La redazione di LombardiaSociale.it ha pubblicato un volume di analisi e valutazione delle politiche di welfare promosse dalla Regione nella X Legislatura (2013-2018) edito da Maggioli. Il testo, curato da Cristiano Gori, è integralmente scaricabile dal sito e presenta un’analisi dettagliata di quanto realizzato dalla Giunta Regionale attraverso la ricostruzione della cronistoria del quinquennio, delle principali scelte in merito al finanziamento delle politiche e all’assetto di governance regionale e analisi specifiche per i principali ambiti di intervento: anziani non autosufficienti; giovani e adulti con disabilità; minori e famiglie; contrasto dell’esclusione sociale. Presentiamo qui una sintesi del capitolo conclusivo, che traccia una lettura trasversale del volume offrendo una visione d’insieme sulle scelte di welfare perseguite nell’ultimo quinquennio.
L’analisi delle politiche di welfare lombarde del periodo 2013-2018 è sintetizzabile in un unico messaggio: nonostante la Giunta Maroni abbia realizzato un’intensa produzione di atti (norme e delibere tra cui principalmente la LR 23/15, l’istituzione del Fondo Famiglia; il Reddito di Autonomia), la configurazione di fondo del sistema è rimasta sostanzialmente immutata mentre, nel contempo, sono emerse maggiori difficoltà rispetto al passato a rispondere adeguatamente ai bisogni presenti nella società. La lettura proposta nel volume muove da quattro obiettivi strategici, definiti all’inizio del quinquennio dalla Giunta e più volte ribaditi, di cui sono state analizzate le modalità di attuazione e l’effettivo raggiungimento, discutendone le relative implicazioni[1].
Quattro obiettivi che, almeno in quanto al dichiarato, indicano un netto cambiamento rispetto alle precedenti Giunte Formigoni:
- lo sviluppo di percorsi di presa in carico della persona, da attuare grazie alla stretta collaborazione delle diverse realtà operanti nei territori;
- il rafforzamento dell’integrazione socio-sanitaria e la costruzione di interventi unitari tra i servizi sociali dei Comuni e quelli socio-sanitari delle Asl (poi Asst);
- la rimodulazione del sistema di offerta, con una maggiore articolazione delle risposte disponibili;
- l’incremento del peso del welfare sociale, attraverso l’aumento dei finanziamenti dedicati.
Il finanziamento
Gli stanziamenti complessivi trasferiti dalla Regione ai territori per il welfare sono saliti da 1.726 milioni di Euro (2012) a 1.905 (2017); i 179 milioni in più equivalgono ad un incremento del 10%, di cui però i fondi propri regionali ammontano a 65 milioni, pari al 4% della dotazione iniziale. Di fatto, però, se si analizzano i dati relativi al finanziamento del welfare in una prospettiva più lunga, è evidente che, in ambito sociosanitario (che costituisce l’ambito principale di utilizzo di fondi propri regionali), si è passati da un incremento medio annuo del 5,2% nel periodo 2005-2012 ad uno dell’1,1% nel corso della X legislatura, con un netto rallentamento.
L’obiettivo di incrementare il peso del welfare, aumentandone i relativi finanziamenti, non è stato dunque raggiunto. A differenza delle altre finalità dichiarate, però, in questo caso la possibilità di farlo è dipesa solo parzialmente dalle scelte regionali, dato il ruolo centrale dei vincoli di spesa fissati dal livello nazionale.
Se si connettono poi le scelte relative al finanziamento del welfare all’effettiva capacità di risposta ai bisogni mostrata dalle politiche regionali, le risorse stanziate sono risultate sempre più insufficienti per rispondere ai bisogni presenti nella società lombarda. Questo anche a fronte della scelta di estendere gli interventi a più persone, un passaggio necessario sia per rispondere all’incremento delle aree di bisogno tradizionali che per fronteggiare i nuovi rischi, che però ha impedito di destinare risorse al miglioramento della qualità e dell’intensità degli interventi erogati agli utenti, nonostante anche questo rappresenti un obiettivo necessario.
A fronte di questo quadro esistono, dunque, per la Regione, significativi margini di manovra per puntare maggiormente sul welfare.
La rimodulazione del sistema di offerta
La rimodulazione del sistema di offerta può essere realizzata attraverso due strade, tra loro complementari: a) il cambiamento del mix delle risposte in campo, introducendone di nuove e/o modificando l’estensione di quelle già presenti, b) la trasformazione del profilo dei servizi e degli interventi disponibili.
