Risposte sbagliate: il welfare separato per immigrati. di Enrico Di Pasquale, Andrea Stuppini e Chiara Tronchin

Gli immigrati hanno salari e redditi più bassi degli italiani. Per questo rappresentano una componente rilevante tra coloro che ricevono sussidi contro la povertà. La soluzione migliore è costruire efficaci politiche del lavoro e per l’integrazione.

Immigrazione e povertà

Le polemiche italiane sulla presenza degli stranieri nei provvedimenti di contrasto alla povertà sono di carattere ideologico: non tengono conto, infatti, del contesto generale e, soprattutto, dei dati relativi al rapporto tra immigrazione e povertà.

In tutto il mondo, da sempre, gli immigrati svolgono prevalentemente lavori ad alta intensità di manodopera, registrando un differenziale di salario e di reddito nei confronti degli autoctoni. Ma se il divario è un tratto comune a tutti i paesi industrializzati, la situazione in Italia è più grave rispetto alla media Ue, sia per quanto riguarda gli italiani che gli immigrati. Se consideriamo l’incidenza degli adulti autoctoni a rischio povertà o esclusione sociale, il nostro paese registra un 26,3 per cento, oltre 5 punti in più rispetto alla media UE 28 (21 per cento). Tra gli immigrati non comunitari, il 53,8 per cento è a rischio povertà, mentre tra i comunitari si scende al 42,3 per cento, in entrambi i casi sopra la media europea.

Lo squilibrio trova conferma nei dati Istat relativi alla povertà: se complessivamente le famiglie in condizione di povertà assoluta e relativa sono rispettivamente il 6,9 e il 12,3 per cento del totale, tra le famiglie di soli stranieri l’incidenza sale al 29,2 e 34,5 per cento.

Figura 1 – Incidenza % persone (18 anni e oltre) a rischio povertà o esclusione sociale per cittadinanza (2017)

Fonte: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Eurostat

Figura 2 – Incidenza % famiglie in povertà assoluta e relativa per nazionalità dei componenti (2017)

Fonte: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Istat

L’accesso al welfare

Nasce anche da questi numeri l’idea, oggi dominante nell’opinione pubblica, secondo cui la componente immigrata rappresenta più un costo che un beneficio per il nostro paese, poiché assorbe larga parte delle risorse del welfare.

Dai dati presentati nel Rapporto annuale 2018 del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è possibile osservare l’incidenza dei cittadini stranieri tra i beneficiari delle misure di welfare. In questo caso, i dati si riferiscono ai soli cittadini extra-comunitari, che nel 2017 in Italia erano 3,6 milioni, pari al 5,9 per cento della popolazione.

La percentuale dei beneficiari extra-comunitari è più alta per le misure legate al numero di figli (maternità e assegni familiari) e a sostegno del reddito (disoccupazione e cassa integrazione). Cala invece in maniera rilevante per le misure previdenziali, legate alla composizione demografica della popolazione.

Dunque, se è vero che nelle misure di contrasto alla povertà abbiamo una componente immigrata rilevante, nel complesso l’incidenza degli stranieri sulla spesa pubblica italiana è piuttosto modesta, proprio per la diversa struttura demografica. Le voci di spesa più consistenti, in Italia, sono infatti quelle rivolte agli anziani (sanità e pensioni), fascia di età in cui gli immigrati sono poco presenti.

Figura 3 – Incidenza % beneficiari extra-Ue delle misure di welfare (2017)

Nota: L’indennità di disoccupazione include Naspi, Aspi, mini-Aspi. La voce “Pensioni Ivs” include invalidità, vecchiaia e superstiti.

Fonte: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati ministero del Lavoro

Il caso del reddito di cittadinanza

L’ultimo tassello in ordine cronologico è il reddito di cittadinanza. Nonostante i proclami della campagna elettorale, per diverse ragioni non era possibile escludere a priori i cittadini stranieri, come sottolineato in un precedente articolo. La soluzione del governo per limitare l’accesso alla misura degli stranieri è stata quella di inserire alcuni vincoli legati alla residenza (permesso di soggiorno di lungo periodo e residenza in Italia da oltre 10 anni). È stato poi il governo stesso, nella relazione tecnica allegata al decreto legge n. 4 del 28 gennaio 2019, a stimare i beneficiari stranieri del reddito di cittadinanza: 154 mila nuclei familiari, pari al 12,3 per cento dei beneficiari totali, con uno stanziamento di risorse pari a 950 milioni di euro (12,7 per cento del totale). Bisogna peraltro tener presente che, se venissero accolti eventuali ricorsi degli esclusi per motivi di residenza, la platea dei beneficiari stranieri aumenterebbe.

Si tratta dunque di un valore (intorno al 12 per cento) simile a quello di altre misure a sostegno del reddito. Per lo stesso reddito di inclusione, lo strumento precedente al Rdc, nel 2018 il numero di beneficiari extra-comunitari è stato pari all’11 per cento del totale.

Le misure utili

L’analisi dei dati conferma una correlazione tra immigrazione e povertà, presente in tutta Europa ma particolarmente accentuata in Italia. Il divario tra italiani e stranieri, evidentemente, dipende dalla complementarietà di questi ultimi nel mercato del lavoro, “relegati” nelle mansioni manuali e meno retribuite.

Attuare politiche contro la povertà, dunque, non è solo un atto di giustizia sociale verso le famiglie in quella condizione, ma porta benefici per tutta la collettività, determinando una maggiore partecipazione alla produzione della ricchezza e quindi maggiori consumi ed entrate fiscali. Allo stesso modo, le politiche per l’integrazione dei cittadini stranieri non servono solo ai beneficiari diretti, ma contribuiscono alla crescita complessiva del paese.

Non si tratta quindi di concepire provvedimenti separati per gli immigrati, ma di gestire in maniera più efficace il mercato del lavoro nel suo complesso. Se le politiche di integrazione (come i corsi di lingua e gli inserimenti lavorativi) e le politiche per il lavoro si dimostreranno efficaci, il nesso tra immigrazione e povertà tenderà ad affievolirsi.

fonte: LAVOCE.INFO

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