Il welfare aziendale mitiga o acuisce le disuguaglianze ? di Marco Geddes

A livello nazionale appare evidente che siamo di fronte all’esplosione delle diseguaglianze sia territoriali che nell’ambito delle categorie lavorative. Appare quindi evidente cha a livello “macro”, l’affidamento di forme di welfare ai sistemi contrattuali invece che al sistema universalistico non può che ampliare tali disuguaglianze, in particolare fra Nord e Sud del paese. Riflessioni intorno al 2° Rapporto Censis – Eudaimon sul welfare aziendale.


Il 30 gennaio è stato presentato a Roma presso il Senato, Sala Zuccari, il 2° Rapporto Censis – Eudaimon sul welfare aziendale. L’interesse di tale occasione di confronto è dovuto a due elementi: la presenza alla tavola rotonda dei rappresentanti dei Sindacati confederali e della Confindustria e, in particolare, i risultati della utile e interessante rilevazione (e valutazione) che  Censis – Eudaimon hanno realizzato e che si avvale quest’anno della possibilità di un raffronto con la precedente indagine.

Merito del Rapporto è anche quello di offrire una sintetica e documentata visione delle diseguaglianze esistenti nell’ambito del lavoro e del loro accentuarsi nel corso di questi decenni. La ricerca di vantaggi fiscali da parte aziendale, al fine di proporre forme di welfare in sostituzione di aumenti salariali, è certo uno dei fattori che ha orientato all’utilizzo di tale strumento parte delle imprese, come hanno rilevato alcune indagini[1]. Tuttavia, a parere dei presentatori del Rapporto e in base anche all’esperienza riferita da Alberto Perfumo (Amministratore delegato Eudaimon)[2], i vantaggi maggiori e, per così dire, l’utilizzo corretto di tale risorsa, è derivante dall’incremento dell’atteggiamento positivo dei lavoratori nei confronti dell’azienda, con aumenti della produttività, fino al 5%, rispetto al costo del lavoro. Vantaggio – si sottolinea – di rilievo, poiché la produttività delle imprese italiane risulta bassa in confronto a quella di altri paesi e, in particolare, della Germania. La riflessione da parte dei rappresentanti confederali ha toccato alcuni aspetti; in particolare: la necessità di orientarsi su forme di welfare  che siano integrative e non sostitutive rispetto a quello pubblico (Carmelo Barbagallo, Segretario generale Uil); la ricerca di un aumento di produttività da attuare rimuovendo il principale ostacolo, vale a dire la carenza di investimenti e la conseguente limitata  innovazione (Delia Nardone, Responsabile Bilateralità Cgil nazionale); la esigenza di addivenire alla sottoscrizione di patti e accordi territoriali piuttosto che per singole aziende, affinché le diverse forme di welfare non si attuino solo nelle grandi aziende, tenuto conto che quattro milioni di imprese hanno un numero di occupati inferiore a 50 (Luigi Sbarra, Segretario generale aggiunto Cisl).

Uno degli aspetti rilevanti, su cui le ottiche possono divergere, riguarda indubbiamente il ruolo del welfare aziendale nel mitigare le diseguaglianze. Tale analisi ha necessità di una premessa, che peraltro il Rapporto documenta: l’incremento delle diseguaglianze nella realtà italiana. Il primo dato rilevante riguarda l’occupazione, con notevoli differenze territoriali (tabella 1), che la crisi economica ha accentuato a scapito del Meridione, come si evidenzia da un esame della forza lavoro del decennio 2007 – 2017. All’interno di questo quadro nazionale vi è anche un altro elemento rilevante, che riguarda specificamente la popolazione lavorativa: la progressiva erosione del reddito degli operai e degli impiegati, a differenza di dirigenti e direttivi (tabella 2) che hanno invece avuto solo una modesta variazione in negativo nel  periodo 2008 – 2016 (-0.4%), ma complessivamente nel periodo più lungo (1998 – 2016) un sostanziale incremento (+ 9.4%). Un altro indicatore esaminato, a corredo dell’indagine, è il reddito disponibile per nucleo familiare nel periodo 1998 – 2016. Interessante rilevare come le differenze evidenziate sul reddito individuale si accentuino; le famiglie di operai e impiegati hanno infatti subito una caduta di reddito sostanziosa, (tabella 3) presumibilmente per l’interazione di tre fattori: la riduzione del reddito individuale netto da lavoro dipendente, riportato nella tabella 2; il più basso numero di percettori di reddito nel nucleo familiare; il presumibile più basso reddito di tali “percettori” rispetto a quelli delle famiglie di dirigenti e direttivi.

