Non c’è dubbio che – come scrive The Lancet – la Primary Health Care (PHC) sia in crisi. Ma è anche vero che – malgrado l’ostilità della Banca Mondiale e dei “Mercati” – dove la PHC ha potuto esprimersi in diverse parti del mondo, perfino in alcune aree degli USA, ha prodotto migliori risultati di salute e offerto un contributo decisivo nel ridurre le iniquità sociali nella salute. Per questo è importante che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2018 abbia riaffermato ad Astana i valori e i principi della Dichiarazione di Alma-Ata del 1978. Non era affatto scontato, dato che quelle tendenze – la privatizzazione e la commercializzazione della salute – sono tuttora in azione a tutti i livelli (anche nel nostro Paese).
“Primary health care is in crisis”. Con questa rude affermazione si apre l’editoriale di Lancet (20 ottobre 2018[1]) dedicato alla Global Conference on Primary health care che si è tenuta a Astana (capitale del Kazakistan) il 25 e 26 ottobre (a poco più di 40 anni dalla Conferenza di Alma-Ata[2]). Ma ritorniamo al testo dell’editoriale.
“La Primary health care è in crisi. È poco sviluppata in molti paesi, sottofinanziata in altri, e deve affrontare ovunque problemi di reclutamento di personale qualificato. Metà della popolazione mondiale non ha accesso alla gran parte dei servizi sanitari essenziali. Ancora, l’80-90% dei bisogni sanitari della popolazione – nel corso di tutta la vita – possono essere soddisfatti all’interno della rete delle cure primarie, dall’assistenza alla gravidanza alla prevenzione delle malattie tramite le vaccinazioni, alla gestione delle malattie croniche, alle cure palliative. Quando la popolazione invecchia e la multimorbosità diventa la regola, il ruolo delle cure primarie diventa ancora più importante. Nel 1978 la Dichiarazione di Alma-Ata fu rivoluzionaria perché portò alla condivisione dell’importanza della Primary health care come chiave per riuscire a fornire a tutti una migliore salute, per dare valore alla giustizia sociale, all’equità nella salute e ai determinanti sociali di salute. Ma dopo 40 anni dobbiamo constatare che questa visione non si è realizzata. Viceversa, le politiche sanitarie si sono concentrate sulle singole malattie, con risultati variabili. Adesso, gli Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals) forniscono una nuova spinta per raggiungere la Copertura sanitaria universale (Universal Health Coverage, UHC), attraverso il rafforzamento della Primary health care”.
L’editoriale (non firmato) liquida il fallimento della visione di Alma-Ata attribuendolo all’asettica scelta di aver privilegiato le “singole” malattie. Com’è noto, invece, la scelta di puntare sulle singole malattie fu tutt’altro che asettica. La Banca Mondiale, divenuta nell’era neo-liberista di Ronald Reagan e Margaret Thatcher il vero dominus delle politiche sanitarie internazionali, attaccò frontalmente le conclusioni della Conferenza di Alma Ata: quel tipo di PHC era troppo costoso per i paesi in via di sviluppo (e questi paesi dovevano spendere quasi niente per la sanità) e andava sostituito con un modello diverso, basato su un numero molto ristretto e selezionato di interventi (selective PHC, in alternativa alla comprehensive PHC). Il dibattito sulle due diverse strategie della PHC ne sottendeva un altro: quale doveva essere il modo migliore di organizzazione ed erogazione dei servizi sanitari, orizzontale o verticale? Dove l’approccio orizzontale si propone di affrontare i problemi di salute della popolazione con la creazione di un solido sistema permanente di servizi sanitari generali di primo, secondo e terzo livello, e dove invece l’approccio verticale tende ad affrontare i diversi problemi di salute con l’istituzione di organizzazioni ad hoc. In sostanza l’approccio orizzontale è focalizzato sulle persone e sulla comunità, quello verticale sulle malattie. Le grandi agenzie internazionali, dalla Banca Mondiale all’Unicef, dagli anni ‘80 optarono per l’approccio verticale, annullando di fatto il ruolo della PHC nei paesi che dipendevano dai prestiti e dagli aiuti internazionali.
Nel 2008, a distanza di trent’anni dalla Dichiarazione di Alma Ata, l’Organizzazione Mondiale della Sanità in un rapporto dal significativo titolo “Primary Health Care. Now More Than Ever”[3] rilevava le tendenze che, nei decenni precedenti, avevano agito in direzione contraria alla strategia della Primary health care:
- L’accentramento sull’ospedale e sulle attività specialistiche. In molti paesi, anche in quelli a basso e medio reddito, gli investimenti nella sanità sono andati a finanziare ospedali collocati nelle aree urbane, soprattutto nelle capitali. Medici, attrezzature, innovazione tecnologica si sono concentrati soprattutto lì, sottraendo risorse dove maggiori erano i bisogni.