Dal punto di vista del cambiamento delle risposte offerte, nel quinquennio sono stati compiuti numerosi percorsi innovativi – spesso promettenti – per mettere alla prova nuove unità di offerta, ma le indicazioni emerse nei vari percorsi innovativi, tuttavia, non sono sfociate nella messa a regime di alcuna nuova tipologia di offerta. La rete dei servizi di diretta titolarità regionale, quelli sociosanitari (rivolti perlopiù a anziani e disabilità), è rimasta dunque immutata. In alcuni casi si è invece realizzato un importante lavoro di riequilibrio tra le risposte esistenti, ad esempio rafforzando i servizi domiciliari con un incremento di risorse significativo[2] e portando così la percentuale di anziani utenti ADI dall’1,39% (2012) al 3% (2016).
Di fatto, però, in questi anni la Regione è intervenuta molto nella direzione di rafforzare i profili delle unità di offerta senza modificarli, e nei rari casi in cui un cambiamento del profilo è avvenuto (per es. nella trasformazione dei consultori familiari in Centri per la Famiglia), l’amministrazione regionale ha agito più sulla forma che sulla sostanza, accompagnando in modo insufficiente il cambiamento perseguito e dando così origine a risposte molto eterogenee nei territori.
Allo stesso tempo, anche il problema della forte eterogeneità nell’offerta sociosanitaria tra territori diversi che da tempo caratterizza la Lombardia non è mutato, e le evidenze più recenti confermano che nella disponibilità dei servizi sociosanitari continuano ad esservi marcate differenze locali che non dipendono in alcun modo dai diversi livelli di bisogni.
La vera dinamica di articolazione dell’offerta a cui si è assistito in questa Legislatura è stata invece quella tra tre universi che hanno proceduto in modo parallelo: la rete dei servizi sociosanitari a regime, rimasta sostanzialmente invariata; i nuovi interventi di tipo sperimentale varati durante il quinquennio che non sono però riusciti a modificare l’offerta tradizionale di risposte; e interventi sperimentali promossi e finanziati da privati e Fondazioni, anch’essi però scarsamente richiamati o connessi con la rete dei servizi di base. Un’articolazione dell’offerta, dunque, che mostra tre ambiti di sviluppo separati e tra loro poco comunicanti, e che non riesce a valorizzare e adeguatamente raccogliere quanto di positivo viene sperimentato.
La presa in carico
La presa in carico rappresenta il fine più spesso richiamato dall’amministrazione regionale: non esiste quasi atto nel quale non si parli di valutazione multidimensionale, progettazione personalizzata, responsabile del caso, affiancamento e monitoraggio dell’utente nel tempo. Risiede qui la cesura più simbolica con il precedente modello. Tuttavia, la traduzione dell’obiettivo nella pratica ha incontrato notevoli difficoltà in ogni area di utenza ed è risultata ridotta. Pur non mancando situazioni felici, la presa in carico è stata perlopiù parziale o assente; anche dove è stata messa in atto, inoltre, spesso si è trattato di adempimenti formali. Complessivamente, dunque, l’odierno sistema lombardo evidenzia ancora una posizione di arretratezza nella capacità di affiancare l’utente e la famiglia nelle diverse fasi del loro percorso.
La ridotta realizzazione della presa in carico è dovuta ad un insieme di ragioni, diverse ma legate da un filo conduttore: essersi prevalentemente limitati a definire l’obiettivo senza costruire in modo adeguato le condizioni per la sua attuazione. Sono mancati infatti, per richiamare le principali evidenze: riflessioni culturali e tecniche sul significato e le implicazioni del rafforzamento della presa in carico per la rete dei servizi; percorsi di accompagnamento e formazione per gli operatori; dotazioni di nuove figure professionali; accordi interistituzionali e intersettoriali tra le varie parti coinvolte. Inoltre, in un quadro già critico, l’introduzione della LR 23/15 ha creato incertezza, assorbendo un’enorme mole di energia ed attenzione a tutti i soggetti coinvolti e distogliendoli dall’obiettivo.
Su tutto ciò, nondimeno, ha pesato il fatto di aver in passato disinvestito sulla presa in carico per oltre 10 anni, che ha reso inevitabilmente complicati i tentativi di riattivarla. Un’eredità complessa ma affrontabile, a patto di accompagnare opportunamente il cambiamento.
