Come mantenere universale ed equo il servizio sanitario. di Marco Geddes da Filicaia

Sostenibilità. Un termine che si è diffuso negli ultimi anni; un aggettivo che si attribuisce a molteplici sostantivi. C’è la mobilità sostenibile, la vacanza sostenibile, l’edificio sostenibile, il turismo sostenibile, l’agricoltura sostenibile. Il termine, pur declinato in diversi contesti, ha una valenza temporale che connette l’oggi con il futuro. Con tale vocabolo non ci si interroga se ciò che facciamo sia oggi, ora, compatibile rispetto alle attuali risorse, alla situazione ambientale, all’ecosistema, alla nostra condizione psicofisica; ci si domanda in primo luogo se ciò che quotidianamente effettuiamo o che ipotizziamo di realizzare, e che si proietta inevitabilmente nel futuro, sia, appunto, sostenibile nel domani, per noi, per i nostri figli, per le prossime generazioni.

Volete una sanità sostenibile? Certamente. Chi mai proporrebbe o auspicherebbe una sua insostenibilità! Ma tale proposito, oltre che scandirlo, va esaminato, valutato, articolato e, essendo appunto un obiettivo non solo per l’oggi ma, essenzialmente, per il domani, bisogna individuare il come e, in alcuni casi, domandarsi: “Sostenibile per chi?”.

La sostenibilità sanitaria ha quanto meno due facce: quella del servizio sanitario e quella della salute. Sostenere lo strumento che, in misura certo parziale – ma per vari aspetti in misura rilevante – determina il fine (la salute); sostenere il fine, con strumenti e modalità che sono in parte al di fuori del servizio sanitario ma che, qualora non vengano messi in atto, l’oggetto (la salute) viene deteriorato e dilapidato, con conseguente maggiore impegno dello strumento deputato al suo ripristino, quindi del servizio sanitario, venendo così a indebolirne

la sostenibilità.

La sostenibilità in ambito sanitario tocca vari aspetti che in queste brevi note ci limitiamo solo a richiamare, per poi approfondirne alcuni.

Tre declinazioni di sostenibilità

In primo luogo quella a cui si pensa subito e su cui si accanitamente discute: la sostenibilità economica. Il nostro servizio sanitario nazionale è economicamente sostenibile nel prossimo futuro (e anche fra qualche decennio) e, per far sì che lo sia, quali provvedimenti adottare? Vi è poi una sostenibilità etico-giuridica, che deriva da valori condivisi e costituzionalmente garantiti. Il nostro sentire, i nostri valori, i nostri principi costituzionali impongono obblighi che sono un onere, organizzativo e finanziario, che altre società non hanno assunto, quanto meno nelle forme e nella estensione che noi abbiamo fatto propri: obblighi non nei confronti dei solventi, degli assicurati, dei cittadini, ma nei confronti di tutte le persone. I doveri che un sanitario e la sua struttura hanno, ad esempio, nei confronti di chi si presenta al pronto soccorso o contatta il 118 sono diversi in Italia rispetto agli Stati Uniti.

Vi è infine una sostenibilità sociale e, per alcuni aspetti, a mio parere, una sostenibilità democratica. Un sistema sanitario pubblico, universalistico, è sostenibile nella misura in cui i cittadini lo vogliono e intendono sostenerlo. Lo stato, ma in termini più esatti direi la nazione, la nostra comunità, ha elementi di identificazione, di affetto, che non sono solo la nazionale di calcio, ma anche i fondamenti del sistema di welfare: istruzione, sanità, previdenza sociale.

Chi li volesse demolire (o forse è più esatto dire: “Chi li vuole demolire”) non lo farebbe proponendo un sistema diverso, ma indebolendo progressivamente l’esistente.

Un sistema sanitario pubblico, universalistico, è sostenibile nella misura in cui i cittadini lo vogliono e intendono sostenerlo.

All’opposto, gli elementi di debolezza del servizio sanitario, quali ad esempio le liste di attesa, hanno importanza anche per la disaffezione e la sfiducia che generano nella popolazione nei confronti del sistema sanitario pubblico. Questi sono peraltro fattori che determinano orientamenti della popolazione su questioni generali e, per alcuni aspetti, epocali. A sostegno di questa mia affermazione cito un dato: la più forte correlazione legata al voto “Leave” sulla Brexit è stata l’avere avuto un tempo di attesa superiore al limite definito accettabile (62 giorni dopo la prima visita medica) per un intervento per tumore [1]. In altri termini la percezione di un peggioramento nel funzionamento dell’Nhs, il servizio sanitario britannico, imputato (erroneamente) all’appartenenza all’Europa, è stato un fattore determinante per una scelta epocale, quale il distacco della Gran Bretagna dall’Unione europea.

