Precarietà lavorativa e salute mentale. di Giacomo Galletti

“L’insicurezza dell’occupazione influisce sulla capacità di una famiglia di pagare sistematicamente le spese per l’affitto o il mutuo, e aumenta la vulnerabilità alle fluttuazioni dei valori di mercato, come gli aumenti dei tassi di interesse o la diminuzione della disponibilità delle  locazioni, e questo suggerisce che […] l’accessibilità economica delle abitazioni può essere un potenziale mediatore della relazione tra la stabilità occupazionale e la salute mentale nell’interpretare alcune tra le relazioni osservate”.

Le relazioni osservate cui fa riferimento l’affermazione di cui sopra sono quelle analizzate dall’articolo australiano, comparso su Social Sicence & Medicine all’inizio dello scorso febbraio, intitolato “La doppia precarietà dell’insicurezza occupazionale e di quella abitativa (unaffordable housing) e il suo impatto sulla salute mentale”[1]. Si tratta di un grosso studio effettuato su una coorte di 24 mila partecipanti, per i quali si sono analizzate le relazioni tra l’insicurezza occupazionale (la classica precarietà), gli effetti dello “stress abitativo”  (dovuto alla sostenibilità dei costi), e la salute mentale, a seconda che i soggetti vivano “in famiglia” o siano single, divorziati, sostanzialmente soli. Il valore dello studio, cui si rimanda per tutti gli approfondimenti metodologici e statistici del caso (oltre che per i risultati nel dettaglio), viene rimarcato nel sottolineare che “c’è un legame ben stabilito tra la precarietà lavorativa e la scarsa salute mentale. Le Politiche nazionali di welfare e il sistema abitativo sono fortemente implicati in questa relazione, che tuttavia viene raramente presa in considerazione nell’ambito di analisi quantitative”. In definitiva, lo studio dà prova di una relazione causale tra insorgenza dell’insicurezza occupazionale e la salute mentale, attraverso un effetto che per un quinto circa del suo valore viene “mediato” dalle fluttuazioni dell’andamento dei costi per la casa e dal conseguente stress per la loro sostenibilità.

Tutto qui?  Si e no. No, perché lo studio è rigoroso, articolato ed approfondito, tanto che l’affermazione di cui sopra non è che la punta dell’iceberg delle analisi condotte sull’asse della doppia precarietà (investigata a livello sociale ed economico) e la salute mentale. Si, perché alzi la mano chi dovesse risultare sorpreso da una conclusione del genere. Col massimo rispetto[2] per gli autori delle Università di Melbourne ed Adelaide e il loro poderoso lavoro, le loro conclusioni tendono a portarti a giudicarne le implicazioni sul livello della… scoperta dell’acqua calda!

Ovviamente sbagliando: perché è chiaro che gli autori l’acqua calda la conoscono benissimo. Come tutti noi la conoscono a livello di doxa (δόξα; opinione), ma attraverso questa indagine portano la consapevolezza a livello di epistéme (ἐπιστήμη; conoscenza scientifica), consolidando con metodo scientifico l’apporto conoscitivo. Eppure l’impostazione puramente opinionistica dell’acqua calda ci offre lo spunto per sospingere il discorso altrove, con atteggiamento quasi più umanistico che scientifico, partendo da una domanda semplice e tremenda: cos’è l’acqua?

È il 21 maggio del 2005Ci troviamo presso il Kenyon College, a poche iarde dal fiume Kokosing, nel centro nord dell’Ohio, a metà tra Columbus, la capitale dello Stato, e Cleveland, città industriale della Rust Belt che si affaccia sul lago Erie. Qui, sul palco, di fronte ai giovani laureati, sta un quarantatreenne capellone ed occhialuto che circa tre anni più tardi si sarebbe tolto la vita lasciando, più che un vuoto, un baratro nella letteratura americana e mondiale contemporanea. Si chiama David Foster Wallace (DFW), e racconta ai neolaureati questa storiella“Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”[3]

Chi legge Wallace sa benissimo che non te ne liberi in fretta. Te lo porti dietro, dentro e attorno, salvo poi vedertelo spuntare fuori nelle occasioni più impensate. Ed eccolo qui, mentre parli di acqua calda, a chiederti a bruciapelo:… si ma, precisamente, che cos’è l’acqua? Io – Non capisco, David, spiegati meglio…

DFW – Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare.

Io – Cioè? Il fatto che ci sia molta gente affetta da scarsa salute mentale? E che questo sia dovuto alla precarietà?

DFW – Infatti. Ma la cosa non è per nulla scontata… il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte.

Io – E questa cosa, le questioni di vita o di morte, come dovrei riuscire ad estrapolarle dalle elaborazioni di un modello regressivo ad effetti fissi?

DFW – La vostra educazione umanistica non consiste tanto “nel fornirvi delle conoscenze”, quanto “nell’insegnarvi a pensare”.

Rimango attonito. Che vuol dire imparare a pensare? Sto pensando male di qualcuno o di qualcosa? Continuo ad interrogarlo…

Io – Quindi dovrei abbandonare gli aspetti tecnico-statistici dell’analisi e pensare in modo più ampio?

DFW – La vera educazione a pensare […] non riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare.

Io – Ok David, ma stiamo pur sempre ragionando all’interno di un rigoroso atteggiamento scientifico, per cui non è che…

Mi interrompe in modo brusco.

DFW – … Il problema del credente dogmatico è esattamente uguale a quello del non credente: una certezza cieca, una mentalità chiusa che equivale a un imprigionamento così totale che il prigioniero non si accorge nemmeno di essere rinchiuso.

