Il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi ha richiamato giustamente l’attenzione, nel suo recente intervento da voi pubblicato, sul fatto che sia “penoso chiedere più autonomia” da parte delle Regioni, facendo riferimento in particolare a Veneto e Lombardia, il cui processo verso un regionalismo differenziato è in fase più avanzata.
Tuttavia su tale importante tematica – il regionalismo differenziato – il dibattito risulta sostanzialmente assente, in particolare fra le forze politiche che siedono nell’attuale Parlamento e nei Consigli regionali. Peraltro anche la Regione Toscana ha avviato, con la Risoluzione del Consiglio Regionale (Risoluzione n. 163 del 13 settembre 2017) e, successivamente, con la recente proposta della Giunta regionale (Proposta del maggio 2018), il proprio percorso verso un regionalismo differenziato.
La proposta della Giunta toscana riguarda, come è ovvio, anche la Sanità ed in particolare: la Governance delle Aziende e Enti del S.S.R.; le politiche di gestione delle risorse professionali; la formazione specialistica, che implica i rapporti con l’Università; il sistema tariffario; il patrimonio edilizio; la farmaceutica, con particolare riferimento all’autonomia nell’adottare eventuali decisioni basate all’equivalenza terapeutica dei farmaci.
Molte richieste delle Regioni appaiono ragionevoli, seppure siano in contraddizione, da parte di alcuni esponenti politici, con quanto sostenuto nella campagna referendaria sulla Riforma costituzionale, là dove uno dei “mali assoluti” dell’attuale sistema, era rappresentato dalla differenziazione regionale in tema di sanità, come se tali diversità fossero da imputare (sostanzialmente) a norme costituzionali e non a difficoltà finanziarie, ai piani di rientro, a storiche difformità sociali ed economiche fra parti del paese.
Alcune richieste, ad esempio di Veneto e Lombardia, appaiono invece eversive rispetto alla tenuta di un sistema sanitario che intenda assicurare uguali diritti a tutti i cittadini. Una differenziata normativa regionale in tema di libera professione dei sanitari (modifica del rapporto di esclusività, regolamentazione della Libera professione intramoenia etc.) verrebbe a mutare – di fatto – gli accordi nazionali contrattuali e offrire, nell’ambito del servizio pubblico, sistemi profondamente diversificati da regione a regione.
Ulteriori rilevanti perplessità desta la proposta di una maggiore autonomia regionale legislativa, amministrativa e organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi, venendo così a creare addirittura gabbie contrattuali territoriali differenziate per un già complesso sistema di welfare aziendale.
Il processo che si sta avviando rischia di realizzare, in ambito della tutela della salute, una Repubblica della autonomie ampiamente e immotivatamente diversificata in base alle richieste delle singole Regioni e ai conseguenti accordi (affidati anche a mutevoli omogeneità – disomogeneità politiche fra Regioni e Governo), senza una valutazione delle conseguenze positive o negative del regionalismo in sanità, e in particolare attribuendo poteri senza stabilire garanzie per la tenuta unitaria della Repubblica.
Si tratta di avviare una riflessione su cosa si intenda per Stato, Governo, Nazione e Autonomie poiché sembra prevalere una visione superficiale che identifica lo Stato, il Governo e la Nazione come elementi totalmente sovrapponibili e quasi sinonimi, cosicché un potenziamento delle funzioni autonomistiche si verrebbe a configurare in termini antagonisti e sottrattivi delle competenze nazionali, in senso anti statale (centralistico) e, occasionalmente, in contrasto con la maggioranza di governo.
Un processo di potenziamento delle Autonomie deve essere invece sinergico alle funzioni nazionali e la governance nazionale di un sistema complesso, quale quello sanitario, non è affidata solo a provvedimenti legislativi, ma si può, e deve, avvalersi anche di altri strumenti.
Il regionalismo in ambito sanitario dovrebbe essere un processo largamente omogeneo e accompagnato da un potenziamento delle capacità di coordinamento nazionali affidato a:
1. Una riorganizzazione e potenziamento degli strumenti tecnico – scientifici nazionali, con una maggiore sinergia e unitaria “regia” di tre fondamenti istituzioni: AIFA, Istituto superiore di Sanità, Agenzia nazionale dei servizi regionali (Agenas).
2. Una revisione, a livello nazionale, della normativa che definisce i rapporti fra Servizio sanitario nazionale e Università, finalizzata fra l’altro a far decollare, in misura reale ed estensiva la funzione didattico – formativa degli ospedali e delle strutture sanitarie territoriali del Ssn.
3. Un incremento sostanziale e progressivo dei finanziamenti per la ricerca indipendente, sia in ambito farmacologico che nella valutazione di presìdi, procedure e organizzazione sanitaria, coinvolgendo prioritariamente le istituzioni nazionali (AIFA, Agenas, ISS) e gli Istituti nazionali a carattere scientifico (IRCCS).
4. L’affidamento della titolarità delle Linee Guida all’Istituto Superiore di Sanità, con la collaborazione di società e istituzioni scientifiche, che operino però all’interno di una attività coordinata e finanziata dall’istituzione pubblica.
5. La revisione dei criteri e della trasparenza delle trattative fra Aifa e industrie farmaceutiche.
6. L’attivazione di una istituzione di ricerca e produzione farmaceutica nazionale (utilizzando, ad esempio, l’Istituto farmaceutico militare), finalizzata alla produzione di alcuni presidi farmacologici e potenzialmente alla realizzazione di farmaci in caso di necessità strategiche nazionali, con il ricorso alla licenza obbligatoria prevista dai trattati internazionale.
7. La individuazione, in accordo con le Regioni, delle motivazioni e delle procedure di commissariamento, che non devono essere limitate alla non ottemperanza di obiettivi finanziari; la “pattuizione” non può riguardare solo gli equilibri di bilancio, e i contestuali piani di rientro con la nomina di Commissari ad acta, ma anche – non è questo l’obiettivo primario di un servizio sanitario – obiettivi comuni di funzionamento del servizio nelle singole regioni, da valutare con adeguati indicatori.
Fonte: Quotidiano Sanità