Integrazione socio-sanitaria
L’obiettivo di una maggiore integrazione tra i settori di sociale e sanità è stato perseguito ad un doppio livello, quello istituzionale e quello concernente la presa in carico del singolo caso. Rispetto al primo, nella parte iniziale della legislatura sono state introdotte le Cabine di regia, organismi deputati alla decisionalità operativa su finanziamenti e aspetti gestionali legati all’integrazione sociosanitaria, così da garantire un maggior raccordo tra le (allora) Asl e i Comuni/Ambiti[3]. La LR 23/2015 ha però modificato radicalmente il quadro nel quale avrebbero dovuto concretizzarsi tali indicazioni, introducendo un assetto di governance non sempre in linea con queste.
Complessivamente l’attuazione della Legge 23 ha lasciato poco spazio ad altre finalità e, pertanto, gli obiettivi di integrazione istituzionale dichiarati all’inizio della legislatura sono passati in secondo piano.
Per quanto riguarda la realizzazione dell’integrazione in merito al singolo caso, l’obiettivo è stato raggiunto solo in misura circoscritta, principalmente perché non sono stati concretizzati i presupposti per la sua attuazione: il mancato presidio di vari passaggi necessari a tal fine ha fatto sì che l’integrazione sul caso sia rimasta soprattutto una questione formale.
Certamente dunque sono stati compiuti passi in avanti verso l’obiettivo dell’integrazione, che – però – sono risultati perlopiù inadeguati rispetto a quelli che sarebbero stati effettivamente necessari per renderla una realtà tangibile, nei territori, dagli utenti e dalle loro famiglie, e si rende dunque ancora necessario un ruolo regionale forte di promozione dell’integrazione non solo tra sociale e sanitario ma tra molteplici interventi (sociale, lavoro, casa, sanità ecc.).
In conclusione
L’analisi complessiva delle politiche di welfare sociale a titolarità regionale attuate nel periodo 2013-2018 evidenzia che la configurazione di fondo del sistema lombardo è rimasta sostanzialmente immutata; nel contempo, sono emerse maggiori difficoltà rispetto al passato a rispondere adeguatamente ai bisogni presenti nella società. Il mix tra continuità ed affaticamento, dunque, ha rappresentato il tratto essenziale della X legislatura.
La continuità è dovuta alla realizzazione solo parziale delle finalità di riforma dichiarate: la cesura con il precedente modello, dunque, è risultata netta nelle enunciazioni ma blanda nella realtà. La ragione ultima risiede nel mancato allineamento tra obiettivi e strumenti. È stata prodotta, infatti, un’ampia mole di leggi, delibere e regolamenti, in ognuno dei quali si ribadiscono i fini menzionati: una profonda sottovalutazione della strumentazione necessaria a tradurli in pratica, tuttavia, ha permeato tanto il disegno delle norme quanto il modo in cui queste sono state agite dall’amministrazione regionale.
Nel frattempo – come anticipato – sono cresciute le difficoltà del sistema di welfare nel rispondere alle esigenze che si manifestano nella società lombarda. Da una parte, si registra il contrasto tra l’incremento dei bisogni e la limitatezza degli stanziamenti disponibili, dall’altra, si allarga la distanza tra una società in trasformazione ed un ventaglio di risposte che, invece, rimane perlopiù immutato. Nell’insieme, a ben vedere, l’affaticamento del sistema altro non è che l’esito della ridotta realizzazione delle condivisibili finalità di riforma dichiarate dalla Giunta.
[1]La pubblicazione del volume è stata possibile, così come tutto il lavoro di LombardiaSociale.it, grazie ai contributi e alla partecipazione di soggetti diversi, tra cui in particolare tutti gli enti promotori, i colleghi che ci hanno fornito commenti e suggerimenti su come arrivare alla versione definitiva del testo e tutti i referenti degli enti e dei territori che negli anni hanno collaborato con la redazione per il reperimento dei dati e l’analisi dei processi in corso.
[2] La spesa per la domiciliarità sociosanitaria è salita da 98,9 (2012) a 154,9 milioni di Euro (2017), dei quali 124,9 per l’ADI e 30 per la Rsa aperta.
[3] Si tratta – come noto – di organismi ulteriori rispetto a Conferenze e Assemblee dei sindaci.
FONTE: LombardiaSociale.it