Dei tre aspetti per i quali ho declinato la sostenibilità – economico, etico-giuridico e sociale – tratterò solo del primo che, tuttavia, in parte risponde o quanto meno condiziona anche gli altri due. Il nostro servizio sanitario pubblico e universalistico è sostenibile? La risposta è molto semplice e molto chiara: dipende. Dipende da noi; da quanto vogliamo che lo sia.

Qualche riflessione

Partiamo da una previsione, la più accreditata, la più autorevole, che riporto nella figura 1.

Figura 1. Spesa sanitaria pubblica rispetto al pil con alcune ipotesi alternative in relazione al consumo sanitario (cps = consumo pro capite standard).

Fonte: Ministero dell’economia e delle finanze. Dipartimento della ragioneria generale dello stato.

Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario. Rapporto n. 19.

Roma, luglio 2018.

Questa proiezione è stata effettuata in base a una serie di criteri e metodologie concordate a livello europeo, al fine di confrontare diversi scenari di spesa pubblica (sanitaria, long term care, previdenziale) fra i paesi della comunità. Le variabili utilizzate, che danno luogo a previsioni leggermente diverse, identificano una spesa sanitaria che raggiungerà, fra il 2055 e il 2060, cioè fra trentacinque/quarant’anni, il 7,5 o l’8 per cento del pil. Una percentuale inferiore a quella che vari paesi europei a noi confinanti investono già ora in sanità (Austria 7,9 per cento, Francia 8,6 per cento, Germania 9,4 per cento). Anche nel 2070 avremo una spesa sanitaria pubblica, in rapporto al pil, al di sotto della media dell’Unione europea e nettamente inferiore a quella di molti paesi: Danimarca, Germania, Francia, Austria, Portogallo, Svezia, Regno Unito e Norvegia.

L’ulteriore elemento su cui riflettere è la spesa sanitaria, ovviamente, più elevata nelle classi di età avanzate. Il fenomeno è dovuto a un aumento di consumi di farmaci e di accertamenti e anche la spesa ospedaliera si concentra in tali classi di età, in ragione del fenomeno del death related cost, vale a dire di un incremento rilevante della ospedalizzazione in prossimità del decesso e, poiché si muore in età avanzata, è lì che si concentra la spesa ospedaliera.

Conseguentemente il previsto incremento di spesa sanitaria pubblica, in conseguenza degli andamenti demografici della popolazione italiana, ha segno negativo nell’età fra 0 e 64 anni (meno 21 per cento), un modesto aumento fra i 65 e i 74 anni (del 20 per cento) e un forte incremento negli ultra settantaquattrenni (del 114 per cento). Quando si affronta pertanto il tema della sostenibilità è necessario prospettare azioni di tipo preventivo, organizzativo e finanziario, rivolte prioritariamente a tale fascia di popolazione, cosa che appare attualmente assai lontana dalla prevalente offerta avanzata nell’ambito delle assicurazioni private e dalla sanità cosiddetta integrativa.

Mi sono, come dire, attardato in questo confronto di “geopolitica” e di “demografia” sanitaria, perché in prossimità di una scadenza elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo mi sembra utile allargare lo sguardo ai nostri vicini e domandare, a coloro che ritengono la nostra spesa sanitaria futura insostenibile, quali sfide e appunto quale futuro, nel contesto dell’Europa, intravedono, sotto il profilo economico e civile, per il nostro paese.

Mi sembra che questa dichiarata insostenibilità e i conseguenti rimedi abbiano due radici, talora compresenti, talora invece disgiunte. La prima è la consapevolezza, come recita il Trade in service agreement (Tisa) [2], che vi sia un potenziale enorme ancora non sfruttato per la globalizzazione dei servizi sanitari e che tale settore abbia giocato solo un ruolo ridotto negli scambi internazionali. Ciò è dovuto al fatto che i sistemi sanitari – lamenta il Tisa – sono finanziati ed erogati dallo stato o da enti assistenziali e non sono di nessun interesse per gli investitori stranieri a causa dell’assenza di finalità commerciali. Pertanto si intende “commercializzare”, restituire al mercato la salute, anche se ciò ne farà aumentare i costi, o proprio perché così aumenteranno i costi e, in particolare, i ricavi.

L’altra radice di coloro che ritengono il servizio sanitario pubblico inevitabilmente insostenibile, e tale destino immutabile e non dipendente da noi, affonda in eventi lontani, in ciò che Alberto Asor Rosa afferma, riflettendo sul pensiero di Machiavelli a seguito della discesa in Italia di Carlo V, cioè che nelle vene delle classi dirigenti e degli intellettuali italiani è entrata l’idea avvelenata che non ci possa essere mutamento ma solo una qualche forma di sopravvivenza [3].

