Liste di attesa in sanità, una soluzione. di Marco Geddes

In contemporanea all’approvazione del Piano Nazionale di Governo delle Liste di attesa per il triennio 2019 – 2021[1] viene pubblicato, da parte del Pensiero Scientifico Editore, il volume di Carlo Rinaldo Tomassini: Liste di attesa in sanità. La soluzione dell’Open Access.  Obiettivo dichiarato del Piano Nazionale è quello di “… avvicinare ulteriormente la sanità pubblica ai cittadini, individuando elementi di tutela e di garanzia volti ad agire come leve per incrementare il grado di efficienza e di appropriatezza di utilizzo delle risorse disponibili”.  Una necessità urgente poiché proprio uno dei fattori che allontanano i cittadini dalla sanità pubblica è la questione delle liste di attesa, elemento che mina, in termini di sostenibilità sociale, il nostro Servizio sanitario nazionale.

Vi sono molte occasione di attesa nella nostra vita quotidiana: in banca, alla posta, alla fermata dell’autobus…. L’attesa genera sempre apprensione, specie un’attesa per qualche cosa che riguarda la propria salute e, come scriveva Florence Nightingale, “Apprensione, incertezza, attesa, aspettative, paura delle novità, fanno a un paziente più male di ogni fatica”. E  le attese punteggiano il percorso di cura: si attende dal medico curante e al pronto soccorso;  si attende per un intervento programmato, per il trasferimento da un reparto all’altro, per le dimissioni.

Tuttavia l’attesa che riguarda la totalità dei cittadini è quella a cui siamo generalmente sottoposti per ricevere una visita specialistica o un accertamento diagnostico; un problema diffuso e percepito come ostacolo che molti utenti, moltissimi, hanno sperimentato e che rischia di minare la credibilità e la fiducia nel nostro sistema sanitario.

Infatti le indagini rilevano che, a fronte del fatto che la gran maggioranza degli italiani si ritiene soddisfatto delle cure ricevute, oltre il 70% considera le liste di attesa la principale criticità del nostro Servizio sanitario. In altri termini se non si attenua e non si rimuove tale criticità il prestigio, l’adesione al nostro Sistema sanitario pubblico viene progressivamente erosa. Lo scorso anno ben il 54,1% delle segnalazioni arrivate a Cittadinanzattiva riguardavano ritardi e liste di attesa nell’erogazione delle prestazioni[2] e il 26,4% concernevano gli esami diagnostici. Come noto la ragione principale per la quale i pazienti si rivolgono a strutture private o, in particolare, all’attività professionale intramoenia, è proprio i tempi di attesa per visite specialistiche o per esami diagnostici.

Il libro di Carlo Rinaldo Tomassini, affronta tale problematica ed offre una soluzione: L’Open Access. Qualche lettore si domanderà se questa sia una teoria, una ipotesi, una novità di oltre oceano. A tal fine per chiarire di cosa si tratta conviene forse iniziare il libro dalle tre ultime pagine: Ringraziamenti. Alcune righe sono dedicate a coloro che hanno dato suggerimenti nella stesura e revisione del testo; si tratta di un’utile rassegna per capire che, quanto il libro espone, non si tratta di una “teoria”, ma di una esperienza, rivisitata  e documentata. Una iniziativa che, nel corso di vari anni, è stata intrapresa e realizzata nell’ambito della Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa. Un’attività che ha coinvolto – e per tale motivo in queste ultime pagine del libro vengono ringraziati – non solo lo staff di Direzione, ma l’Azienda Territoriale di riferimento, l’insieme del settore amministrativo che gestisce le agende di prenotazione, i responsabili del sistema informatico, i medici di medicina generale di Pisa e provincia, le Unità operative che hanno fatto da apripista a questa esperienza e le strutture del Privato Accreditato, che sono state pienamente coinvolte in tale sistema (senza modificarne il budget!)

In cosa consiste la soluzione Open Access che questo libro documenta in modo puntuale, descrivendone l’esperienza realizzata e rispondendo a possibili quesiti e osservazioni? Una sintesi appare difficile, con il rischio di semplificare il percorso che viene descritto, poiché in questo caso “il diavolo si nasconde nei dettagli”, e quindi i particolari, qui documentati e illustrati, sono fondamentali per il funzionamento del sistema. Una valida traccia dei principali passaggi è tuttavia ricostruibile utilizzando le utili “Sintesi” che chiudono i diversi capitoli:

