Professor Costa*, lei ha avanzato alcune proposte concrete per redigere un Piano Regionale di Prevenzione attento all’equità nella salute in Italia. Vuole riproporcele?
La novità di questi anni è che per la prima volta l’equità è stata introdotta tra i principi costitutivi del Piano Nazionale di Prevenzione e che alle Regioni è stato richiesto di provare a tradurre tale principio in iniziative concrete. Abbiamo quindi lavorato con le Regioni proprio per cercare di capire come potessero rendere operativo il principio dell’equità. L’iniziativa di partenza, che ha avuto un’importanza fondamentale, è stata quella di rendere disponibili i dati sulla distribuzione sociale dell’esposizione ai 33 fattori di rischio che sono bersaglio del Piano Nazionale di Prevenzione. In questo modo tutti hanno potuto individuare i fattori di rischio per i quali nella propria Regione fosse presente una maggiore concentrazione di esposizione disuguale, rispetto ai quali quindi esisteva la possibilità di migliorare le disuguaglianze di salute con interventi che riducessero le disuguaglianze di esposizione. Ci sono infatti fattori di rischio distribuiti in modo poco disuguale ma molto frequente, come quelli legati alla sicurezza stradale. Un esempio è il non indossare le cinture di sicurezza posteriori: è un rischio che riguarda l’80 per cento dei passeggeri italiani, ma ricchi e poveri non le indossano allo stesso modo. Ci sono invece altri fattori di rischio, come quelli legati alle sedi lavorative o alla sedentarietà e al sovrappeso, che sono molto sfavorevolmente distribuiti sulle persone più povere. Questa è stata riconosciuta quindi come una priorità e su questa priorità si sono elaborati alcuni protocolli di intervento che potessero aiutare i piani di prevenzione a ridurre queste disuguaglianze. E questo processo è stato avviato tenendo conto in particolare di due avvertenze. La prima è quella di considerare che gli interventi ambientali sono quelli più efficaci perché non richiedono alle persone di aderirvi, ma è il contesto dell’ambiente stesso che deve diventare “capacitante” affinché le persone imparino o abbiano facilità ad adottare stili di vita meno pericolosi o a essere meno esposti a fattori di rischio. La seconda è quella di considerare invece che tutti gli interventi di promozione della salute che richiedono la collaborazione delle persone tendenzialmente allargano le disuguaglianze di salute perché le persone meno istruite e con meno controllo sulla propria vita tendono a dare più valore alla soddisfazione immediata che ai guadagni di salute che avverranno tra 10, 20 o 30 anni. Gli interventi basati solo sull’educazione sanitaria quindi purtroppo di solito allargano le disuguaglianze e non le contengono. Un’altra avvertenza importante riguarda la considerazione che si hanno maggiori probabilità di successo se si concentrano gli interventi in programmi di cosiddetto setting, cioè che lavorano su particolari contesti: il luogo di lavoro, i luoghi di vita che promuovono salute, le scuole etc perché in questo modo si ha più facilità ad interpellare i responsabili delle politiche e delle azioni locali perché creino dei contesti e degli ambienti capaci di promuovere la salute.
Quali sono i principali ostacoli nel nostro Paese al raggiungimento di una maggiore uguaglianza di salute?
Le principali barriere alla parità di salute sono in età adulta la disponibilità di un lavoro e di un lavoro di qualità. La disponibilità di un reddito, naturalmente minimo per avere le risorse materiali necessarie per promuovere salute, è importante ma meno importante rispetto alla disponibilità di un lavoro. Il lavoro è il vero veicolo che costruisce opportunità e controllo sulla vita delle persone. Naturalmente un ruolo importante lo ha anche la disponibilità di una casa adeguata. Sostanzialmente i principali determinanti di salute in età adulta sono in ordine di priorità: il lavoro, la casa e il reddito. L’assistenza sanitaria al momento non è un problema in Italia, perché il nostro servizio sanitario è universalistico e ha una sua distribuzione sostanzialmente equa. È in questo momento un fattore di promozione dell’equità nella salute e non un ostacolo, una risorsa importantissima che non bisogna perdere in nessun modo. Viceversa nei primi anni di vita è centrale la quantità di competenze e di capacità emotive, affettive, comportamentali, fisiche e motorie con cui i bambini arrivano sulla scena della scuola dell’obbligo, perché la scuola dell’obbligo è universalistica e tendenzialmente promuove equità. Il problema è che se si parte già svantaggiati, la scuola dell’obbligo non è più in grado di far recuperare a questi bambini la distanza rispetto a quelli più fortunati. È cruciale quindi investire sulle competenze genitoriali nei primi mesi o anni di vita dei figli e sulla scuola dell’infanzia perché quello è il momento in cui si costruisce il capitale di competenze e capacità con cui la persona diventerà adulta e capace di costruirsi credenziali educative, carriera sociale e familiare ossia sostanzialmente avere il controllo sulla propria vita, che è il fattore che determina le uguaglianze di salute.
*Intervista a cura di careonline: a colloquio con Giuseppe Costa Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università degli Studi di Torino