Il Rapporto ha analizzato il Sistema sanitario principalmente attraverso l’ottica dei cittadini/pazienti, ma senza nascondere le tematiche più generali della compatibilità nei conti pubblici.
L’Italia investe il 14,1% della spesa pubblica per mantenere il proprio sistema sanitario, l’1,1% meno della media europea. L’Irlanda è il paese che vi dedica la quota più alta (19,3%), ma questa spesa incide solo per il 5,7% del proprio Pil, dato che per l’Italia sale al 7%. Cipro è il paese che spende per la sanità la percentuale più bassa della spesa pubblica, pari al 2,6% del proprio Pil.
Gli operatori impegnati nella sanità rappresentano una quota di lavoro rilevante nel nostro Paese. Nel 2015 gli occupati nel comparto sono stati 1.796.000. Considerando la quota di lavoro nero e grigio che si annida soprattutto nell’area della cura alla persona, è legittimo ritenere che a questi si debbano aggiungere tra le 300.000 e le 400.000 unità, portando il totale a circa 2.200.000 addetti, ovvero ad una quota vicina al 10% del totale occupati del Paese.
Tra le tante contraddizioni e i punti critici, il Rapporto ha evidenziato il tema del precariato e della insufficienza degli organici, del forte invecchiamento del personale sanitario che in alcune aree, ed in particolare nella medicina generale (medico di base e pediatra di libera scelta), rischia nel futuro prossimo di generare dei vuoti incolmabili. Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute e aggiornati al 2012 il comparto assorbiva 45.437 medici di medicina generale. Secondo la Federazione Italiana dei Medici di Famiglia circa 21.700 medici di base andranno in pensione entro il 2023, mentre il numero dei giovani medici “in ingresso” si prevede non superiore alle 6.000 unità. Questo significherà una carenza di 16.000 medici di base e la quasi certezza che entro il prossimo decennio almeno un terzo dei residenti nella Penisola non potrà avvalersi del medico di famiglia.