Nel corso degli ultimi decenni, dall’Europa, agli Stati Uniti, all’Asia, all’Oceania, si è assistito, ad un progressivo avvicinamento dei corsi di vita delle donne e degli uomini, soprattutto per i cambiamenti sul versante occupazionale delle donne e per la convergenza verso percorsi di lavoro sempre più instabile e precario, che hanno avvicinato e in alcuni casi «ribaltato» posizioni storicamente definite all’interno delle coppie.
Al tempo stesso si è assistito anche a trasformazioni di carattere socio demografico, come: l’emergere di una pluralizzazione delle forme e dei modelli di vita familiari (anche a causa dell’aumento dell’instabilità familiare e della progressiva separazione tra matrimonio e scelte procreative), il progressivo invecchiamento della popolazione e la conseguente rarefazione delle reti familiari. Diverse ricerche, non solo quelle condotte in prospettiva di genere, hanno messo in evidenza che ci troviamo di fronte un po’ ovunque ad una «rivoluzione incompiuta», dato che ai cambiamenti nei comportamenti femminili nel mercato del lavoro non hanno corrisposto altrettante trasformazioni sul versante maschile dei ruoli familiari.
Si parla di rivoluzione incompiuta (Esping-Andersen, 2009; Gerson, 2010) anche con riferimento alla refrattarietà delle istituzioni e dei modelli organizzativi del lavoro di adeguarsi e cambiare. Si può valutare la portata della (incompleta) rivoluzione? Questo saggio intende illustrare le differenze e le similarità tra Australia, Giappone, Italia e Stati Uniti, nel sistema famiglia-lavoro, al fine di valutare le direzioni che i sistemi di genere stanno assumendo nelle diverse Regioni e in vari regimi di welfare. Stati Uniti e Australia sono considerati esempi del modello liberale di welfare, Italia e Giappone sono stati accumunati per la dimensione «familista» del welfare state, ossia, per il limitato sviluppo di politiche familiari e conseguente ampio ruolo assegnato alla famiglia.
Ma tutti e 4 questi paesi sono accumunati dal fatto che la cura (non sanitaria) è considerata una questione privata, le responsabilità di accudimento, cura ed educazione della prole sono attribuite e assunte innanzitutto ai/dai genitori (e alla famiglia) (Craig e Mullan, 2010; Collins, 2015).
Dato che le politiche sociali prima che influenzare riflettono le norme sociali e culturali presenti all’interno di un contesto, i sopracitati Paesi non sostengono o incentivano la partecipazione al mercato del lavoro delle madri e la disponibilità e accessibilità dei servizi per l’infanzia (soprattutto la primissima infanzia) risultano relativamente limitate.
In questo scenario, emerge con forza da un lato, la similarità tra Italia e Giappone, Paesi a bassa natalità e bassa partecipazione e dall’altro, all’opposto, Australia e Stati Uniti, che si distinguono per alta partecipazione e alta fecondità. Non solo nei paesi dell’area liberale le asimmetrie di genere risultano meno marcate sul versante della divisione del lavoro pagato, ma anche sul versante del lavoro non pagato, per la maggiore partecipazione dei mariti/padri al lavoro di cura? Come si spiega la capacità di riproduzione sociale (in termini di popolazione) e di maggiore uguaglianza di genere nei paesi anglo-sassoni e quella mancata nei paesi familisti? Come e quanto è la questione di genere a fare la differenza?
Utilizzando le informazioni contenute nei principali data base internazionali, l’articolo si propone di analizzare gli aspetti di convergenza (o mancata convergenza) nei 4 paesi analizzati, proponendo una lettura incrociata tra i paesi al fine di definire possibili accoppiamenti sulla base di similarità e differenze e contribuire al dibattito aprendo nuove prospettive di ricerca.
Il testo è la sintesi dell’articolo pubblicato nella sezione Tema del n. 1 2018 di Rps e scaricabile dagli abbonati nella versione integrale al link:
Fonte: ediesseonline.it