- La commercializzazione e la privatizzazione. La salute è diventata un business, le prestazioni sanitarie un bene di consumo. Pagare le cure è diventata la norma, spesso anche sottobanco pur di ottenere qualcosa. Ciò ha ridotto l’accessibilità ai servizi, ha dilatato le diseguaglianze nella salute e – a causa dei costi sostenuti – ha aggravato le condizioni di povertà di milioni di famiglie.
- La frammentazione e la moltiplicazione dei programmi “verticali”, centrati su singole malattie o su singoli interventi. Ciò ha creato assurde competizioni tra differenti servizi e differenti organizzazioni, inefficienze, sprechi e duplicazioni, e alla fine ha indebolito, in certi casi fino a distruggerla, la rete ordinaria dei servizi territoriali.
La raccomandazione e l’auspicio dell’OMS fu che queste tre distorsioni dovessero essere corrette con il riallineamento agli obiettivi di Alma-Ata: a) Equità nella salute, b) Accesso universale a un’assistenza centrata sulla persona e sulla popolazione, c) Comunità sane, ovvero prevenzione primaria (Figura 1).
Figura 1. Tre diverse tendenze che hanno agito in direzione contraria alla strategia della primary health care.
La Dichiarazione di Astana (vedi Risorse) conferma – a 40 anni di distanza – tutti i valori e i principi enunciati nella Dichiarazione di Alma-Ata e in particolare quelli della giustizia, della solidarietà, dello sviluppo economico e della pace.
“Noi siamo convinti che il rafforzamento della Primary health care (PHC) rappresenta l’approccio più inclusivo, efficace e efficiente per migliorare la salute fisica e mentale della popolazione, nonché il suo benessere sociale, e che la PHC è la pietra angolare di un sistema sanitario sostenibile che ha l’obiettivo di conseguire la copertura sanitaria universale”. (…) “Noi sappiamo che nonostante i progressi compiuti negli ultimi 40 anni in tutte le parti del mondo vi sono popolazioni i cui bisogni di salute non sono soddisfatti. Rimanere sani è una terribile sfida per troppe persone, soprattutto per i poveri e per coloro che si trovano in condizioni di vulnerabilità. Noi troviamo eticamente, politicamente, socialmente e economicamente inaccettabile che persistano tali iniquità nella salute e nei risultati di salute. (…) I servizi di promozione della salute e di prevenzione, di cura, di riabilitazione e di palliazione devono essere accessibili a tutti. Noi dobbiamo salvare milioni di persone dalla povertà, spesso dalla povertà estrema, provocata da un’eccessiva spesa sanitaria out-of-pocket. Noi non possiamo accettare la sottovalutazione dell’importanza della promozione della salute e della prevenzione, e non possiamo tollerare un’assistenza frammentata, insicura e di scarsa qualità. Noi dobbiamo affrontare la carenza e la distribuzione diseguale del personale sanitario. Noi dobbiamo agire contro l’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria, dei farmaci e dei vaccini. Noi non possiamo permetterci gli sprechi nell’assistenza sanitaria dovuti all’inefficienza”. (…)
“Noi confermiamo il ruolo primario e la responsabilità dei Governi a tutti i livelli ne promuovere e proteggere il diritto di ciascuno a godere del più alto livello possibile di salute. Noi promuoveremo l’azione multisettoriale e la copertura sanitaria universale, impegnando tutti gli attori responsabili e le comunità locali a rafforzare la PHC. Noi ci adopereremo per affrontare i determinanti economici, sociali e ambientali di salute e per ridurre i fattori di rischio attraverso l’approccio della “Salute in Tutte le Politiche”. Noi coinvolgeremo il massimo numero di attori nel raggiungimento della “Salute per Tutti”, senza lasciare nessuno indietro, affrontando e gestendo i conflitti d’interesse, promuovendo la trasparenza e garantendo una governance partecipata”.
Non c’è dubbio che – come scrive The Lancet – la PHC sia in crisi. Ma è anche vero che – malgrado l’ostilità della Banca Mondiale e dei “Mercati” – dove la PHC ha potuto esprimersi in diverse parti del mondo, perfino in alcune aree degli USA, ha prodotto migliori risultati di salute e offerto un contributo decisivo nel ridurre le iniquità sociali nella salute[4]. Per questo è importante che l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2018 abbia riaffermato ad Astana i valori e i principi della Dichiarazione di Alma-Ata del 1978. Non era affatto scontato, dato che quelle tendenze descritte nella Figura 1 sono tuttora in azione a tutti i livelli (anche nel nostro Paese).
Risorse
Declaration of Astana [PDF: 3,7 Mb]. Global conference on primary health care.
Astana, Kazakhstan 25-26 October 2018. WHO and UNICEF, 2018
Bibliografia
- The Astana Declaration: the future of primary health care? Lancet 2018; 392: 1363
- Città del Kazakistan, oggi denominata Almaty.
- The World Health Report 2008: Primary Health Care: Now More Than Ever. Geneva: WHO, 2008.
- Starfield B. Politics, primary healthcare and health: was Virchow right?, J Epidemiol Community Health 2011; 65(8):653-5.
Fonte: saluteinternazionale.info