Pubblichiamo le motivazioni della Corte di Cassazione sul caso di Franco Mastrogiovanni, il maestro elementare di 58 anni morto nel 2009 nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania dopo essere stato sottoposto a quasi 90 ore di contenzione. Dopo nove anni di processo, nel giugno 2018, la Cassazione ha confermato le le condanne per sequestro di persona e falso ideologico per sei medici e undici infermieri.
Con questa sentenza (che può essere scaricata integralmente qui: Motivazioni Cassazione – sentenza Mastrogiovanni) la Corte di Cassazione ha sancito un principio molto importate, ovvero che la contenzione non può essere considerata un atto terapeutico, e che anzi invece di migliorare le condizioni del paziente può provocare lesioni gravi.
Qui di seguito qualche passaggio estratto dalle motivazioni:
L’ “atto medico ” gode di una diretta copertura costituzionale non perché semplicemente frutto della decisione di un medico, ma in quanto caratterizzato da una finalità terapeutica, cui va assimilato quello avente natura diagnostica, parimenti finalizzato alla cura ed alla guarigione del paziente, nonché quello destinato ad alleviare le sofferenze del malato terminale, in quanto comunque diretto a migliorarne le condizioni complessive (c.d. trattamento del dolore).
L’uso della contenzione meccanica non rientra in nessuna delle categorie sopra indicate, trattandosi di un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce materialmente l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente – anzi, secondo la letteratura scientifica, può concretamente provocare, se non utilizzato con le dovute cautele, lesioni anche gravi all’organismo, determinate non solo dalla pressione esterna del dispositivo contenitivo, quali abrasioni, lacerazioni, strangolamento, ma anche dalla posizione di immobilità forzata cui è costretto il paziente – svolgendo, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, una mera funzione di tipo “cautelare”, essendo diretto a salvaguardare l’integrità fisica del paziente, o di coloro che vengono a contatto con quest’ultimo,
Tale norma (n.d.r Regolamento de1909) è stata abrogata in modo implicito dall’art. 11 della L. 180/78 di riforma dell’assistenza psichiatrica (c.d. legge Basaglia), che ha abrogato gli articoli 1, 2, 3 e 3-bis della legge 14 febbraio 1904, n. 36, concernente “Disposizioni sui manicomi e sugli alienati” , di cui il citato regolamento del 1909 costituiva esecuzione. Peraltro, se, da un lato, l’art. 60 del regolamento dei manicomi può fondatamente ritenersi come norma non più vigente all’interno del nostro ordinamento, tuttavia, dall’altro, non vi è dubbio che i suoi criteri ispirativi, di limitare l’uso della contenzione meccanica a situazioni del tutto eccezionali, debbano ritenersi, non solo tuttora attuali, ma, a maggiore ragione, ancora più vincolanti, in primo luogo, alla luce dell’entrata in vigore della Carta Costituzionale, che all’art. 13 ha vietato qualsiasi forma di restrizione della libertà personale se non alle condizioni tassativamente stabilite dalla legge e all’art. 32 ha sancito il divieto di violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Inoltre, nella stessa prospettiva, si inserisce la legge n. 180 del 1978 (c.d. legge Basaglia) che, nel superare l’impostazione “custodiale” del malato psichiatrico, ha disciplinato il trattamento sanitario obbligatorio, prevedendone l’applicazione solo ove esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, non legittimandosi quindi affatto i mezzi di coercizione fisica se non in quanto rappresentino l’unico strumento idoneo ad approntare le cure mediche necessarie per scongiurare il pericolo di grave danno alla salute del paziente. uso della contenzione è ammesso solo in situazioni eccezionali di pericolo all’integrità fisica delle persone (paziente e terzi), deve essere circoscritto al tempo strettamente necessario e deve essere costantemente soggetto al controllo del medico.
Gli imputati rivendicano, invece, in linea di principio, come sempre lecito l’uso della contenzione in quanto funzionale al trattamento, quale componente ineludibile alla cura del paziente psichiatrico, in sostanza, quale metodica ordinariamente “ancillare” e complementare alla cura farmacologica.
Tale impostazione deve essere respinta, essendo completamente estranea – lo si ribadisce – sia alla ratio del previgente art. 60 del regio decreto del 1909, sia, a maggior ragione, a quella delle successive norme di legge ordinaria e costituzionale sopra esaminate. riferimento alla sentenza n. 282/2002 della Corte Costituzionale, la quale – nel pronunciarsi sulla praticabilità della terapia elettroconvulsivante e della lobotomia (sospese dalla legge regionale della regione Marche in quanto ritenute di non provata efficacia e possibile causa di danni ai pazienti) – ha affermato che non spetta, di norma, al legislatore stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni, richiamando all’uopo l’art. 12 del codice deontologico medico, che dispone che “al medico è riconosciuta piena autonomia nella programmazione, nella scelta e nell’applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico”. Tale ragionamento non è applicabile alla contenzione, non avendo, a differenza delle metodiche esaminate dalla Corte Costituzionale nella pronuncia sopra citata, la dignità di una pratica terapeutica o diagnostica il cui uso è rimesso alla discrezione del medico, costituendo, invece, un mero presidio “cautelare” il cui utilizzo è lecito solo al ricorrere delle condizioni di urgenza sopra evidenziate.
Non vi è dubbio, tuttavia, che la posizione di garanzia di cui è titolare il sanitario, e gli obblighi di protezione e custodia che dalla stessa scaturiscono, non consentano comunque di superare i limiti sopra evidenziati previsti dalla legge per l’uso della contenzione e ciò in considerazione della natura dei beni costituzionalmente protetti su cui tale presidio viene ad incidere, individuabili, non solo nella libertà personale, ma anche nell’integrità fisica (viste le sofferenze fisiche e psicologiche ad esso legate) e nella dignità umana.
(….) occorre che il pericolo di un grave danno sia attuale ed imminente, o, comunque, idoneo a far sorgere nell’autore del fatto la ragionevole opinione di trovarsi in siffatto stato, non essendo all’uopo sufficiente un pericolo eventuale, futuro, meramente probabile o temuto. Si deve trattare di un pericolo non altrimenti evitabile sulla base di fatti oggettivamente riscontrati e non accertati solo in via presuntiva.
Questo vuoi dire che non è assolutamente ammissibile l’applicazione della contenzione in via “precauzionale” sulla base della astratta possibilità o anche mera probabilità di un danno grave alla persona, occorrendo che l’attualità del pregiudizio risulti in concreto dal riscontro di elementi obiettivi che il sanitario deve avere cura di indicare in modo puntuale e dettagliato.