“Ti becco a spacciare, vai in galera”, “non esiste modica quantità”: sono i due slogan con i quali il ministro dell’Interno ha presentato il disegno di legge di modifica della già torturata legge sugli stupefacenti. Queste espressioni non sono soltanto chiaramente demagogiche, ma anche scorrette verso gli operatori di Polizia limitati al “beccaggio”; errate per legge perché la modica quantità non esiste più; ed infine infondate secondo le scienze perché non distingue tra sostanze e nocività.
Basta la semplice lettura degli articoli di modifica della legge perché ritorni alla memoria quella ossessione ricorrente, come nella legge Fini-Giovanardi, una coazione a ripetere errori e drammi già sperimentati.
In altri termini, si pensa che un ripescaggio delle normativa già cancellata dalla Corte Costituzionale, possa riprendere vita con qualche accorgimento occulto. Ma così non può essere perché si ripeterebbe la situazione sulla quale intervenne la Corte costituzionale con la sentenza n. 32 del 2014 che dichiarò “l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti).
Ora, un certa quantità di sostanza, considerando il cd.principio attivo, integra il reato previsto dall’articolo 73, comma 5 della legge sugli stupefacenti, cioè lo spaccio di lieve entità. Ora l’articolo 280 del codice di procedura penale esclude che in tale ipotesi il giudice possa applicare la misura coercitiva della custodia in carcere (consentita solo quando la pena detentiva prevista dalla legge non è inferiore a 5 anni, mentre l’articolo 73, comma 5 prevede una pena detentiva massima di 4 anni). Invece le pene detentive passerebbero da un minimo di tre ad un massimo di 6 anni e le multe da un minimo di cinquemila euro a un massimo trentamila euro.
Noi tutti vorremmo che non ci fossero più spacciatori per le strade e zone franche nelle periferie delle nostre città, in cui prospera il mercato degli stupefacenti, ma non e questa la strada giusta perché l’aumento delle pene non costituisce un deterrente idoneo per fermare gli spacciatori.
La proposta del ministro facilmente cadrebbe sotto i colpi della Corte Costituzionale quanto meno per violazione dell’articolo 3 e del principio di ragionevolezza. Non è razionale cancellare per legge ciò che sicuramente esiste nei fatti: lo spaccio di 1 grammo di hashish o la cessione di mezzo grammo di cocaina, magari fatta gratuitamente tra conoscenti, sono o non sono cosa diversa dalla detenzione, ad esempio, di mezzo chilo di stupefacente trovato insieme a mezzi per confezionamento ed altro? Se scomparisse la fattispecie di particolare tenuitá, lo spaccio di 1 grammo di cocaina avrebbe la pena minima di 8 anni di reclusione. Cancellare con legge la differenza tra due fenomeni, oggettivamente diversi e con ben diverso disvalore e ben diversa pericolosità, sarebbe uno strappo non solo dei principi costituzionali ma del principio di realtà. Togliere proporzionalità al diritto penale vuole dire trasformarlo in uno strumento irragionevole ed illiberale, da Stato di Polizia.
Con la legge Fini Giovanardi non erano diminuiti i consumatori, non erano diminuiti i morti, erano aumentati i detenuti reati legati di droga.
Il risultato di questa operazione inutilmente repressiva sarebbero:
1) Un aumento del sovraffollamento delle carceri,
2) Una drastica riduzione di operatività dei SERD e delle Comunità di recupero.
3) Un aumento della sfiducia del cittadino verso la magistratura, vista come lontana ed insensibile alle esigenze di sicurezza,
4) Un aumento o sedimentazione del consenso a favore a favore di chi afferma di voler dare riscontro a quelle esigenze,
5) Un aumento della confusione conoscitiva nella collettività circa le effettive competenze dei poteri dello Stato nel far fronte alle esigenze delle persone,
6) Di conseguenza, un aumento del senso di incertezza e di ansia, prodromico a scelte non ponderate e responsabili del cittadino.