famiglia/di comunità è una delle fattispecie degli incarichi professionali di esperto e di specialista previsti dal contratto nazionale e costituisce la componente fondamentale per attuare non solo il Piano nazionale della cronicità ma qualsiasi altra iniziativa programmatoria per potenziare l’area delle Cure Primarie.
Ritengo che l’infermiere di famiglia/comunità sia la scelta più qualificante che Stato e Regioni dell’Italia possano adottare per presentarsi all’appuntamento del 2020 indetto dall’OMS come l’anno dell’infermiere e dell’ostetrica; come evidenzia sia la bozza di Patto per la Salute che la recente Conferenza programmatica della FNOPI a Firenze dagli interventi di qualificati Direttori degli Assessorati Regionali alla Sanità, mi pare che siamo incamminati sulla strada giusta per ottenere tale risultato, scopo di quest’articolo è anche quello di evidenziare quello che manca per giungere all’appuntamento del 2020.
Ad abundantiam si evidenzia come un’altra fattispecie dell’incarico professionale di infermiere esperto sia presente nel nuovo Accordo Stato Regioni sui Pronto Soccorso Ospedalieri, che, nello specifico, recita: “appare evidente come sia è opportuno prevedere lo sviluppo di percorsi diagnostico terapeutici rapidi che richiedono prestazioni a bassa complessità con invio a team sanitari distinti da quelli del PS/DEA, facilitando, contemporaneamente, l’integrazione tra i diversi servizi ospedalieri.
Il See and Treat è un modello di risposta assistenziale ad urgenze minori predefinite che si basa sull’ adozione di specifici protocolli medico-infermieristici condivisi e validati a livello regionale per il trattamento di problemi clinici preventivamente individuati; è un approccio applicabile alla gestione della casistica a bassa intensità di cura e di complessità diagnostica ed organizzativa che si presenta al Pronto Soccorso.
Tale modalità assistenziale non può essere adottata nell’approccio a sintomatologie che necessitano di approfondimenti specialistici (es. dolori addominali, sintomi neurologici, problematiche cardiovascolari o respiratorie…).
Il See and Treat è introdotto in diverse realtà del panorama nazionale, offre risultati riassumibili nella riduzione delle attese e dei tempi di permanenza nei Pronto Soccorso per condizioni di urgenze minori.
In questo modello organizzativo, il paziente viene preso in carico in una determinata area del Pronto Soccorso idonea allo svolgimento delle funzioni previste dai citati protocolli medico-infermieristici, ove l’infermiere in possesso di formazione specifica applica le procedure del caso e, previa condivisione con il medico, assicura il completamento del percorso.
I predetti protocolli devono prevedere modalità di rivalutazione del paziente atti a garantire che al mutare della condizione clinica, il paziente possa essere reinserito nel percorso assistenziale di Pronto Soccorso.
Il Fast Track è un modello di risposta assistenziale alle urgenze minori di pertinenza mono specialistica (ad es. oculistica, otorinolaringoiatrica, odontoiatrica, ginecologica/ostetrica, dermatologica), alle quale nella fase di Triage è stata attribuita una codifica di urgenza minore.
Anche per questo percorso l’attivazione si avvia dal Triage ed è condotta sulla base di specifiche linee guida e di protocolli validati localmente che, in presenza di un quadro di patologia minore con chiara pertinenza mono-specialistica, consentono di inviare il paziente direttamente allo specialista competente.
L’adozione di tali modelli clinici–organizzativi può valorizzare ulteriormente la funzione di Triage, migliorando inoltre l’appropriatezza di trattamento grazie alla possibilità di attivazione di percorsi differenziati di presa in carico all’interno dei PS.”
È evidente che l’infermiere operante nel See and treat o nel Fast Track è “l’esempio di scuola” che dimostra qual è la tipologia del professionista esperto oggi e domani del professionista specialista prevista dal vigente contratto nazionale del comparto sanità.
Se si rimane soddisfatti dal riconoscimento avvenuto del primato di fatto del contratto nel riuscire ad apprezzare le competenze di queste professioni, per essere coerenti questa scelta strategica di valorizzazione delle professioni sanitarie e sociosanitarie realizzata tramite gli incarichi professionali previsti dal contratto dovrebbe essere considerata una delle risorse principali, a mio giudizio, da finanziare adeguatamente dal bilancio dello stesso SSN.
Il sistema dell’implementazione delle competenze ai queste professioni è finalizzata, infatti, non solo a valorizzare questi professionisti della salute, il cui potenziale professionale è largamente sottoutilizzato, cosa di per se buona e giusta, ma soprattutto per offrire prestazioni più adeguate, tempestive, efficaci ed efficienti, rivendo l’attuale organizzazione del lavoro sanitario, nel territorio ed in ospedale, anche nei suoi carichi di lavoro delle e tra le professioni.