  • la domanda di prestazioni espressa da un territorio è unica mentre l’offerta di prestazioni è spesso molteplice, frammentaria e non coordinata.
  • È pertanto necessario, senza modificare l’autonomia organizzativa e strutturale del sistema, far si che i vari erogatori producano un’unica offerta per quest’unica domanda.
  • La conoscenza della domanda è alla base della programmazione dell’offerta, ed è legata ai medici di medicina generale e ai pediatri di libera scelta presenti sul territorio
  • La domanda di prestazioni deve arrivare a un Centro Unico di Prenotazione (CUP). I modelli tradizionali di pianificazione o, più propriamente, di messa in lista, che si definisce scheduling, tendono a proteggere la capacità del giorno corrente, spingendo una gran parte della domanda di oggi nel futuro. Nel modello Open Access invece si protegge la capacità del futuro cercando di spingere la domanda del giorno nel giorno stesso.
  • Vi sono due flussi di pazienti: quelli per cui il medico curante richiede una vista specialistica o un accertamento e quelli per cui è necessario un successivo approfondimento. I due flussi hanno esigenze diverse, specie nella dimensione del tempo di erogazione della prestazione; pertanto bisogna costruire percorsi differenziati che non permettano mai di provocare un overlapping.
  • Il primo accesso deve essere visto il più presto possibile; è un problema di sicurezza per lo stato di salute del paziente e il sistema Open Access, messo a punto nella realtà pisana, consente di attuarlo nel giro di tre giorni.
  • Per l’altro flusso non esistono “liste di attesa”, ma solo “liste di prenotazione”, vale a dire un appuntamento per un controllo/follow up che il paziente riceve non andando nuovamente al CUP, semmai dopo dover avere un passaggio dal curante, ma al termine della visita specialistica, con una diretta “presa in carico”, realizzata dallo stesso medico che propone l’ulteriore approfondimento o controllo.

Questa sintetica illustrazione fa intravedere qualcosa di semplice, il cosiddetto “uovo di Colombo!”. In parte è così, è un sistema che è stato definito come controintuitivo e possiamo affermare, utilizzando le parole del Rapporto dell’ Health Consumer Powerhouse che “…waiting times for healthcare services are a mental condition affecting healthcare administrators and professionals rather than a scarcity of resources problem”.[3]Tuttavia il sistema richiede una notevole capacità manageriale, un aggiustamento, ove necessario, delle risorse disponibili, o più probabilmente della loro distribuzione e utilizzo, un’accurata gestione della fase iniziale che comporta lo smaltimento delle liste di attesa esistenti, una capacità di risposta alle modifiche di domanda o, assai più frequentemente, di offerta (le assenze di operatori, il non utilizzo di apparecchiature diagnostiche per rottura, manutenzione; la gestione di richieste di non residenti etc.). Tutte problematiche che vengono discusse nel testo, sulla base della esperienza realizzata.

Vi sono poi vari quesiti a cui il libro risponde in chiusura. Ne commentiamo solo alcuni:

  1. L’Open Access non aumenta la domanda di prestazioni; i medici non modificano il loro stile prescrittivo se la prescrizione viene offerta subito.
  2. Vi è, anche se questo non fosse l’obiettivo principale, un recupero di prestazioni dal privato al pubblico o, quanto meno, una non estensione di prestazioni ricercate nel privato per le lunghe attese nel servizio sanitario.
  3. È necessario l’abbandono di altre metodologie di prenotazione. Un sistema misto non funziona perché il criterio fondamentale è l’unificazione della domanda e la conseguente unificazione della risposta. 

Vi è infine un’ultima domanda che il libro non esplicita direttamente: questo sistema, sperimentato e documentato in una realtà quale quella pisana, un’area di limitata estensione, è esportabile a realtà più complesse sia in termini di organizzazione che di dimensioni? In altri termini è generalizzabile? È una domanda, e in parte di una osservazione, che nasconde abitualmente un pregiudiziale scetticismo rispetto a questa innovativa esperienza. Dico subito che si tratta – a mio parere – di un quesito mal posto, simile a quelle del tipo: “È più complicato gestire e comandare una corazzata o una portaerei?”  Evidentemente vi sono elementi di complessità maggiore in una realtà più ampia: necessità di più operatori addetti al processo, un impegno più esteso di fronte a un più largo fronte di professionisti da coinvolgere etc. Vi sono tuttavia – oltre a un risultato atteso ovviamente più rilevante – notevoli vantaggi o quanto meno elementi facilitanti: un’ampiezza di risorse più consistenti che facilitano una flessibilità di offerta maggiore di fronte a moneti di crisi; una ridotta interferenza di richieste provenienti da fuori area di competenza, elemento che invece, nelle dimensioni ridotte, può comportare oscillazione, ad esempio stagionali,  nella domanda etc.

Infine, in una realtà frammentata e territorialmente diversificata quale quella del nostro sistema sanitario, criticità che la richiesta di regionalismo differenziato rischia di accentuare, sarebbe indispensabile che a livello centrale, nazionale, vi fosse la capacità di diffondere strutturalmente buone pratiche, esportarle in altre realtà, coordinandone la propagazione. E questa, che il libro testimonia e illustra, è una buona pratica.

Bibliografia

  1. Allegato A. Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa per il triennio 2019-2021 [PDF: 509 Kb]
  2. Cittadinanzattiva. Osservatorio civico sul federalismo in Sanità. Rapporto 2017.
  3. Health Consumer Powerhouse. Euro Health Consumer Index 2017 Report (cit.), pag. 39.

FONTE: saluteinternazionale.info

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