«Mi chiamo Francesca, ho 25 anni, vivo a Mezzago in provincia di Monza Brianza. Fino a un anno e mezzo fa ho vissuto in famiglia, poi un po’ per motivi di studio, un po’ per un mio percorso di indipendenza, ho preso prima una stanza nella residenza universitaria dell’Università Milano Bicocca e adesso – da meno di un mese – mi sono trasferita in un appartamento. Andando a vivere da sola ho dovuto imparare ad arrangiarmi, prima in casa non facevo niente…».
Fin qui questa storia somiglia a tante altre. Ma Francesca è quanto di più lontano possa esserci dal cliché dei “giovani viziati italiani”. Francesca Donnarumma, infatti, ha la sindrome di Usher (malattia ereditaria che determina un’alternazione del codice genetico, producendo una proteina anomala, che a propria volta influenza lo sviluppo e il corretto funzionamento degli apparati visivo ed uditivo), sente grazie alle protesi acustiche e da quando ha 12 anni vede solo ombre.
Nel marzo scorso si è laureata in giurisprudenza, con un bel 103: è una delle prime persone sordocieche in Italia a tagliare questo traguardo. Non solo. Ha scritto un libro di poesia, suona il pianoforte e ha un fidanzato che si chiama Andrea, «conosciuto per puro caso, stavo girando con il bastone e lui mi ha aiutato… Da lì è nata piana piano la nostra storia. Molte persone sordocieche hanno paura di uscire di casa, per me uscire è stata una fortuna».
Francesca, ci racconti un po’ di te?
«Ho fatto le superiori a Inzago (Milano), la scuola per perito aziendale, e poi mi sono iscritta a giurisprudenza. Laurea magistrale a ciclo unico, cinque anni: la mia fortuna e sfortuna. Fortuna perché così non ho dovuto fare la tesi della Triennale, sfortuna perché è stato pesante, stressante. Però mi ha dato tanta soddisfazione».
Come mai hai scelto giurisprudenza?
«L’ho sempre detto, fin da piccola. Ho una passione per la parte investigativa e per la giustizia. Mi piacevano i gialli e l’idea di dare le soluzioni ai casi… dicevo. Poi le cose cambiano e le idee iniziali si modificano… Adesso quella passione rimane, tant’è che sto facendo un corso di criminologia investigativa, una volta al mese per due giorni. Però penso anche ad altre strade, infatti sto per iniziare un tirocinio all’Ufficio Vertenze della Camera del Lavoro di Milano».
Cosa significa avere la sindrome di Usher?
«Sono nata con un problema di vista, fino a 12 anni qualcosa riuscivo a vedere, poi la malattia ha progredito, io vedo luci e ombre. Invece rispetto all’udito ho avuto problemi dai 3 anni, porto le protesi acustiche: sento, faccio fatica, bisogna avere un’attrezzatura apposta per fare alcune cose ma… come dico sempre, “meglio poco che niente!”».
Come hai fatto, concretamente, a leggere e a studiare tanti volumi durante l’università?
«Scannerizzavo i libri cartacei e li trasformavo in un documento informatico. Un po’ li ho ascoltati letti dalla sintesi vocale, un po’ li ho letti con il Braille, e un po’ ci sono state persone che hanno registrato mentre leggevano a voce alta i testi e io poi ho ascoltato tutto. Diciamo che preferisco la sintesi vocale per lo studio, mentre per le letture “di passione” preferisco il Braille, su carta o con barra Braille».
Hai incontrato difficoltà?
«L’inserimento nell’àmbito universitario mi ha provocato un momento di smarrimento, ma forse succede a tutti… A volte ho avuto difficoltà nell’interazione con i docenti, non tutti venivano incontro ai miei bisogni, tipo parlarmi sulla parte destra, alzare la voce; abbiamo fatto esami in aule con trecento persone e si può capire il brusio di sottofondo che c’era… C’erano giorni neri in cui arrivavo a sera distrutta dalla fatica, ma c’è sempre stata la parola buona dei familiari e amici che mi ha dato lo stimolo in più e la carica per andare avanti. Quando finivo un esame mi dicevano “aspetta”, ma l’adrenalina era così alta che attaccavo subito con l’altro esame. Però alla fine ce l’ho fatta! Tantissimo hanno fatto la Lega del Filo d’Oro e il Servizio Disabili dell’Università, con i ragazzi che mi accompagnavano a lezione e agli esami».
