Nei paesi a basso e medio livello di sviluppo si stima che 8,6 milioni di morti siano dovuti ai fallimenti dei sistemi sanitari: 5 milioni attribuiti alla scarsa qualità dell’assistenza e 3,6 milioni causati dall’inaccessibilità dei servizi. L’obiettivo dei programmi e degli investimenti in sanità non può essere esclusivamente l’estensione della copertura, ma deve includere valutazioni più approfondite sull’organizzazione e i mezzi dei sistemi sanitari, nonché sulle capacità professionali degli operatori impiegati. Inoltre, l’azione dei governi dovrebbe cercare di scongiurare il dramma delle partenze degli operatori sanitari più qualificati verso paesi ad alto reddito, che assume numeri impressionanti.
Gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite indicano il 2030 come anno limite in cui dovrà essere raggiunta, in tutto il mondo, la Copertura Sanitaria Universale (Universal Health Coverage, UHC); dovrà cioè essere garantito a tutti gli individui il diritto a ricevere tutti i servizi sanitari, dalla prevenzione alle cure palliative, senza dover incorrere in difficoltà economiche[1, 2]. Al fine di implementare la UHC nei paesi a reddito medio o basso sono state utilizzate notevoli risorse finanziarie, sia da parte degli stati stessi che in termini di aiuti allo sviluppo da parte della comunità internazionale. Nel 2011 si stimava che la spesa sanitaria media nei paesi a basso reddito fosse di 21$ pro-capite; di questi 6,1$ provenienti da donazioni della comunità internazionale. Un aumento rispetto agli 11$ del 2001, anche se ancora lontano dalla soglia di 34$ pro-capite necessaria, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), per garantire un livello minimo di interventi preventivi e curativi[3].
Tuttavia, valutazioni scientifiche sul reale impatto sulla salute delle popolazioni beneficiarie degli interventi finora effettuati indicano come il 2030 sia molto lontano, anzi praticamente irraggiungibile, senza un ripensamento del concetto di “introduzione di UHC nei paesi a reddito medio e basso” nel suo complesso. Per arrivare all’obiettivo è stata data molta importanza all’ampliamento dell’accesso alle cure, pensando che promuovendo l’utilizzazione dei servizi sanitari si sarebbero ridotte morbilità e mortalità. Purtroppo non è stato sempre così. Il programma di incentivi Janani Suraksha Yojana, iniziato 13 anni fa in India, ha provveduto a far partorire in ospedale più di 50 milioni di donne, ma non ha incrementato in alcun modo la sopravvivenza materna o neonatale[4,5], perché molte delle nascite sono avvenute in centri che non avevano personale sufficientemente preparato a gestire complicanze legate al parto[6]. In generale, è ben documentata la scarsa qualità dei centri sanitari in Africa e India[7,8], con grossi deficit nel trattamento di patologie chirurgiche e ostetriche, ma anche di malattie infettive come la tubercolosi[9-11], o di condizioni croniche come l’ipertensione, con terapie efficaci e relativamente semplici da gestire[12].
La scarsa qualità delle cure ha provocato nel 2016 cinque milioni di morti (Figura 1)[13]. Queste morti rientrano fra le “morti trattabili”. La mortalità evitabile, proposta da Rutstein e colleghi[14]come indicatore della qualità dei sistemi sanitari, è suddivisa in prevenibile e trattabile. Le morti prevenibili sono quelle che, alla luce dei determinanti di salute (politiche sanitarie, stili di vita, fattori ambientali, status socio-economico) attivi al momento della morte, potevano essere evitate tramite interventi di sanità pubblica in senso ampio[15]. Le morti trattabili, invece, sono quelle evitabili, alla luce delle conoscenze mediche e tecnologiche al momento della morte, con cure mediche ottimali[15]. Se può essere complesso identificare i colpevoli della mortalità prevenibile, nel caso delle morti trattabili solo il sistema sanitario è imputabile.