Questo quadro preliminare è utile per interpretare i risultati dall’indagine riportata nel 2° Rapporto. Un primo dato che emerge è la valutazione positiva del proprio lavoro, espressa dal 77,1% dei Dirigenti, dal 62,5% degli impiegati e dal 56,3% degli Operai.   Esaminando tuttavia i nove parametri che determinano tale valutazione gli operai evidenziano  percentuali limitate di soddisfazione rispetto a: possibilità di carriera (26,6%), gratificazioni non economiche (32,8%), conformità al titolo di studio (34,4%), possibilità di premi monetari per merito (37,5%). Non sorprende pertanto che una netta maggioranza di operai e, in misura più limitata, di impiegati, consideri il lavoro sostanzialmente come strumento per avere un reddito (64,1% degli operai; 55,3% degli impiegati), mentre per i dirigenti hanno notevole rilevanza anche altre motivazioni quali: l’importanza dell’attività svolta, la piacevolezza e gratificazione derivante dal lavoro. Una prova – o contro prova – dell’effetto differenziato della crisi economica sul reddito individuale e familiare.vL’indagine offre un quadro comparativo della contrattazione di welfare aziendale fra i due anni: 2016 e 2017 (tabella 4) e presenta una valutazione degli ambiti in cui i lavoratori vorrebbero più supporto attraverso il welfare aziendale (tabella 5). Questi dati complessivi dell’interessante Rapporto necessitano, a mio parere, di una lettura critica (non di una critica, ma di una “lettura critica”), in relazione alla utilità e capacità del welfare aziendale nel ridurre le diseguaglianze. Una valutazione di questo tipo necessita di un breve premessa. All’interno di quello che viene definito welfare aziendale, vale a dire misure e prestazioni spesso definiti tramite la collaborazione di società che offrono proposte di welfare aziendale, come Eudaimon, si possono distinguere, con alcune ovvie sfumature e sovrapposizioni, tre categorie di offerta.


Misure non comprese nel sistema di welfare pubblico

In tale categoria rientrano vari servizi e benefit che non sono generalmente comprese nei sistemi di welfare, quantomeno in quello italiano e che, raramente, si trovano anche in sistemi sociali dei paesi del nord Europa. Si tratta di larga parte dei servizi aziendali, quali la mensa; di forme di sostegno per colonie per i figli di dipendenti; di convenzioni per acquisti agevolati; del contributo e organizzazione di viaggi e vacanze. Sono, in parte, quelle attività e misure che in alcune imprese, per lo più pubbliche, sono o erano favorite e organizzate da strutture associative tipo “dopolavoro ferroviario”  etc. Si caratterizzano, per alcuni aspetti, come una agevolazioni e sostegno ai consumi e protezione del reddito.

All’interno di tale categoria rientrano anche le misure che intendono garantire il benessere dei lavoratori, fidelizzarli e migliorare il clima in azienda, quali permessi aggiuntivi, conciliazione tempi vita e lavoro, part-time reversibile e ferie solidali, facilitazioni al trasporto etc.

Misure integrative al sistema di welfare pubblico

Questa categoria comprende la previdenza complementare, il sostegno all’istruzione con asili nido e borse di studio, l’assistenza sanitaria e sociale integrativa, finalizzata pertanto a erogare  prestazioni non comprese in quelle del Servizio sanitario e dei servizi sociali (tenendo conto che questi non hanno dei Livelli di assistenza). In quest’ambito oltre ad alcune ovvie prestazioni (odontoiatriche etc.) vi è tutto l’ampio settore del sostegno alla non autosufficienza e long care.

Misure sostitutive al sistema di welfare pubblico

Queste sono, prevalentemente, le prestazioni sanitarie che vengono proposte in alternativa a quelle già previste dal Servizio sanitario nazionale.

