Il legame tra povertà e salute mentale è un fenomeno antico, che affonda le sue radici nel corso della storia. A partire dal Medioevo in poi è esistita una equazione povertà = follia: i poveri così come anche i malati di mente venivano reclusi, istituzionalizzati ai margini della società. Il concetto moderno di “malattia mentale” si è fatto strada soltanto a partire dalla fine del XVIII secolo, quando le idee illuministiche e la Rivoluzione Francese “liberarono i malati dalle catene”.
Oggi il rapporto tra povertà e salute mentale è analizzato in termini scientifici, una nuova scienza è emersa nel campo della ricerca, le cosiddette “neuroscienze della povertà”. Questo approccio scientifico prevede la possibilità che la salute mentale sia condizionata da una serie di fattori, i cosiddetti determinanti sociali, i quali rappresentano la totalità dei fattori ambientali a cui il nostro cervello è esposto nel corso della vita. Non vi sono dubbi che la povertà rappresenti un determinante sociale.
Al riguardo, oggi è possibile parlare di “salute disuguale” secondo la definizione dell’epidemiologo inglese Michael Marmot, dal momento che l’accesso alle cure non è uniforme nei diversi strati sociali dei nostri Paesi. In particolare, possiamo affermare che esiste un circuito vizioso tra povertà e malattia mentale, dal momento che la presenza di uno svantaggio sociale peggiora la salute mentale e contemporaneamente soffrire di un disturbo psicopatologico è un fattore in grado di incidere negativamente sul nostro status socioeconomico.
Le definizioni classiche di “povertà”, “povertà assolita” e “povertà relativa” sono basate su criteri puramente statistici: esse indicano l’ammontare del reddito individuale pro-capite in termini assoluti e in termini relativi, cioè in relazione al contesto sociale e geografico di appartenenza. Queste concettualizzazioni della povertà forniscono una misura solo parziale del benessere della persona in quanto sono basate su un criterio esclusivamente quantitativo e non qualitativo. Ad esempio, non forniscono informazioni sul livello culturale, sul grado di istruzione dei bambini, sulla qualità e il grado di soddisfazione del lavoro svolto.
Proprio per questo motivo abbiamo proposto l’introduzione di un nuovo concetto, quello di “povertà vitale”. Con povertà vitale intendiamo un processo di impoverimento non soltanto materiale, ma anche di tipo affettivo, relazionale, valoriale.
Della povertà vitale e del rapporto esistente tra disuguaglianza e salute mentale parleremo in questo volume di Noos (in caratteri greci, come testata). Inoltre, particolare enfasi sarà data alle conseguenze neuroevolutive della disuguaglianza, soprattutto agli effetti della povertà sia sul funzionamento cognitivo che sullo sviluppo del cervello. Infine, un contributo riguarderà la psicopatologia nei migranti, il rapporto con gli eventi traumatici e i fattori di rischio a cui sono esposti.
Fonte: L’articolo è la Prefazione del Libro “PSICHIATRIA E DISUGUAGLIANZA” (su Noos)