Ridurre le liste di attesa? Non con pannicelli caldi di Guglielmo Pepe

Le liste di attesa sono una priorità per un esercito di italiani. E non da adesso, anche se il ministro della Salute, Giulia Grillo, subito dopo l’insediamento dichiarò “il massimo impegno e mi aspetto una grande collaborazione dalle Regioni in favore dei cittadini per abbattere lunghi e impossibili tempi d’attesa e per avere accesso ai servizi e alle informazioni”.

Il tema è cruciale. E tutti ora concordano sull’esclusione di fatto di milioni di persone dai servizi sanitari. Fino a due anni fa si sosteneva che i cittadini senza accesso alle cure fossero 11 milioni. Decisamente troppi. Poi l’Istat “scese” a 4 milioni. E appena tre giorni fa, sempre l’Istat ha ribadito che 4 milioni sono quelli che restano senza visite, per motivi economici, mentre i pazienti che rinunciano alle cure a causa delle estenuanti attese sono 2 milioni.

Numeri preoccupanti. Senza alcun dubbio. Eppure eravamo portati a pensare che con il trascorrere del tempo, le cose sarebbero migliorate. Macché. Come spiegava una ricerca specialistica presentata a marzo dall’Osservatorio su tempi di attesa e costi delle prestazioni sanitarie (commissionata da Funzione pubblica Cgil e realizzata dal Crea Sanità in Lombardia, Veneto, Lazio e Campania), le attese sanitarie invece di migliorare sono via via peggiorate: per avere un esame in un ospedale pubblico, i tempi sono aumentati in media tra 20 e 27 giorni in 3 anni. E per ottenere una visita nel pubblico bisogna aspettare in media 65 giorni, contro 7 nel privato e 6 in intramoenia. Così, in pratica, non c’è gara e il Ssn può solo soccombere.

Quando fu presentata, l’indagine fu oggetto di uno scontro politico tra Beatrice Lorenzin e la CGIL. L’ex ministra scaricava le responsabilità della situazione sulle Regioni, convinta che le attese lunghe fossero soprattutto un problema di programmazione e di organizzazione sanitaria. Che dipende dalle Regioni. Al contrario, per la CGIL la crisi del Servizio sanitario nazionale era data “dal taglio di risorse operata dal governo e dalla incapacità del ministero della Salute di garantire una programmazione ordinata sul territorio. Forse da ministro, Lorenzin è stata più attenta agli interessi delle lobby del privato che ai bisogni dei cittadini e dei lavoratori…”.

Ricordo questo passaggio fortemente polemico, perché la “partita di giro” su questo argomento è anche politica ed economica. Non a caso, sull’aumento del Fondo Sanitario Nazionale, sono piovute molte critiche sul governo attuale, visto che il miliardo di euro stanziato, era già previsto dalla Finanziaria del governo Gentiloni. Un Fondo praticamente rimasto al palo. Giulia Grillo, consapevole di non poter superare l’ostacolo economico, ha concentrato l’attenzione sulle attese ospedaliere. Cosi nei mesi scorsi ha inviato a Regioni e Province una circolare per fare il punto a livello capillare, in previsione del Piano Nazionale per il governo delle liste di attesa (PNGLA). E nei giorni del parto all’ospedale Gemelli, proprio a commento della “fotografia” dell’Istat, la ministra è tornata sull’argomento scrivendo su Facebook che “mi sono impegnata sulla riduzione delle liste di attesa (ricordo il fondo da 50 milioni l’anno già in legge di bilancio)…”.

Ma proprio qui si appalesa il limite principale del piano di intervento ministeriale. Perché la cifra stanziata è un pannicello caldo. Sicuramente utile per i casi di emergenza, però, altrettanto sicuramente, insufficiente. Le liste di attesa rappresentano una questione “di sistema”. E quindi di strutture, di mezzi, di personale a disposizione. I soldi possono servire per affrontare meglio la competitività delle prestazioni private, che spesso costano poco più del ticket, e sono perfino inferiori ai costi dell’intramoenia (i servizi forniti privatamente dai medici di un ospedale pubblico, dentro la stessa struttura). Però se la realtà ci dice che il Ssn è in crescente difficoltà (la donna trovata sommersa dalle formiche nell’ospedale San Giovanni Bosco di Napoli lascia senza parole), allora l’intervento deve essere più incisivo, per affrontare in modo serio e strutturale l’aspetto maggiormente critico della nostra Sanità.

Se non si assumono medici specialisti (ne mancano 2/3 mila) e infermieri, i tempi di attesa saranno sempre lunghi. E il paziente che può farlo, si rivolgerà sempre al privato, oppure ricorrerà all’intramoenia (che, secondo me, dovrebbe essere bloccata se non altro negli ospedali dove le attese sono indecenti, avendo un effetto negativo a cascata sull’intera struttura).

Come ho già sottolineato diverse volte, a dicembre saranno 40 anni di Servizio sanitario nazionale. Non mi è difficile prevedere che sarà un compleanno senza brindisi.

  • guglielmpepe@gmail.com
  • @pepe_guglielmo (twitter)

Fonte: Repubblica.it

Print Friendly, PDF & Email