Nel bel mezzo di un’America politicamente sconquassata come non mai, la regolamentazione della cannabis continua a compiere passi avanti. Poco prima di Natale, il Presidente Trump ha firmato l’Agriculture Improvement Act, che tra le altre cose legalizza la produzione commerciale di hemp (canapa non psicotropa o “cannabis light”). La quale è ricca di CBD, Cannabidiolo, che rivela forti proprietà anti-infiammatorie e altre virtù mediche, come confermato da recenti studi e dall’approvazione ufficiale, la scorsa estate, dell’Epidiolex per la cura dell’epilessia.
Sul fronte legislativo, i Governatori di New Jersey, New York e New Mexico hanno confermato l’appoggio alle proposte di legge per la legalizzazione della canapa ricreativa preannunciate dai Democrat. Non a caso, nei giorni scorsi l’Albuquerque Journal ha dedicato approfondimenti quotidiani, ricchi di interviste, dati e riferimenti aggiornati, per chiarire i vari aspetti della normativa che verrà discussa nella imminente sessione legislativa del Parlamento del New Mexico. Anticipando così un «dibattito vivace ma sofisticato» fra i legislatori di Santa Fè come nella società.
Dibattito pubblico che invece il giorno dell’Epifania ha preso una piega ben diversa, con un brusco ritorno al passato. Il motivo è legato all’estesa eco mediatica (dal Wall Street Journal al New Yorker, da Mother Jones) a FoxNews) ottenuta da un libretto fresco di stampa, il cui titolo suggerisce letteralmente ai genitori di “Dire la verità ai figli su marijuana, malattie mentali e violenza”. L’autore è Alex Berenson, ex reporter del New York Times, dal 2010 dedito alla fiction, che ha spulciato alcuni studi europei su campioni di adolescenti, fumatori abituali di cannabis, da cui emergerebbe un aumento significativo di psicosi e schizofrenia. E segnala anche che negli Stati dove dal 2014-15 vige la regolamentazione (Oregon, Washington, Alaska, Colorado), si sarebbe verificato una crescita del 35% degli omicidi rispetto alla media nazionale attestata al più 20%.
Pur proponendo simili statistiche ad hoc e altre generalizzazioni strumentali, l’autore è costretto ad ammettere tuttavia che, nonostante offra “suggestive prove di possibili correlazioni”, in realtà nessuno di questi studi “dimostra il legame diretto tra maggior uso di cannabis e aumento di psicosi o altre malattie mentali nella popolazione”. Questo Carneadedimentica di ricordare l’alto livello di criminalità veicolato dal proibizionismo e i nefasti effetti economico-sociali del narcotraffico, dove droghe leggere e pesanti viaggiano assieme per necessità del mercato nero. Non è casuale che neppure accenni alle decine di indagini scientifiche recenti sui positivi effetti terapeutici della pianta, studi fra l’altro intralciati non poco dalla proibizione perdurante.
La salute pubblica va salvaguardata, particolarmente quella di fasce a rischio come i più giovani: le normative statali pro-legalizzazione prevedono apposite campagne educative e sono soggette a periodiche revisioni. Assurdo è però riproporre una propaganda allarmista come negli anni ’30, con campagne stampa focalizzate sull’erba “assassina” e con film come Reefer Madness (1936), centrato sulla “mostruosa dipendenza dalla marijuana”.
Lungi da offrire spunti importanti al dibattito in corso, l’uscita controcorrente di Berenson è un maldestro tentativo di cavalcare l’onda dell’iper-polarizzazione politica e della post-verità innescati dal trumpismo, complici tanti media nazionali ancora spaesati davanti a questi nuovi scenari e affamati di facile terrorismo. Un colpo di coda oscurantista che difficilmente inciderà sul processo voluto dalle Istituzioni e, ancora prima, dai cittadini nordamericani a favore della regolamentazione.
Come aggiornamento all’articolo di cui sopra, uscito nella rubrica di Fuoriluogo su il manifesto del 16 gennaio 2019, vanno segnalate alcune reazioni dell’ultim’ora in Usa.
La Drug Policy Alliance ha subito diffuso un comunicato in cui si sottolinea come «questo tipo di allarmismo è presente sin dai primi giorni del proibizionismo» e che, diversamente da quanto suggerisce Berenson, «gli Stati che hanno legalizzato la marijuana per gli adulti stanno dimostrando che la regolamentazione è un modo efficace per proteggere la salute e la sicurezza pubblica».
La stessa associazione ha anche avviato una raccolta-firme online riservata ad accademici e ricercatori in opposizione a simili approcci scientifici da quattro soldi (“junk science”). La relativa pagina de-costruisce vari passaggi del libro e chiarisce le ovvie falle delle argomentazioni ivi presentate.
In fondo all’articolo su Mother Jones è stata aggiunta una correzione: «La precedente versione dell’articolo sopravvalutava la connessione tra marijuana, disordine bipolare e il rischio di suicidio…. ed esagerava il legame esistente tra i consumatori abituali di cannabis e l’aumento del ricorso al pronto soccorso per i 30enni affetti da psicosi». In calce compaiono oltre 500 commenti, nella stragrande maggioranza scettici sull’approccio pseudo-scientifico del libro, con molti che segnalano documenti e studi di taglio opposto nonché gli aspetti positivi della regolamentazione.
Dello stesso tenore anche i notevoli rilanci sui social media, in particolare su Twitter, mentre gli attivisti rimarcano soprattutto la confusione tra causalità e correlazione di queste posizioni. Un’ampia analisi di Vice.com entra ulteriormente nel dettaglio, delineando il contesto complessivo di questo tentativo mediatico-culturale di “ritorno al passato”. Assai precisa la conclusione: «Suggerire che il proibizionismo fa più bene che male a fronte di così tante prove del contrario è già di per sé una forma di follia».