Figura 1. Mortalità legata a scarsa qualità delle cure ricevute per singolo paese
Margaret Kruk e colleghi hanno paragonato il numero di decessi, aggiustato per età e sesso, per 61 patologie (Figura 2) in 137 paesi a reddito medio o basso con il numero di decessi avvenuti in 23 paesi con UHC e buoni sistemi sanitari, per scoprire un eccesso di 15,6 milioni di morti, di cui 8,6 milioni di morti dovuti ai fallimenti dei sistemi sanitari, nel solo anno 2016[13]. Di questi, solo 3,6 milioni erano dovuti a non utilizzazione del sistema sanitario, contro i 5 milioni imputabili alla scarsa qualità delle cure ricevute. Appare evidente come l’UHC possa potenzialmente evitare milioni di morti l’anno, ma solo qualora all’aumento della copertura si aggiunga un miglioramento della qualità dei sistemi sanitari[13]. L’ampio range di condizioni in cui la scarsa qualità contribuisce notevolmente all’eccesso di mortalità suggerisce la necessità di migliorare i sistemi sanitari nel complesso, piuttosto che focalizzarsi su interventi specifici, legati alla singola malattia.
Figura 2. Elenco delle patologie prese in analisi
Dall’analisi dell’eccesso di mortalità evitabile per singola patologia (Figura 3) emerge un altro filone di intervento su cui è indispensabile si concentrino i policy-makers. Sebbene la scarsa qualità sia frequentemente il fattore che pesa di più sulla mortalità trattabile (responsabile dell’84% dei decessi per malattia cardiovascolare, 81% per malattie prevenibili con vaccinazione, 61% per patologie neonatali), vi sono tipologie di malattie in cui è invece l’impossibilità all’accesso alle cure ciò che contribuisce di più alla mortalità[13]. Questo è vero nel caso di tumori, difetti congeniti, malattie respiratorie croniche e patologie psichiatriche. Per quanto riguarda le patologie psichiatriche il problema della sottoutilizzazione del sistema sanitario è noto e studiato da tempo[16], ma recenti report dell’OMS confermano come non sia stato ancora efficacemente affrontato[17].
Figura 3. Mortalità dovuta a scarsa qualità delle cure ricevute versus mortalità dovuta a non utilizzazione del sistema sanitario per singola patologia
Non tutte le morti evitabili sono da imputarsi esclusivamente al sistema sanitario. In particolare, dall’analisi della mortalità per regioni geografiche si evidenzia come la mortalità prevenibile sia responsabile della maggior parte delle morti nelle regioni dell’Africa sub-Sahariana, in particolare dell’Africa Occidentale (Figura 4).
Figura 4. Mortalità prevenibile versus evitabile e mortalità legata a non utilizzazione dei servizi versus scarsa qualità dei servizi, per singola regione. Il segno indica le regioni in cui la mortalità prevenibile supera la mortalità trattabile.
L’analisi di Kruk e colleghi è di importanza strategica per i policy-makers sanitari. L’obiettivo dei programmi e degli investimenti in sanità non può essere esclusivamente l’aumento del numero di accessi, ma deve includere valutazioni più approfondite sull’organizzazione e i mezzi dei sistemi sanitari, nonché sulle capacità professionali degli operatori impiegati. Inoltre, l’azione dei governi dovrebbe cercare di scongiurare il dramma delle partenze degli operatori sanitari più qualificati verso paesi ad alto reddito, che assume numeri impressionanti. Si stima che negli stati uniti lavori un numero di medici africani equivalente a più del 6% della forza lavoro medica che esercita in Africa[18], percentuale che sale al 10% considerando i medici indiani[19], e il fenomeno dell’emigrazione del personale sanitario non accenna a diminuire ma anzi aumenta[20].
È opportuno ricordare anche che ogni intervento basato esclusivamente sul miglioramento del sistema sanitario può incidere solo su un po’ più della metà delle morti evitabili. Gli 8,6 milioni di morti prevenibili sono legati a doppio filo alle condizioni di povertà e sottosviluppo in cui versa ancora la maggioranza della popolazione mondiale, soprattutto nel continente africano. Condizioni da cui, comprensibilmente, operatori sanitari, laureati e persone comuni scappano.
Chi non vuole morire si rifiuta di vivere, perché la vita ci è stata data a patto di morire. La morte è il termine certo a cui siamo diretti e temerla è da insensato, poiché si aspetta ciò che è certo e solo l’incerto può essere oggetto di timore. La morte è una necessità invincibile e uguale per tutti: chi può lamentarsi di trovarsi in una condizione a cui nessuno può sottrarsi?[21]
Come scriveva Seneca, l’uomo, in quanto individuo, deve accettare l’ineluttabilità della fine con la tranquillità e la compostezza del filosofo stoico. Ma l’uomo in quanto membro della collettività non può non reagire con rabbia e sdegno di fronte alle morti che si verificano per via della sfortunata nascita ad una latitudine infelice.
Marta Tilli, Malattie infettive, Università di Firenze.
Risorsa
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