I fronti d’azione

La sostenibilità del nostro servizio sanitario richiede un’azione su due fronti: il governo della spesa e il contenimento dei bisogni. Al governo della spesa sono state dedicate, negli ultimi anni, ampie riflessioni individuando, anche in base alla letteratura internazionale, i principali ambiti di intervento: il sovrautilizzo e il sottoutilizzo di prestazioni e farmaci; le frodi e gli abusi; l’inadeguato coordinamento assistenziale; le complessità amministrative; gli acquisti a costi eccessivi. Questa tassonomia è stata proposta quale classificazione degli sprechi in sanità con una, del tutto ipotetica, quantificazione, pari a circa 25 miliardi. È stato giustamente osservato [4] che tale problematica è condivisa con molti paesi, non facile a ridurre in tempi brevi e solo utopisticamente azzerabile; presentandola in termini di sprechi, risulta poi impossibile sostenere che il settore sanitario sia carente di finanziamenti e pertanto necessitante di nuovi fondi.

La sostenibilità non può essere perseguita se non si affianca alla sobrietà.

L’analisi proposta tuttavia risulta utile poiché la sostenibilità, in questo e in altri ambiti, non può essere perseguita se non si affianca alla sobrietà. “La sobrietà – come ha scritto Enzo Bianchi – è una virtù rara, che si contrappone all’eccesso nel possedere, alla voracità consumistica e riguarda tutta la vita: per questo non è amata né dalla politica né dalla religione”. Pertanto non illudiamoci, e non illudiamo gli interlocutori, che sia possibile azzerare questi che, con termine forse improprio, sono definiti “sprechi”. Tuttavia è ugualmente necessario operare su tali settori, per una manutenzione e miglioramento continuo del servizio sanitario. Questo deve essere l’obiettivo, l’orizzonte etico verso il quale tendere sia come manager che come professionisti.

Il secondo fronte per rendere il sistema sanitario nazionale sostenibile è quello della riduzione dei bisogni, grazie alla prevenzione. La questione è così ovvia: “Meglio prevenire che curare!”. Tale obiettivo viene però per lo più promosso con inviti a una vita sana e connesse pubblicità che vanno dalle bevande con latte scremato fermentato addizionato da steroli vegetali che favoriscono l’abbassamento del colesterolo, agli accertamenti “preventivi” più vari, promossi anche da molti professionisti sulle pubbliche piazze, spesso con il patrocinio di qualche ente pubblico, a un ripetuto invito a fare attività fisica, mangiare arance, ridurre lo stress, eccetera. Un richiamo continuo rivolto alle singole persone, al consumatore, perché abbia cura di sé e faccia una vita che lo renda più glamour! Si attivi come individuo, mai come collettività! Scelga il prodotto, non la norma o le modalità di produzione! Collabori a individuare precocemente il sintomo, non a rimuovere la causa!

In tal modo “la salute in tutte le politiche” rischia di diventare solo uno slogan, un guscio vuoto, se non si specificano quali politiche pubbliche si intendono perseguire, a quali idee e valori corrispondono, con quale criterio si selezionano, con che parametri si valutano. Le politiche di prevenzione efficienti, efficaci ed eque, che hanno un più alto rapporto costo/efficacia, sono quelle che riescono a interessare la popolazione nel suo complesso e, in particolare, i settori più svantaggiati. Sono politiche normative, fiscali, strutturali, volte alla riduzione dello zucchero e del sale in bevande e alimenti, ad aumentare i costi del tabacco e degli alcolici per ridurne i consumi, a realizzare aree verdi, percorsi pedonali, ad abbattere l’inquinamento.

Una sanità sostenibile si attua nell’ambito di comunità “umanamente” sostenibili perché, come dice il poeta [5]:

Spesso gli uomini si ammalano

per essere aiutati.

Allora bisogna aiutarli prima che si ammalino.

Salutare un vecchio non è gentilezza,

è un progetto di sviluppo locale.

Bibliografia

[1] Becker SO, Fetzer T, Novy D. Who voted for Brexit? A comprehensive district – level

analysis. Economic Policy 2016;33:179-80. Citato in Revelli M. Populismo 2.0, p. 77. Torino:

Einaudi, 2017.

[2] Guiducci S. TTIP e TISA, La salute in vendita. Saluteinternazionale.info, 18 marzo 2015.

[3] Asor Rosa A. Machiavelli e l’Italia. Resoconto di una disfatta. Torino: Einaudi, 2019.

[4] Crea, Spandonaro F, D’Angela D, Giordani C, Polistena B (a cura di). 14° Rapporto sanità,

Introduzione. Roma: Crea Sanità, 2018.

[5] Armino F. L’entroterra degli occhi, in Cedi la strada agli alberi, p. 24. Milano: Chiarelettere,

2017.

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