Con l’approvazione dei tre decreti legislativi n. 121, 123 e 124[1] del 2 ottobre 2018, si è concluso il sofferto iter della riforma dell’ordinamento penitenziario aperto dai lavori degli Stati generali per l’esecuzione penale. I decreti legislativi hanno dato (parziale) attuazione alla legge delega 23 giugno 2017, n. 103 ed essendo transitati dall’esecutivo Gentiloni a quello Conte hanno quindi risentito dei diversi orientamenti politici delle differenti maggioranze di governo.
In quanto direttore di Dipartimento di salute mentale dipendenze patologiche dell’Ausl di Parma che opera nel locale Istituto penitenziario e gestisce la Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) di Casale di Mezzani (PR) la parte di maggiore interesse è quella relativa alla salute mentale sulla quale farò alcune sintetiche annotazioni per punti.
- a) Una prima lettura del d. lgs. 123 relativo alla Riforma dell’ordinamento penitenziario, non rileva larga parte delle proposte emerse dagli Stati generali per l’Esecuzione Penale che il progetto formulato dalla Commissione presieduta dal prof. Pelissero aveva fatto propri.
In particolare non si è realizzata l’equiparazione dei disturbi psichici a quello fisici ai fini del rinvio della pena ex art. 147 c.p. e della detenzione domiciliare ex art. 47 ter co. 1 ter.
Un’occasione sprecata per abrogare l’art 148 c.p. e attuare un processo di destigmatizzazione dei disturbi mentali. Infatti si è mantenuta una norma superata in base alla quale, per le infermità mentali insorte nel corso della detenzione e tali da impedire l’esecuzione della pena, il giudice “ordina che (..) che il condannato sia ricoverato in un manicomio giudiziario ovvero in una casa di cura e di custodia. Il giudice può disporre che il condannato, invece che in un manicomio giudiziario, sia ricoverato in un manicomio comune…”, una formulazione desueta in quando manicomio giudiziario e ordinario sono entrambi scomparsi. La persistenza dell’art. 148 ricorda come il codice continui a fare riferimento alla legge 36/1904 quindi ad un sistema psichiatrico custodiale che è stato completamente superato dalle leggi 180 e 81/2014 dalle quali è nato un sistema di cura di comunità incentrato sui Dipartimenti di salute mentale.
D’altra parte nei decreti legislativi nulla è stato definito rispetto a quanto previsto dalla legge 103/2017 comma 16 lettera c): “revisione della disciplina delle misure di sicurezza personali ai fini della espressa indicazione del divieto di sottoporre a misure di sicurezza personali per fatti non preveduti come reato dalla legge del tempo in cui furono commessi; rivisitazione, con riferimento ai soggetti imputabili, del regime del cosiddetto «doppio binario», prevedendo l’applicazione congiunta di pena e misure di sicurezza personali, nella prospettiva del minor sacrificio possibile della libertà personale, soltanto per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale e prevedendo comunque la durata massima delle misure di sicurezza personali, l’accertamento periodico della persistenza della pericolosità sociale e la revoca delle misure di sicurezza personali quando la pericolosità sia venuta meno; revisione del modello definitorio dell’infermità, mediante la previsione di clausole in grado di attribuire rilevanza, in conformità a consolidate posizioni scientifiche, ai disturbi della personalità; previsione, nei casi di non imputabilità al momento del fatto, di misure terapeutiche e di controllo, determinate nel massimo e da applicare tenendo conto della necessità della cura, e prevedendo l’accertamento periodico della persistenza della pericolosità sociale e della necessità della cura e la revoca delle misure quando la necessità’ della cura o la pericolosità sociale siano venute meno; previsione, in caso di capacità diminuita, dell’abolizione del sistema del doppio binario e previsione di un trattamento sanzionatorio finalizzato al superamento delle condizioni che hanno diminuito la capacità dell’agente, anche mediante il ricorso a trattamenti terapeutici o riabilitativi e l’accesso a misure alternative, fatte salve le esigenze di prevenzione a tutela della collettività; d) tenuto conto dell’effettivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e dell’assetto delle nuove residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), previsione della destinazione alle REMS prioritariamente dei soggetti per i quali sia stato accertato in via definitiva lo stato di infermità al momento della commissione del fatto, da cui derivi il giudizio di pericolosità sociale, nonché dei soggetti per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena, degli imputati sottoposti a misure di sicurezza provvisorie e di tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari alle quali sono destinati non siano idonee, di fatto, a garantire i trattamenti terapeutico-riabilitativi, con riferimento alle peculiari esigenze di trattamento dei soggetti e nel pieno rispetto dell’articolo 32 della Costituzione.”