A questo punto sono davvero in difficoltà. David vede qualcosa che io non riesco a vedere, e non lo vedo perché sono chiuso in un imprigionamento mentale che mi preclude la percezione dell’acqua…

Per David l’acqua è la “configurazione di base”, secondo la quale io starei affrontando l’articolo con ottica puramente “accademica”, ma non umanistica. Il problema è che lascio la mia attenzione concentrarsi eccessivamente su ciò che l’articolo reputa rilevante (la relazione causale tra doppia precarietà e salute mentale) e non sull’acqua che ci sta attorno.  David mi richiama subito al dovere:

DFW – “imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza… Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. E il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato.

… Una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé… Una nuova definizione e intrigante definizione di salute mentale?… Ecco. Ora vedo l’acqua! Forse ho trovato un modo per uscire dalla configurazione di base[4]! Vado a cercare due cose in rete. La prima è il termine Precarietà:

precarietà s. f. [der. di precario1]. – L’essere precario, condizione o stato di ciò che è precario; instabilità, insicurezza, incertezza: la pdel posto di lavorodella situazione economicala pdella sua salute mi preoccupacon quel desolato sentimento di plasciava invano passare i suoi tristi giorni (Pirandello). In diritto civile, pdi un possessodi una concessione[5]. Già di per sé, il termine si riferisce tanto alla sfera economica quanto a quella del diritto nonché della salute. Non ha senso parlare di doppia precarietà. È precarietà e basta.

Cerco la seconda cosa: salute mentale. Finisco sulla pagina web del Ministero della Salute[6]. I disturbi mentali fanno spesso precipitare gli individui e le loro famiglie in una condizione di povertà. La perdita della casa e la detenzione inappropriata è molto più frequente nelle persone con disturbi mentali che nella popolazione generale, ed aggravano ulteriormente la loro condizione di emarginazione e la loro vulnerabilità.”

Strano. Qui la relazione causa effetto sembra invertita rispetto allo studio australiano (per il quale la mia ammirazione è in continua crescita)[7]. A cappello di questa affermazione, tuttavia, c’è scritto qualcosa di più interessante, qualcosa che riguarda proprio l’acqua:

“La salute mentale è parte integrante della salute e del benessere, come si evince dalla definizione di salute che si trova nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”. […] I determinanti della salute mentale e dei disturbi mentali includono non solo attributi individuali quali la capacità di gestire i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri comportamenti e le relazioni con gli altri, ma anche fattori sociali, culturali, economici, politici ed ambientali, tra cui le politiche adottate a livello nazionale, la protezione sociale, lo standard di vita, le condizioni lavorative ed il supporto sociale offerto dalla comunità. L’esposizione alle avversità sin dalla tenera età rappresenta un fattore di rischio per disturbi mentali ormai riconosciuto e che si può prevenire.”

Leggendo queste righe mi trovo a pensare alla precarietà del lavoro che negli ultimi anni i dati statistici hanno frequentemente registrato (tranne, fortunatamente, i più recenti dati Inps sugli incrementi dei contratti stabili[8]), penso al modello economico. Penso poi alla casa, e il suo ruolo all’interno della crisi alimentata dal mercato dei titoli incentrato sui mutui subprime: il modello finanziario. Penso alle manifestazioni degli ultimi giorni sul clima, per l’ambiente, all’urgenza di intervenire reindirizzando il modello industriale.

I disfunzionamenti di queste componenti del modello di sviluppo contemporaneo produrrebbero molte di quelle che gli economisti chiamano “esternalità negative”, che in genere tendono a “scaricarsi” sull’assistenza sanitaria, usando i modelli assistenziali come la Bad Bank (contenitore degli “asset tossici”) da affidare in debito al controllo pubblico (laddove c’è) lasciando che il mercato ricapitalizzi la Good Bank[9].

In mezzo a tutta quest’acqua, il declino della salute mentale non è soltanto un “alert” di una precarietà singola o doppia che sia. Il declino della salute mentale potrebbe costituire uno degli indicatori di rischiosità di un modello di sviluppo che appare sempre meno in grado di promuovere il benessere delle popolazioni, sempre meno capace di alimentare dinamiche di distribuzione del reddito eque ed efficaci.

Il discorso, in ogni caso, è ampio, spinoso e complesso.

Ma questa è l’acqua. E non è per niente calda.

David Foster Wallace (Ithaca, 21 febbraio 1962 – Claremont, 12 settembre 2008)

Giacomo Galletti, Agenzia regionale di sanità della Toscana (ma le cui opinioni e i cui azzardi interpretativi, qui manifestati, sono da ritenersi strettamente personali).

Bibliografia

  1. Bentley R, Baker E, Aitken Z. The ‘double precarity’ of employment insecurity and unaffordable housing and its impact on mental healthSocial Science & Medicine 2019;  225: 9-16. https://doi.org/10.1016/j.socscimed.2019.02.008
  2. Non c’è alcun sarcasmo in questa formula…
  3. Da questo punto in poi e fino alla fine di questo dialogo surreale, il testo in corsivo è tratto direttamente dalla trascrizione del discorso di Wallace, disponibile qui.
  4. In realtà, ad essere onesti onesti, la configurazione di base secondo Wallace è un qualcosa che va più nel profondo e nel dettaglio di come io la stia piegando ai miei interessi analitici…
  5. Treccani, vocabolario: precarietà
  6. Forse, in effetti, alla luce di questi riscontri l’acqua non era poi così “calda”.
  7. Ministero della Salute: che cosa è la salute mentale?
  8. Lavoro, crescono le assunzioni con più 200mila contratti stabili nel 2018. La Repubblica, 21.02.2019
  9. È chiaro che il ragionamento ipersemplifica cose molto più complesse… Qui si tende a proporre una visione piuttosto allargata e generica del rapporto tra precarietà e salute. In questo senso si giustifica l’ampio ricorso ai condizionali che seguono.

FONTE: saluteinternazionale.info

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