Welfare e futuro 4.0: quando l’arte professionale può fare la differenza. di Tiziano Vecchiato

C’è futuro per le professioni di welfare? Sono fonte di occupa­zione sociale, sanitaria, educativa e insieme alimentano un’eco­nomia che può contare su circa 3.600.000 occupati (Eurostat, 2018). La domanda del loro lavoro è consistente, ma quan­to durerà? Nel breve periodo servono altri assistenti sociali, medici, insegnanti di sostegno, assistenti per le persone non autosufficienti… In contemporanea molti lavoratori di welfare sono spinti a uscite più o meno forzate, per ragioni di età, razionamento, precariato, in un quadro generale di riduzione progressiva del nostro capitale umano e professionale. È un welfare con meno risposte e meno trasformazione professionale mentre cresce il pre­stazionismo fatto di erogazioni incapaci di aiutare ad aiutarsi, con ridotti tassi di efficacia e indici negativi di costo/efficacia.

Gli ottimisti guardano all’industria 4.0 e alla banda 5G ultraveloce. Per la produzione manifatturiera significa già oggi sostituzione di braccia umane con braccia tecnologiche, cioè riduzione dei livelli occupazionali. Sta avvenendo an­che nei servizi finanziari, con tanti utenti costretti all’auto gestione telematica del servizio. Sarà così anche per i servizi riabilitativi, diagnostici, di cura…? Le persone non autosufficienti dovranno fare a meno dell’arte professionale, della clinica personalizzata, dell’aiuto che aiuta, della possibilità di convivere attiva­mente con la cronicità? Vinceranno la standardizzazione, le risposte uguali per disuguali, le diagnosi senza prognosi?

Sarebbe un modo paradossale per mettere al centro la persona, lasciandola sola a decidere il proprio bene. La cura dei bisogni umani fondamentali potrà così degenerare in neo istituzionalizzazione, non più dentro contenitori di pietra ma di tecnologia sempre più intrusiva.

Non si potrà dire «non lo sapevamo», ne hanno già parlato in tanti. Tra i colla­boratori di questa rivista lo hanno fatto Elisa Bianchi e Maria Dal Pra Ponticelli (Questioni etiche), Augusto Palmonari (L’utente non rispettato vi odierà), don Giovanni Nervo (Ha un futuro il volontariato?). Erano provocatori sgraditi e imbarazzanti, perché dicevano la verità e chiedevano di ritrovare il bandolo della matassa con nuove strade per ripartire dalle persone e con le persone.

Negli ambienti protesici tutto è sotto controllo, è un controllo che non difen­de le persone dalla solitudine, non genera valore umano, non favorisce l’incontro dei volti e delle responsabilità. Il problema è in rapida espansione, ma per ora non è necessariamente irreversibile e con margini di recupero occupazionale.

Significa, ad esempio, chiedersi quanti occupati abbiamo in sanità per ogni milione di euro di spesa sanitaria. Il nostro Paese è a quota 8,2. La Germania è a quota 9,6, la Grecia a quota 9, il Regno Unito a quota 12,7, il Portogallo a quota 10,7. Significa che la spesa per occupato in Italia raggiunge i 122.296,6 euro, nel Regno Unito 78.992,3 euro, in Germania 103.728,9 euro. Le prospettive diventa­no più interessanti se utilizziamo un altro indice, gli occupati in sanità ogni 1.000 abitanti: in Italia sono 20,0, in Austria 32,1, in Francia 27,3, in Germania 34,1 (Elaborazioni Fondazione Zancan su dati Eurostat e Oms, anno 2010). Sono in­dici calcolati nella fase iniziale della crisi e parlano di un mondo che aveva meno fame di occupazione rispetto all’attuale, che invece somma un doppio deficit: di lavoro e di capacità di risposta ai bisogni umani fondamentali.

Nel lavoro sociale i numeri ballano paurosamente tra «chiaro e nero». Abbia­mo stimato nel Veneto la spesa in nero per assistenza sociosanitaria per persone non autosufficienti in 500 milioni di euro su un valore complessivo di spesa privata pari a 1 miliardo e 500 milioni di euro, a fronte di una spesa pubblica, per le stesse finalità, pari a 1 miliardo e 600 milioni. Si sta cioè realizzando una pericolosa convergenza, tra spesa privata e pubblica, su un terreno in cui la so­lidarietà fiscale dovrebbe fare la differenza, senza lasciare sole le persone e le famiglie quando il bisogno è più intenso e di lungo periodo.

Anche la scuola ha dato molto alla riduzione della spesa pubblica. I tagli quan­tificati da Piero Giarda sono stati di oltre 5 punti percentuali sulla spesa totale per consumi pubblici tra il 1990 e il 2009 e l’andamento non si è interrotto negli anni successivi. I risultati si vedono nei tassi di abbandono scolastico, di disagio conclamato, di difficile tenuta educativa.

L’andamento della sostituzione di lavoro umano con lavoro robotico ha inte­ressato soprattutto le produzioni meccanizzabili e standardizzabili. Sono quelle che dovrebbero essere tenute a distanza di sicurezza dai servizi di welfare, in particolare quando l’apporto della tecnologia può essere determinante nel sup­porto alle decisioni ma non altrettanto nella loro efficace realizzazione.

Curare e prendersi cura, aiutare ad aiutarsi, valorizzare le capacità, incentivare il concorso generativo al risultato… sono operazioni professionalmente raffina­te, dove l’arte professionale può fare differenze misurabili in termini di costo/ risultato, costo/efficacia, impatto sociale, cioè in termini di valore profonda­mente umano.

Tiziano Vecchiato è direttore della Fondazione Zancan

 

Fonte: FONDAZIONE ZANCAN

 

Print Friendly, PDF & Email