In sintesi sembra che siano stati evitati temi di grande rilevanza: imputabilità, doppio binario, delle misure di sicurezza, del funzionamento del sistema una volta chiusi gli OPG.
- b) Anche la questione della psichiatria negli Istituti di pena è stato omesso. Il Governo ha scelto di non dare alcuna attuazione al criterio di legge delega relativo al potenziamento dell’assistenza psichiatrica e il nuovo comma 2 dell’art. 11 elimina la previsione che ogni istituto debba disporre “dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria” ma soprattutto non viene più riportato che “nel caso di sospetto di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del caso col rispetto delle norme concernenti l’assistenza psichiatrica e la sanità mentale.”
Un’omissione che va nella direzione della normalizzazione della malattia mentale in ragione del DPCM 1 aprile 2008? O l’effetto non potrebbe essere quello di una minore attenzione agli aspetti psichici e alla dipendenza da sostanze che pure hanno una notevole prevalenza nella popolazione detenuta la quale, come è noto, è anche esposta ad elevati rischi di suicidio.
Non si realizza alcun potenziamento dell’assistenza psichiatrica, in particolare delle articolazioni di salute mentale negli istituti di pena e l’istituzione di “sezioni speciali” a sola gestione sanitaria. Previsione che aveva sollevato perplessità anche tra i professionisti della salute mentale, più orientati a realizzare trattamenti in contesti alternativi al carcere.
Infatti sulla base di una versione dell’art.11 bis e dell’art. 65 (previsione di sezioni speciali ad esclusiva gestione sanitaria) dell’ordinamento penitenziario predisposto dalla Commissione Pelissero (art.65) veniva a configurare possibili percorsi per la fase di accertamento delle infermità psichiche nella persona privata della libertà: uno interno agli istituti di pena in regime ordinario o nelle sezioni speciali ad esclusiva gestione sanitaria e l’altro esterno, presso idonea struttura indicata dal competente dipartimento di salute mentale.
Nella proposta avanzata le “sezioni speciali” erano destinate ad occuparsi di soggetti diversi: “condannati a pena diminuita ai sensi degli articoli 89 e 95 del codice penale”; “soggetti affetti da infermità psichiche sopravvenute o per i quali non sia stato possibile disporre il rinvio dell’esecuzione ai sensi dell’articolo 147” (post abolizione dell’art 148 c.p.) e “soggetti per i quali si procede all’accertamento di cui all’articolo 11-bis.”
Sulla questione della salute mentale negli istituti di pena, il coordinamento REMS[2] in riferimento alle “sezioni speciali” ha avanzato diverse notazione critiche teoriche e organizzative ed ha rilevato che “va chiarito bene come (ri)configurare le Articolazioni per la salute mentale o Reparti/residenze(?) a sola gestione sanitaria”.
Vista la decisione assunta dal governo, il tema oggi non si pone ma viene lasciata inalterata la situazione delle Articolazione per la salute mentale negli istituti di pena che registra gravi e note carenze nonchè la difficoltà a definire i percorsi di diagnosi e cura specie esterni.
- c) Nemmeno la proposta di introdurre una specifica tipologia di affidamento in prova per i soggetti con disturbi mentali è stata accolta.
Analizzando il d. lgs 121, “a proposito della introduzione di misure penali di comunità mirate a far fronte alle specifiche esigenze dei minorenni: si constata, con rammarico, il mancato recepimento delle indicazioni provenienti dalla bozza elaborata dalla Commissione ministeriale con riguardo alla tutela del diritto alla salute e all’introduzione di un affidamento in prova terapeutico per patologie psichiatriche. Non di rado la reclusione in IPM determina l’insorgenza nei detenuti di malattie psichiatriche o di gravi e persistenti disturbi della personalità che richiedono specifici trattamenti sanitari, i quali difficilmente possono essere offerti in istituto (dove manca la presenza di personale sanitario specializzato), senza rischi di compromissione ulteriore della salute del condannato e degli altri reclusi.”[3]
In estrema sintesi sembra che il tema della psichiatria venga omesso lasciando inapplicata larga parte della delega conferita dalla legge 103/2017. Al contempo si rinuncia a dare un contributo per la funzionalità il sistema riformato dalla legge 81/2014 che mantiene aperte le sue contraddizioni.
