Un welfare per le generazioni. (Nota introduttiva a RPS 3/2018) di Michele Raitano e Giovanni B. Sgritta

Uno dei temi ricorrenti – e solitamente assunti come scontati – nel dibattito pubblico, soprattutto in Italia, è quello del «conflitto fra generazioni». Si ritiene, in altri termini, che le opportunità che hanno ad oggi le generazioni più giovani, nel mercato del lavoro e nel loro corso di vita, siano condizionate, e generalmente peggiorate, dalle (troppe) opportunità concesse alle generazioni più anziane da un sistema di welfare troppo generoso e da un mercato del lavoro che in passato funzionava bene (anche perché non doveva subire il fardello del costo del welfare state).

Questa sezione monografica della Rivista delle Politiche Sociali si occupa di «generazioni», soprattutto con riferimento al caso italiano, ma seguendo un’ottica del tutto antitetica rispetto a quella, purtroppo maggioritaria, che, semplicisticamente, imputa il progressivo impoverimento (in senso relativo) delle opportunità dei giovani nei redditi e nel mercato del lavoro alle troppe risorse che sono appropriate dagli avidi anziani.

Come verrà argomentato in molti dei contributi raccolti in questo numero, il conflitto fra padri e figli (o fra nonni e nipoti) non esiste e, soprattutto, la contrapposizione fra generazioni che si susseguono ma che vivono nello stesso tempo storico (a diverse età) non è la chiave corretta per analizzare cosa sta accadendo. Non ha, in altri termini, senso comparare in un dato periodo le retribuzioni degli attuali trentenni e sessantenni, così come non è molto utile confrontare la generosità di sussidi di disoccupazione e pensioni, perché una comparazione fra contemporanei si limita a descrivere una fotografia distorta (in un solo punto del tempo!) delle evoluzioni di diverse generazioni e non riesce altresì a mettere in luce nessuna delle cause sottostanti le possibili differenze.

Quello che invece appare utile, sia ai fini della ricerca che delle riflessioni di policy, è mettere a confronto le condizioni di diverse coorti di nascita quando si trovavano nella stessa classe d’età, anche se in periodi storici differenti (ad esempio, nella fase d’ingresso in attività, o nel pensionamento, immaginando quale potrà essere il futuro previdenziale di chi è ancora lontano dall’età di vecchiaia). In breve, si vogliono comparare le condizioni, le opportunità e i diritti dei nati alla fine della II Guerra Mondiale (i cosiddetti baby-boomers) con quelle dei nati nella prima metà degli anni ’70 del XX secolo. L’interesse di questo numero è anche quello di valutare le cose in prospettiva a venire, provando, ad esempio, a disegnare il futuro di quelle coorti di età che oggi hanno tra 20 e 40 anni e che entreranno in età pensionabile tra qualche decennio. In altre parole, tutto il discorso ruota attorno alle capacità del sistema di welfare, e delle politiche pubbliche più in generale (in primis le politiche del lavoro), di garantire alle nuove generazioni (i giovani oggi e i giovani che verranno) ciò che è stato offerto alle precedenti in termini di opportunità di occupazione, accesso ad un’istruzione di buona qualità, imposizione fiscale, equa distribuzione delle risorse disponibili senza la mediazione della famiglia, servizi, trattamenti pensionistici, ecc. In questa analisi occorre evitare il rischio di interpretare il cambiamento nella condizione di coorti nate in periodi diversi come un puro effetto demografico; il «metabolismo demografico» ha certamente avuto un ruolo nella distribuzione intergenerazionale delle risorse, ma ciò che più conta – come hanno dimostrato molti studi – è il ruolo giocato dalle scelte politiche e, in particolare, dai diversi regimi di welfare e dalle continue liberalizzazioni del mercato del lavoro. Le dimensioni da considerare per un’analisi di questo tipo sono molteplici e sicuramente un solo numero della Rivista non sarebbe sufficiente a includerle tutte. I saggi presenti nella sezione monografica si soffermano, a nostro avviso, sugli aspetti principali della questione, cercando di descrivere come si sono evolute le prospettive socioeconomiche delle generazioni qui considerate e di valutare – lasciando cadere l’ottica del conflitto fra padri e figli – le responsabilità (o i meriti) delle politiche, e della politica, in tale evoluzione. A riguardo, il saggio iniziale di Sgritta e Raitano contribuisce ad inquadrare la questione generazionale lungo le linee qui brevemente delineate, chiarendo come lo studio di tale questione richieda di ricorrere a categorie concettuali e informazioni nuove, spostando lo sguardo dal presente e dal passato verso il futuro. Il saggio di Natili e Jessoula si concentra sulle politiche, ragionando sul cosiddetto processo di ricalibratura intergenerazionale dei sistemi di welfare che sta interessando i paesi del Sud Europa, comparando le traiettorie di policy seguite dai sistemi pensionistici e dagli schemi di reddito minimo per i «genitori» e per i «figli» nel periodo che va dalla metà degli anni novanta al 2016. I due saggi successivi riflettono su alcune riforme di policy, valutando le condizioni relative di coorti interessate o meno a tali riforme. Struffolino e Raitano si concentrano sul mercato del lavoro e sul processo di continue deregolazioni avviato in Italia a partire dalla metà degli anni novanta del XX secolo e, facendo uso di un indicatore di «complessità» della storia lavorativa, mostrano le differenze nelle evoluzioni delle carriera iniziali di individui appartenenti a coorti di nascita diverse. Il saggio di Mazzaferro guarda invece al sistema previdenziale italiano, indagando come le condizioni istituzionali, demografiche ed economiche abbiano influenzato i diritti pensionistici delle generazioni nate fra il 1945 e il 1975. A livello micro, le generazioni sono legate, fra le altre cose, dalla cosiddetta disuguaglianza intergenerazionale, ovvero dalla persistenza delle condizioni economiche in termini di reddito e ricchezza fra genitori e figli. Cannari e D’Alessio si concentrano sul tema delle disuguaglianze intergenerazionali, e in particolare sul ruolo delle donazioni e delle eredità come forte fattore di trasmissione dei vantaggi (e svantaggi) fra generazioni successive in Italia. Tra le politiche cardine dei rapporti fra generazioni rientrano, ovviamente, quelle di cura degli anziani su cui si incentra il contributo di Da Roit e Pantalone. Le autrici riflettono sul caso italiano domandandosi come gli attuali quaranta-cinquantenni siano destinati a invecchiare in relazione alle specifiche condizioni sociali e istituzionali che contrassegnano il loro percorso di vita. Dall’Italia, l’ottica si sposta all’Europa nel saggio di Vanhuysse, che presenta un indice originale di giustizia intergenerazionale: ossia quelle risorse «sufficienti e di qualità sufficiente» che ciascuna generazione deve lasciare alle successive. Coerentemente con quanto sostenuto in questo numero della Rivista, Vanhuysse richiama anche la necessità di integrare l’analisi delle politiche pubbliche con quella del valore dei trasferimenti di risorse operati dalle famiglie tra una generazione e l’altra, in termini di denaro e di lavoro domestico non retribuito. Il numero si chiude con una riflessione di Massafra sul ruolo che il sindacato può svolgere, ad esempio mediante la realizzazione della Carta dei Diritti proposta dalla Cgil, nel consentire di raggiungere un equilibrio di più alto livello fra competenze acquisite dai lavoratori più giovani e qualità dell’occupazione per loro disponibile.

Fonte: RPS 3/2018 LA RIVISTA DELLE POLITICHE SOCIALI

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