Il nostro Osservatorio civico sul federalismo in sanità ha fatto emergere una volta di più come il nostro Paese in termini di garanzie dei diritti dei cittadini sia a più velocità, in termini di organizzazione dei servizi, di accessibilità alle prestazioni sanitarie ed all’innovazione farmaceutica.
I tempi si stanno facendo insostenibili al punto da rischiare di minare il rapporto di fiducia dei cittadini nel Servizio sanitario nazionale. Il caso è tanto più emblematico quando si parla di accessibilità alla diagnosi e alle cure per i pazienti oncologici.
L’enorme divario nel nostro territorio per quanto riguarda gli screening oncologici è inaccettabile e ingiustificabile.
È un problema organizzativo, e come tale può e deve essere risolto perché, l’alternativa, è quella di avere decessi per tumore che sarebbero evitabili. Ma dopo gli screening inizia il percorso diagnostico e terapeutico che fa i conti con le liste d’attesa, che hanno divari enormi tra le diverse aree, con una dinamica che ormai non è solo nord-sud ma anche tra zone marine e montuose, tra le aree urbane e quelle interne, che porta nella stessa regione enormi divari in termini di accesso. Quando poi si riesce a superare anche questo ostacolo, inizia il trattamento farmacologico.
È vero che l’Aifa ha svolto nel corso degli anni un ruolo importante in termini di garanzia di accesso all’innovazione, ma resta un evidentissimo problema di governance, di organizzazione, di trasparenza nell’accesso che come effetto finale ha quello di riportarci al tema di cui sopra: disuguaglianze e cittadini di categorie diverse. Spieghiamo perché: il processo di valutazione e rimborso dei farmaci prevede varie fasi per cui, all’interno dell’Aifa, vi è la commissione tecnico scientifica (Cts), quella prezzi e rimborsi (Cpr), il consiglio di amministrazione poi dell’agenzia. Ognuno di questi organi fa una valutazione, per le proprie competenze, dei criteri che possono portare alla rimborsabilità di un farmaco. In ognuno di questi passaggi è prevista la presenza, istituzionalizzata, di rappresentanti delle regioni. Quando un farmaco supera tutti questi passaggi dovrebbe essere immediatamente disponibile per tutti i cittadini, su tutto il territorio nazionale…ma non è così. Le regioni a loro volta vogliono decidere se inserire i farmaci nei prontuari regionali e aziendali, cosa che prevede passaggi di commissioni che si riuniscono, valutano, si riuniscono di nuovo… Procedura che denunciamo da anni come una modalità di razionamento e limitazione all’accesso surrettizia.
Questa situazione porta ad un iter/tempo medio che percorre il farmaco da quando l’azienda deposita il dossier presso Ema a quando diviene effettivamente disponibile al paziente di circa 806 giorni (2,2 anni) arrivando fino a 1074 giorni (circa 3 anni) nella regione con le tempistiche più lunghe.
Dati confermati dal monitoraggio di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato nelle strutture oncologiche italiane: nel 42% delle strutture ospedaliere occorrono in media 15 giorni per poter erogare un farmaco. Ci sono poi strutture sanitarie che impiegano dai 3 ai 6 mesi (il 7%) e dai 4 ai 6 mesi (il 9%).
Questa una battaglia che ci vede e ci vedrà impegnati al massimo, che richiede un’ alleanza sempre più forte tra medici e organizzazioni civiche, insieme per chiedere alle istituzioni di rendere conto delle proprie scelte in modo trasparente.
Una battaglia da fare davvero coinvolgendo tutti coloro i quali credono che il Servizio sanitario nazionale non sia un residuo polveroso di un tempo che fu, ma il pilastro su cui costruire una politica di coesione sociale per le prossime generazioni.
Antonio Gaudioso è Segretario generale di Cittadinanzattiva
Fonte: CITTADINANZATTIVA