E’ pur vero che per realizzare le “sezioni speciali” a gestione sanitaria negli istituti di pena sarebbe stata necessaria una concertazione con il ministero della Salute e le Regioni e Provincie Autonome ma una previsione di questo percorso, al momento non contemplata, potrebbe essere ripresa. In un ambito che veda anche il tema della prevenzione e della gestione del disagio e dei disturbi mentali negli istituti di pena. A questo proposito fa riflettere come nei decreti siano venute meno le facilitazioni dell’accesso alle misure alternative e non vi siano quelle relative al diritto all’affettività. Un tema più generale che interroga sulla qualità della vita, dei diritti nell’esecuzione penale nonché sulla sua efficacia. Istituti di pena molto chiusi incentrati sulla cultura del controllo e della punizione, speculari alla paura sociale diffusa, non sono la sede più idonea per programmi di recupero e di cura. In questa situazione viene da chiedersi come possa operare la psichiatria nella tutela della salute e dei diritti delle persone e favorirne l’inclusione sociale.
- d) A questo punto non è chiaro quali siano le intenzioni e i progetti governativi relativi alla salute mentale negli istituti di pena. Se prima vi era il pericolo della sanitarizzazione della pena, in particolare di una lettura psicologica del disagio mentre negli anni 70 del secolo scorso era di tipo sociologico, l’attuale impianto lo rilegge in chiave educativa e soprattutto retributiva.
Come se la psichiatria attraverso un approccio comprensivo ed umano, rivelatosi essenziale per chiudere gli OPG, avesse messo in crisi una concezione della pena basata su un modello repressivo poco efficace non solo per i malati mentali ma per tutti i cittadini detenuti.
Una psichiatria che può dare fastidio per le sue contraddizioni, per le possibili manipolazioni, per i potenziali conflitti nel momento in cui non è (solo) supporto del potere costituito ma dalla parte dei diritti del cittadino?
Al momento, lasciando perdere altre domande non si può che concordare con la prof. Della Bella quando scrive: “la mancata attuazione del criterio di legge delega relativo al potenziamento dell’assistenza psichiatrica – che si è tradotta in una puntigliosa soppressione di qualsiasi previsione del progetto Pelissero finalizzata ad intercettare e a rispondere al disagio psichico di detenuti e internati – non trova ragionevole giustificazione.”[4]
- e) Per comprendere quanto sta accadendo credo che il tema della salute mentale richiami quello più generale della concezione della pena. L’Associazione Italiana dei professori di diritto penale dopo avere rilevato la necessità che le “legittime scelte politiche della maggioranza parlamentare tengano conto del quadro costituzionale e delle indicazioni provenienti dalle consolidate acquisizioni delle scienze penalistiche”, “si auspica che il tema della sicurezza dei cittadini non sia affrontato esclusivamente, né prevalentemente, sul terreno della pena carceraria: le rilevazioni criminologiche mostrano infatti che il carcere, più di ogni altra tipologia sanzionatoria, genera recidiva, e mette quindi a repentaglio la sicurezza dei cittadini. Di qui l’esigenza di fare ricorso alla pena carceraria solo in quanto appaia assolutamente necessaria, per mancanza di altri strumenti sanzionatori in grado di rispondere altrettanto efficacemente a un determinato fenomeno criminale.
Inoltre, nei limiti in cui il carcere appaia strumento indispensabile di tutela della collettività, si richiama l’attenzione sull’opportunità che in carcere siano previsti alcuni spazi per scelte responsabili del detenuto, così da creare condizioni di vita reclusa progressivamente sempre più prossime, nei limite del possibile, a quelle alle quali il condannato farà ritorno, una volta espiata la pena: di questa esigenza si dovrebbe tener conto, allorché si procedesse, come prospettato nel Contratto di Governo, a rivedere e modificare il protocollo della sorveglianza dinamica e del regime penitenziario aperto.
