Con il Documento di economia e finanza (Def) 2019 approvato dal Consiglio dei ministri evaporano le azzardate previsioni di crescita messe nero su bianco dalla Nota di aggiornamento del Def 2018, ovvero una crescita del Pil per il 2019 del 3,1%, che nel 2020 doveva impennarsi al 3,5% per poi tornare al 3,1% nel 2021. Infatti, appena 6 mesi dopo, le stime del Pil crollano inesorabilmente: 1,2% per il 2019 (-1,9%), 2,6% nel 2020 (-0,9%) e 2,5% per il 2021 (-0,6%).
Questo contesto di “decrescita infelice” ha innescato in sanità una pericolosa reazione a catena perché la legge di Bilancio 2019 subordinava l’aumento del fabbisogno sanitario nazionale (Fsn) per gli anni 2020-2021 (+2 miliardi di euro nel 2020 e + 1,5 miliardi di euro nel 2021) alla stipula entro il 31 marzo 2019 di un’intesa Stato-Regioni sul Patto per la Salute 2019-2021 contenente «misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi».
Se logica vorrebbe che quando le scadenze condizionano i finanziamenti le controparti fossero lucide e tempestive, i tempi della politica sono ben altri visto che dall’approvazione della legge di Bilancio 2019 sono già sfumati quattro mesi e prodotti solo documenti preliminari che rappresentano poco più che carta straccia. Infatti, da un lato le “regole di ingaggio” elaborate dalle Regioni per un confronto politico con la ministra Grillo sono state prima ignorate e successivamente ritenute superflue nel primo round del 27 febbraio; dall’altro, la contro-proposta della ministra inviata il 14 marzo al presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini è stata giudicata “invasiva” e bocciata senza appello.
Ecco che allora, in occasione del secondo round del 16 aprile, Governo e Regioni provano a ripartire cambiando registro.
Niente più cornice politico-istituzionale per sviluppare il Patto e via libera a vari tavoli operativi: dai piani di rientro e commissariamenti a formazione e personale, dalla governance del farmaco agli investimenti in edilizia e tecnologie.
Si tratta di un cambio di rotta che testimonia realmente la volontà di Governo e Regioni di chiudere rapidamente il Patto? Oppure è una strategia per spostare l’attenzione su temi tecnici nel timore che le criticità politiche ed economiche, alimentando il conflitto Governo-Regioni, facciano inghiottire dalle sabbie mobili stipula del Patto e accesso alle risorse 2020-2021?
Se il mancato rispetto della scadenza del 31 marzo non ha formalmente alcuna conseguenza, è tuttavia evidente che la stesura del Patto incrocia oggi la sfavorevole congiuntura astrale delle previsioni del Def 2019. Di conseguenza, nella “leale collaborazione” tra Governo e Regioni – a cui è affidata la tutela della nostra salute – si intravedono quelle crepe che recidivano quando, a fronte degli impegni richiesti, le Regioni non hanno adeguate garanzie economiche da parte del Governo. Infatti, se da un lato la ministra Grillo prova a rasserenare gli animi promettendo che non ci saranno “mai più tagli lineari”, dall’altro il presidente Bonaccini, in allerta su possibili riduzioni del Fsn, chiede che «l’accordo sui 4,5 miliardi di euro nel triennio sia garantito e confermato», anche perché «la sanità avrebbe bisogno di ulteriori risorse».
Le preoccupazioni di Bonaccini sono legittime perché il precedente Patto per la Salute è rimasto in larga parte disatteso dalle Regioni proprio perché, a fronte delle risorse concordate con il Governo per la sua attuazione, il “conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e le variazioni del quadro macroeconomico” hanno eroso ben 6,79 miliardi di euro alle risorse del biennio 2015-2016. Un esito infausto, ironicamente ricordato come “pacco per la salute”, avvenuto sotto il segno dello slogan “no money, no Patto”, testimoniando la linea dura delle Regioni. Lo scenario però adesso è cambiato: il Governo ha invertito l’ordine dei fattori e con la strategia “no Patto, no money” ha vincolato l’incremento del Fsn alla stipula del Patto per la Salute che, nonostante l’avvio dei tavoli operativi, appare sempre più in salita e costellata di ostacoli economici, politici e tecnici. Dal punto di vista economico il Def 2019, mettendo a nudo tutte le incertezze sulla crescita economica del Paese, ha certificato che le stime di aumento del Fsn per il 2020-2021 sono utopistiche quanto le previsioni di aumento del Pil cui sono legate.
Inoltre aleggia lo spettro della clausola di salvaguardia, ovvero quel blocco di 2 miliardi di euro di spesa pubblica nel 2020 in caso di deviazione dall’obiettivo di indebitamento netto, che aggredirà certamente la sanità pubblica. Di conseguenza, non solo è impossibile garantire alle Regioni gli incrementi del Fsn per il biennio 2020-2021, ma in qualsiasi momento la mannaia del Governo, come la storia insegna, potrà colpire la sanità per esigenze di finanza pubblica.
Guardando alla situazione politica, il rovente clima di competizione elettorale per le imminenti consultazioni europee genera tra la componente “gialla” e quella “verde” dell’Esecutivo attriti quotidiani che indeboliscono il ruolo del Governo e, indirettamente, quello della ministra Grillo nel confronto con le Regioni. Dal punto di vista tecnico, infine, il tema scottante del regionalismo differenziato rende molto più complesso raggiungere un accordo sulle “misure di programmazione e di miglioramento della qualità delle cure e dei servizi erogati e di efficientamento dei costi” che riguardano le maggiori autonomie richieste in sanità. In altre parole, se Emilia Romagna, Lombardia, Veneto puntano dritto all’autonomia differenziata, il fronte delle Regioni è inevitabilmente meno compatto rispetto agli obiettivi da sottoscrivere con il Patto.
Pertanto, se da un lato i tavoli tecnici poggiano su un terreno molto friabile, dall’altro i due poli a confronto sono particolarmente indeboliti: il Governo dalla instabilità politica e dal quadro economico, le Regioni dalla minore compattezza e dall’incertezza sulle risorse condizionata anche dalla strategia “no Patto, no money”. In questo contesto, l’eventuale riaccendersi del conflitto tra Governo e Regioni scaricherà inevitabilmente le conseguenze su aziende e professionisti sanitari, ma soprattutto su pazienti e famiglie delle fasce socio-economiche più disagiate, in particolare quelle delle Regioni del Centro-Sud.
Ovvero a pagare saranno sempre i più deboli qualunque siano le relazioni tra money e Patto.
FONTE: Sanità24