Quarantanove profughi non sono un pericolo per la sicurezza di nessun paese. Eppure, ci sono volute quasi tre settimane per farli sbarcare dalla Sea Watch. Solo la società civile, e in particolare le istituzioni religiose, riempiono il vuoto di diritti.
Sull’immigrazione un conflitto sempre più radicale
Alla fine, l’angosciosa vicenda dei quarantanove profughi bloccati per diciannove giorni in mare ha trovato una conclusione e le malcapitate persone hanno potuto sbarcare.
La prima osservazione è che sono occorse quasi tre settimane per sbloccare una situazione che poteva essere risolta in poche ore. La risonanza simbolica, mediatica e inevitabilmente politica assunta dai temi legati all’immigrazione, soprattutto quella più visibile e malvista, provoca irrigidimenti irragionevoli. Non si può tollerare come un effetto collaterale la sofferenza inflitta a persone innocenti, tra cui donne e bambini, tenute in ostaggio per ragioni di orgoglio nazionale e calcolo elettorale. Quarantanove profughi non rappresentano un pericolo per la sicurezza di nessun paese, né una rovina per le casse di nessuno stato. Averli lasciati per tanti giorni in mare, d’inverno, negando persino cibo e acqua (ci ha dovuto pensare Malta), è stato un atto di crudeltà, un’espressione emblematica di quel “cattivismo” che una certa politica ha innalzato a vessillo.
In secondo luogo, le dichiarazioni del ministro Matteo Salvini – secondo il quale per cui l’accoglienza significa “agevolare il lavoro di scafisti e Ong”, posti sullo stesso piano – non sono forse una novità, ma sono la conferma di un imbarbarimento della politica e del suo linguaggio. Sono i governi autoritari a perseguitare le organizzazioni non governative e a ostacolare le loro attività, a incitare all’odio verso chi soccorre le persone in pericolo. La campagna del governo italiano contro le Ong, compresa Medici Senza Frontiere insignita del premio Nobel per la pace, non ha precedenti nei paesi democratici del Primo Mondo.
Fra l’altro gli sbarchi continuano, anche senza le ONG. Giovedì 10, il giorno dopo la conclusione della vicenda delle due navi umanitarie, sono stati soccorsi e tratti in salvo 51 curdi, arrivati in barca a vela fino a Melissa, nel crotonese. A Lampedusa gli arrivi proseguono, soprattutto dalla Tunisia. Le autorità portuali dal canto loro hanno ripetutamente smentito che i porti siano mai stati chiusi: ci sono solo dei lanci su twitter. E’ la solita politica degli annunci.
Uno dei risvolti della radicalizzazione del conflitto intorno alle migrazioni e all’asilo è la politicizzazione dell’aiuto umanitario. Chi soccorre o aiuta i richiedenti asilo viene accusato di mettere in pericolo l’integrità e la sicurezza dello stato. Nello stesso spirito, in varie occasioni gruppi di estrema destra hanno appeso striscioni davanti alle sedi della Caritas o di altre istituzioni religiose, attaccandone il lavoro di accoglienza.
Anche un’altra dichiarazione salviniana indica quanto meno un pressapochismo inquietante: “Il traffico di esseri umani va fermato: chi scappa dalla guerra arriva in Italia in aereo, come già fanno in tanti, non con i barconi”. Chi scappa dalla guerra fugge come può, non ha la possibilità di procurarsi un visto, accedere a un aeroporto e prendere un aereo. Se non glielo impediscono gli eserciti in conflitto, provvediamo noi con le nostre politiche di contrasto degli ingressi. Solo i corridoi umanitari consentono l’arrivo sicuro e autorizzato di un piccolo numero di richiedenti asilo (all’incirca duemila persone fin qui, non i “tanti” dichiarati da Salvini), ma dopo che hanno già attraversato almeno una frontiera per cercare scampo in paesi confinanti. L’idea, condivisa da molte persone benintenzionate, che si possa programmare e regolare l’arrivo dei profughi non fa i conti con le logiche della guerra e delle persecuzioni, e neppure con quelle delle politiche migratorie.
I migranti sono appena scesi dalle navi e le operazioni di identificazione sono in corso. Provengono dall’Africa sub-sahariana, dalle dichiarazioni che alcuni hanno rilasciato da paesi dell’Africa occidentale come Nigeria, Sierra Leone, Guinea. Tre sono bambini che viaggiavano con i genitori, almeno uno è un minorenne non accompagnato. Per ricostruire le loro storie e comprendere se hanno diritto all’asilo come sempre occorrerà tempo, ma salvarli e accoglierli a terra è comunque un obbligo.
La reazione della società civile
Il piccolo smarcamento di Giuseppe Conte dalla linea Salvini rappresenta invece un fatto nuovo. I comportamenti futuri diranno se si tratta di mera tattica, di un occasionale scostamento da una linea fin qui condivisa senza apprezzabili distinguo, oppure dell’inizio di una presa di coscienza da parte del presidente del Consiglio e, forse, del Movimento 5 stelle della deriva verso cui la Lega li sta trascinando. Era tuttavia paternalistica e moralmente ingiusta l’offerta di accogliere qualche donna e qualche bambino lasciando gli uomini al loro destino, come se fossero colpevoli di qualcosa, come se il diritto all’integrità familiare non valesse per i rifugiati, come se il benessere di donne e bambini non dipendesse anche dalla vicinanza di mariti e padri.
Va poi sottolineato il ruolo della società civile, ringraziata dagli equipaggi delle navi per la fornitura degli aiuti che i governi avevano negato o concesso tardivamente e a denti stretti. Come hanno dichiarato le organizzazioni di United4Med “per noi significa tantissimo perché dimostra che c’è un’Europa diversa”.
La politica delle chiusure e della guerra alla solidarietà suscita per fortuna vivaci reazioni e risposte concrete. Nel caso italiano spicca il ruolo assunto dalla piccola ma attivissima Chiesa valdese che si farà carico a proprie spese dell’accoglienza dei quindici profughi destinati al nostro paese, dopo che la Chiesa cattolica qualche mese fa aveva compiuto un gesto analogo per gli sbarcati della nave Diciotti. La società civile, e segnatamente le istituzioni religiose, riempiono per quanto possono il vuoto di diritti lasciato da una politica dimentica dei principi costituzionali.
La drammatica vicenda dimostra ancora una volta l’esigenza di un approccio unitario alla questione degli sbarchi e dell’asilo da parte dell’Unione europea, o almeno dei partner che intendono restare fedeli ai suoi valori umanitari e democratici. Queste contrastate distribuzioni caso per caso non sono sostenibili nel lungo periodo, soprattutto se i numeri degli arrivi torneranno a crescere per qualche motivo. Si avverte l’urgenza di una riforma degli accordi di Dublino, a cui però il nostro governo si è sottratto per seguire la linea dei sovranisti dell’Europa Orientale. Politiche dell’immigrazione gestite a livello nazionale generano egoismi e polemiche che rischiano di distruggere il progetto europeo. Seguire il gruppo di Visegrad fa male all’Italia e compromette il futuro dell’Europa.
fonte: lavoce.info