Come noto tutte le tre tipologie sopra descritte si avvalgono della stessa normativa che pone a carico della comunità nazionale il ridotto gettito contributivo derivante dai benefici fiscali. Nell’ottica dell’equità tale “beneficio”, per un gruppo limitato di persone (chi è occupato e ha sottoscritto tali contratti), sostenuto “dai più”, è legittimo? La risposta è positiva là dove tale “incentivo” favorisce la contrattazione e la chiusura quindi di contenziosi aumentando il benessere lavorativo e incrementando (alcuni) consumi e, in particolare la produzione; da ciò ne consegue una ricaduta positiva a livello nazionale. Ulteriore condizione è che tali iniziative non indeboliscano il sistema di welfare che riguarda la totalità della popolazione.

Il welfare aziendale concorre, hanno sostenuto alcuni relatori, alla riduzione delle diseguaglianze. Tale affermazione deve essere valutata su tre dimensioni: nazionale, locale e intra aziendale.

A livello nazionale appare evidente che siamo di fronte a un “Boom” (così titola un paragrafo del testo) delle diseguaglianze sia territoriali che nell’ambito delle categorie lavorative. Appare quindi evidente cha a livello “macro”, l’affidamento di forme di welfare ai sistemi contrattuali invece che al sistema universalistico non può che ampliare tali disuguaglianze, in particolare fra Nord e Sud del paese.

A livello locale, cioè del territorio, della comunità in cui l’impresa è collocata è necessario – per la finalità riduzione delle diseguaglianze –  che il welfare aziendale sia elemento di stimolo e potenziamento di un welfare comunitario.  Il welfare contrattuale, pur se rivolto solo ai lavoratori dipendenti e ai loro familiari deve contribuire a quello universale e in questo senso è decisivo il rapporto tra il welfare contrattuale/aziendale e il territorio dove opera l’impresa. Su tali aspetti il dibattito e il Rapporto non hanno dato alcuna indicazione.

A livello intra aziendale si evidenzia che  i percettori di reddito più elevato (dirigenti) sono più favorevoli a scambiare qualche incremento retributivo con servizi di welfare aziendale, seppure il consenso per il tale strumento risulti genericamente maggioritario. È tuttavia da sottolineare che la più rilevante differenza fra dirigenti e operai in riferimento all’apprezzamento delle tipologia di welfare, è riferita alle iniziative di incremento del potere di acquisto e risparmio sulle spese (convenzioni, buoni acquisto, carrello della spesa…), dove la percentuale di operai favorevole è più che doppia rispetto ai dirigenti. Tale orientamento è presumibilmente conseguente alla necessità di  compensare la rilevante perdita di salario. Se si intende utilizzare il welfare contrattuale in favore dell’equità diventa indispensabile favorire le misure che hanno un portato perequativo per il lavoratore e per il suo nucleo familiare.

Il welfare aziendale mitiga o acuisce le diseguaglianze? La risposta a tale quesito è pertanto affidata a molteplici elementi: il parallelo sostegno al welfare pubblico, la integrazione fra welfare aziendale e welfare territoriale e, infine, una attenta riperimetrazione, sia sotto il profilo delle agevolazioni fiscali che in sede contrattuale, delle specifiche “voci” nelle quali si articola il welfare aziendale. Tale riperimetrazione, che è compito normativamente del legislatore, contrattualmente del sindacato e delle imprese, ma anche delle piattaforme di intermediazione che intendono svolgere una azione imprenditoriale etica, dovrebbe riguardare la non sovrapposizione rispetto al welfare pubblico e orientare i provvedimenti a sostegno del reddito su consumi appropriati, con una selezione dei beni nel “carrello della spesa”, il finanziamento del trasporto pubblico etc. È infatti necessario che i costi, che la collettività si assume con una riduzione del gettito, siano finalizzati a favorire, con una “spinta gentile”[3], modalità di consumo virtuoso, prestazioni appropriate e azioni non competitive con il sistema di welfare pubblico.

Bibliografia

  1. Emmanuele Pavolini. Misurare l’impatto del welfare aziendale. Forum sistema salute, Firenze 10 Ottobre 2018
  2. Alberto Perfumo. Il welfare aziendale è una iattura. Spunti  per un welfare aziendale efficace per l’azienda e per le persone. Ferrara: Este Editore,  2018
  3. Richard H. Thaler, Sunstein Cass R. Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità. Feltrinelli, 2008.

fonte: saluteinternazionale

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