Per dispiegare al massimo la sua potenzialità innovatrice Il sistema degli incarichi professionali non può essere riservato solo a quelli che potremmo chiamare di “alta professionalità”, cioè il professionista esperto ed il professionista specialità, ma dovrebbe essere, come avviene per la dirigenza medica e sanitaria, una delle componenti normative ed economiche di ogni dipendente delle professioni di cui alla legge 251/00, da graduare sulla base delle specifiche scelte aziendali e delle competenze acquisite non solo dalla formazione ma anche dalla esperienza pluriennale positivamente verificata.
E’ auspicabile che questo sia una delle centralità della prossima stagione negoziale, ad iniziare dall’Atto di indirizzo del Comitato di Settore Regioni Sanità per emanare all’ARAN le direttive per il rinnovo contrattuale, così come nel precedente Atto proprio la parte datoriale aveva proposto l’attivazione degli incarichi di esperto e specialista, ora potrebbe proporre erga omnes il sistema degli incarichi, che certo potrebbe avere un costo, che non è un costo ma un investimento, ma si potrebbe, insieme al doveroso intervento economico di parte pubblica, ripensare e rimodulare alcune componenti dei fondi contrattuali, ad iniziare dal sistema delle fasce economiche.
PROGRAMMAZIONE DEI FABBISOGNI FORMATIVI E FORMAZIONE
Gli effetti di una metodologia inadeguata della programmazione dei fabbisogni formativi delle professioni sanitarie sono evidenti: il caso più eclatante, finalmente ammesso, è dato dal fatto che non ci sia un’emergenza medica, essendo il numero degli abilitati a questa professione più che sufficiente, bensì una carenza attuale e futura di medici specialisti.
Per questo, non si comprende perché non si avvalga anche delle rappresentanze sindacali nel processo di individuazione dei reali fabbisogni di professioni sanitarie che, a mio giudizio, ha competenza adeguata per conoscere i reali effetti sull’organizzazione del lavoro sanitario di tale procedura di rilevamento, questa metodologia fu utilizzata per un periodo dal Ministero della Salute ma, poi, abbandonata, inoltre, per essere realmente efficace la programmazione dei fabbisogni normativi dovrebbe rientrare anche quella del personale appartenente al profilo professionale di operatore sociosanitario, nonché tutti i profili di interesse sanitario e di arte sanitaria ausiliaria.
Nel precedente articolo, nell’auspicare il medesimo trattamento economico e normativo durante la fase di specializzazione post-laurea tra professioni sanitarie, medici compresi, avendo tutti gli stessi doveri ma non gli stessi diritti, ho reiterato l’auspicio che la prevista borsa di studio evolvi in un normale contratto di formazione lavoro da regolamentare nella contrattazione collettiva.
Non comprendo però, perché Stato e Regioni non si avvalgano di una normativa già esistente cioè i contratto di formazione lavoro, come recepito dal contratto nazionale del comparto sanità, dando indicazione alle Aziende Sanitarie, con sede di corsi di laurea per infermieri e per le altre professioni sanitarie di poter stipulare tale fattispecie di contratto già previsto nel CCNL, debba essere previsto come indicazione normativa per il reclutamento, nella misura percentuale da definire, di laureati delle professioni sanitarie di cui alla legge 251/00 da parte delle aziende sanitarie sede di corso di laurea al fine di velocizzazione delle procedure di assunzione.
E’ una scelta che nel potenziare e qualificare il compito del SSN che è anche quello della formazione e della ricerca come sancito dall’articolo 6 del d.lgs. 502/92, renderebbe agli occhi dei Direttori Generali le loro sedi di corsi di laurea non un obbligo normativo per le Aziende Sanitarie ma, soprattutto, una risorsa.
In tale ottica, sarebbe quanto mai opportuno che si riprenda e si dia corso ad un provvedimento che equipari, nei corsi universitari per le professioni sanitarie, i docenti dipendenti del SSN a quelli dipendenti dalle Università sia nelle modalità di attribuzione degli incarichi di insegnamento che nelle modalità di partecipazione alla vita delle Università sino al Senato Accademico.
Infine è ora che si superi le esclusive finalità sinora spendibili per i laureati magistrali delle professioni sanitarie di cui alla legge 251/00 nella docenza o nella dirigenza ampliando gli ordinamenti dei corsi di laurea specialistica con indirizzi genuinamente professionali, non solo gestionali e didattici, anche, se del caso anche come evoluzione di parte dei master specialistici di cui all’articolo 6 della legge 43/06, rispondendo alla necessità che la loro formazione adeguata ed implementata sia rispondente ai nuovi bisogni di salute derivanti dalla nuova dimensione epidemiologica e demografica dell’Italia e al progresso dinamico delle scienze, delle tecnologie e agli ordinamenti del pianeta salute.
Sono opinioni e suggerimenti che, se condivisi e fatti propri anche in parte, potrebbero essere un contributo per la definizione del Patto per la Salute tra Stato e Regioni da una parte e dall’altra parte per la prossima scadenza indetta dall’OMS del 2020 anno dedicato all’infermiere ed all’ostetrica.