Un fondamentale apporto alla reintegrazione sociale del condannato a pena carceraria, secondo quanto previsto dall’art. 27 co. 3 Cost., può venire inoltre da un equilibrato dosaggio tra flessibilità della pena in fase esecutiva e certezza dei criteri di adeguamento ai progressi compiuti dal condannato in un percorso di graduale ritorno alla società libera. Va sottolineato che i tassi di recidiva di chi ha scontato la pena, in tutto o in parte, nella forma di una misura alternativa al carcere sono di gran lunga inferiori a quelli che si registrano tra coloro che hanno scontato la pena per intero tra le mura carcerarie. Chi abbia a cuore la sicurezza dei cittadini e una vita sociale ordinata dovrebbe dunque guardarsi, a nostro avviso, dalla tentazione di demonizzare le misure alternative e in genere le pene non carcerarie: a dispetto di pregiudizi diffusi nell’opinione pubblica, meno carcere può significare più sicurezza per i cittadini.”[5]
Conclusioni
E’ forse da questo punto che possiamo riprendere il discorso. La mancata equiparazione delle infermità mentali a quelle fisiche è certamente un’occasione mancata, così come non avere promosso le misure alternative alla detenzione. Non è stata affrontata la questione dell’imputabilità e del doppio binario. Nel quarantennale della 180 non solo la persona con disturbi mentali non ha i diritti e doveri di tutti i cittadini ma il sistema giudiziario per diversi aspetti sembra fare ancora riferimento alla legge 36/1904.
L’omissione dell’assistenza psichiatrica e delle sezioni speciali a gestione sanitaria, soluzione che aveva sollevato critiche teoriche e operative anche dai professionisti della salute mentale, può essere un’occasione per riprendere un dibattito, per evitare la sanitarizzazione della pena, la psichiatrizzazione del disagio, rimettendo in primo piano le componenti socio-economiche, il tema della formazione e del lavoro, come strumenti per la rieducazione, il reinserimento e la riparazione possibile. Un dialogo che potrebbe partire da una Consensus conference che valorizzi le buone pratiche come auspicato anche dal Consiglio Superiore della Magistratura.[6]
Per usare una metafora calcistica, dopo un’occasione mancata, serve un forte rilancio da fondo campo, che parta dalla base dei problemi, per riprendere le azioni secondo una cultura della pena che l’Associazione Italiana dei Professori di Diritto ha magistralmente illustrato.
[1] Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma Largo Natale Palli 1/B, 43126 Parma, tel. 0521-396624/8, fax 0521-396633, E-Mail <ppellegrini@ausl.pr.it>.
[2] D. lgs. 2 ottobre 2018, n. 121, Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 81, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103; d. lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, Riforma dell’ordinamento penitenziario, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere a), d), i), l), m), o), r), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103; d. lgs. 2 ottobre 2028, n. 124, Riforma dell’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere g), h) e r), della legge 23 giugno 2017, n. 103.
[3] Mezzina R., Pellegrini P.(2017) Commissione per la riforma del sistema normativo delle misure di sicurezza personali e dell’assistenza sanitaria in ambito penitenziario, specie per le patologie di tipo psichiatrico e per la revisione del sistema delle pene accessorie D.M. 19.7.2017 in attuazione della legge 103/2017. Audizione del 24 novembre 2017 – Ministero della Giustizia. Stopopg.it
[4] Lina Caraceni Riforma dell’’Ordinamento Penitenziario: Le novità in materia di esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, Decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121 (G.U. 26 ottobre 2018) Diritto Penale Contemporaneo 16 novembre 2018. Penalecontemporaneo.it
[5] Angela Della Bella Riforma dell’’Ordinamento Penitenziario: Le novità in materia di assistenza sanitaria, vita detentiva e lavoro penitenziario, Decreti legislativi 2 ottobre 2018, n. 123 e 124 (G.U. 26 ottobre 2018) Diritto Penale Contemporaneo, 7 novembre 2018. Penalecontemporaneo.it
[6] Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale Due comunicati su recenti modifiche e progetti di riforma del sistema penale: Pena carceraria e Politiche criminali. Diritto Penale Contemporaneo, 23 novembre 2018. Penalecontemporaneo.it
[7] Disposizioni urgenti in materia di superamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e di istituzione delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), di cui alla legge n. 81 del 2014. Questioni interpretative e problemi applicativi” 19 aprile 2017. “Risoluzione sui Protocolli operativi in tema di misure di sicurezza psichiatriche” del 21 settembre 2018