Qual è stato il ruolo della Lega del Filo d’Oro nella tua vita e in questi successi?
«Sono stati i miei “angeli custodi”. La Lega del Filo d’Oro mi ha seguito fin dal 2005, quando ero alle medie, quando la sordocecità è subentrata in maniera più importante. Mi aiutano in tutto e per tutto. In particolare mi hanno affiancato nel progetto di vita indipendente, il percorso che ho fatto per andare a vivere nella residenza universitaria e poi per conto mio è stato attuato grazie alla mia famiglia in primis e alla Lega del Filo d’Oro, al mio Comune e a un progetto della Regione Lombardia.
La Lega del Filo d’Oro mi ha sostenuto con gli operatori e i volontari, mi hanno affiancato nella scelta della facoltà, i primi tempi mi hanno aiutato ad orientarmi e siccome studiavo molto, sono entrati in gioco per darmi dei momenti di relax, con i volontari che mi proponevano di fare gite, weekend di svago…».
Qual è, per te, il ruolo della tecnologia?
«La tecnologia aiuta parecchio e non parlo solo dello studio, ma anche a livello sociale, per comunicare con altre persone, per un arricchimento culturale. Cose anche “semplici”, come la “macchinetta dei colori” che permette ai non vedenti di sapere i colori dei vestiti, l’orologio vocale che quando schiacci un testo ti dice che ore sono, la stampante in Braille che quando buca i fogli sembra un trattore per il rumore che fa, il bastone bianco».
Sei una delle poche – finora – persone sordocieche in Italia ad arrivare al traguardo della laurea… Si dice si contino sulle dita di una mano.
«Il messaggio è che una persona sordocieca può laurearsi, logico che è più difficile. Serve tanto sostegno e una buona forza di volontà. Occorre adottare strategie per arrivare alla fine. Io sono fortunata perché ho un residuo uditivo, se sei completamente sordo le cose si complicano, ma anche lì non è impossibile. A tutto c’è una soluzione».
Ti senti un simbolo?Com’è stato il giorno della laurea?
«Bellissimo. Prima ero agitatissima, continuavo a ripassare, poi sono entrata e ho parlato senza fare errori, sciolta. Poi quando mi hanno proclamato ero un po’ sotto shock: tutti piangevano commossi, io ero contenta, ma non avevo realizzato. Per recepire che avevo finito davvero ci sono voluti dieci giorni!».
«Francesco Mercurio, il presidente del Comitato delle Persone Sordocieche della Lega del Filo d’Oro, anche lui laureato in giurisprudenza, dice sempre che noi del Comitato abbiamo un ruolo di responsabilità perché siamo i primi a dover dare l’esempio. Tante persone si rispecchiano in noi, ci chiedono consigli… in un certo senso siamo di stimolo per la vita di tutti i giorni di tante persone. Il mio messaggio è che “si può fare”, basta volerlo davvero e avere il supporto giusto. È vero che ho un carattere molto determinato, mi sono messa in testa che dovevo laureami e non mi avrebbe fermato niente… magari una persona con un carattere meno determinato avrebbe abbandonato».
Cos’è esattamente il Comitato delle Persone Sordocieche della Lega del Filo d’Oro?
«È un organo consultivo permanente dell’Associazione, con funzioni propositive e consultive relative alle problematiche e ai bisogni delle persone con sordocecità e all’organizzazione dei servizi per la loro integrazione ed assistenza. Ne faccio parte dal 2014, siamo una vera “banda di matti”. Cerchiamo di fare in modo di migliorare un po’ l’Associazione, proponendo al Consiglio di Amministrazione della stessa nuovi progetti. Il punto è che noi, persone sordo cieche, sappiamo meglio di chiunque altro ciò di cui abbiamo bisogno, cosa è necessario e cosa no. Una persona che non vive questa condizione può immaginare cosa ci serve, ma non comprendere davvero fino in fondo».
E cosa servirebbe, in generale, a livello di politiche e di società?
«L’abbattimento delle barriere, il miglioramento dei servizi di trasporto, una migliore assistenza scolastica, maggiori benefìci a livello lavorativo, un sostegno per la salute delle persone… C’è bisogno di una maggior presenza dello Stato».
fonte: SUPERANDO